Brunelleschi, Agnello
Personaggio fiorentino della Commedia, oggetto di una delle metamorfosi cui vanno incontro i ladri assegnati alla settima bolgia. Nominato da D. solo col nome, Agnel (If XXV 68), è identificato dai commentatori antichi con ‛ Agnel ' o ‛ Agnello ' o ‛ Agnolo ' Brunelleschi, il cui casato, di parte ghibellina, nei disordini del 1300 si schierò coi Bianchi prima e coi Neri poi. Non si ha di lui la benché minima notizia storica, ed è quindi impossibile datarne gli estremi biografici. Fu forse contemporaneo di Cianfa Donati, il ladro-serpente con cui s'incorpora (v. CIANFA). Pare che A. sia salito ai primi onori del comune e ne abbia distratto le rendite a proprio vantaggio (cfr. Scartazzini-Vandelli, ad l.). Le Chiose anonime riferiscono che egli " infino picciolo votava la borsa al padre e a la madre, poi votava la cassetta a la bottega e imbolava. Poi da grande entrava per le case altrui e vestiasi a modo di povero e faciasi la barba da vecchio ".
Per il Pagliaro " il commentatore mette in rapporto tale abitudine al travestimento con l'alterazione di connotati e di figura, che il poeta gli fa subire per la fusione con il serpente... A noi sembra chiaro che il poeta, nell'escogitare una pena comune per i due ladri [A. e Cianfa, abigeatario e scassinatore] abbia, per dir così, fuso l'aspetto attivo e il passivo del reato di plagio ", cioè, secondo la terminologia giuridica medievale, di abigeato o di più generica appropriazione indebita; ed è, il ‛ plagium ', uno dei tre reati che, secondo s. Tommaso (Sum. theol. II II 66, 6), comportano la pena di morte.
Mentre D. sta osservando con attenzione tre spiriti che, avvicinatisi alla ripa della bolgia, hanno chiesto a lui e a Virgilio " Chi siete voi ? " (If XXV 37), e anzi uno di essi ha aggiunto un'altra domanda: " Cianfa dove fia rimaso? ", ha inizio la scena della prima metamorfosi: un serpente con sei piè, Cianfa trasformato, si lancia contro Agnel: Co' piè di mezzo li avvinse la pancia, / e con li anterïor le braccia prese; / poi li addentò e l'una e l'altra guancia; / li diretani a le cosce distese, / e miceli la coda tra 'mbedue / e dietro per le ren sù la ritese (vv. 52-57). " La descrizione - come nota il Momigliano - sembra il frutto plastico di uno studio geometrico inteso a far combaciare il corpo del serpente con quello dell'uomo ". Ma questo è solo il primo momento della subentrante trasformazione del dannato; ne seguono infatti, così come in Ovidio, altri due di egual effetto e di più potente forza drammatica: il primo riguarda l'appiccicarsi dei due corpi (l'umano e il serpentino) come calda cera, dove il conseguente mescolarsi dei loro colori e l'apparire di un terzo colore intermedio, che non è né quello umano né quello della fiera, è reso tramite una precisa comparazione: come procede innanzi da l'ardore / per lo papiro suso un color bruno, / che non è nero ancora e 'l bianco more; il secondo è teso invece a rendere attraverso un'immagine plastica l'avvenuta compenetrazione delle due figure a cominciare dalla faccia ov'eran due perduti (v. 72), e continuando con tutto il resto delle membra: Ogne primaio aspetto ivi era casso: / due e nessun l'imagine perversa / parea (vv. 76-78). Su questa linea di rappresentazione l'immagine riacquista il movimento, chiaro indice della compiuta metamorfosi: e tal sen gio con lento passo. Tutta la scena si svolge in un'aura di magico silenzio, rotto appena, per un istante, dal grido di stupore doloroso (Omè, Agnel, come ti muti!) degli altri due ladri, Puccio Galigai e Buoso. V. anche BUOSO; CIANFA; DONATI; LADRI.
Bibl. - A. Momigliano, Il canto XXV dell'Inferno, in " Giorn. stor. " XXXIV (1912) 43-81 (ora in Lett. dant. I 462-488); A. Sacchetto, Il canto delle allucinanti trasformazioni, in Due letture dantesche, Roma 1953; D. Mattalia, Il canto XXV dell'Inferno, Firenze 1962, 48 ss. (ora in Lect. Scaligera I 907-915); Pagliaro, Ulisse 352-354.