GADDI, Agnolo
Figlio di Taddeo e nipote di Gaddo, fu attivo come pittore a Firenze e a Prato tra l'ottavo e l'ultimo decennio del Trecento. Il G. risulta documentato per la prima volta nel 1369 (Crowe - Cavalcaselle, 1903), impegnato in lavori (perduti) nel palazzo Vaticano per Urbano V, insieme con altri artisti tra cui Giottino e Giovanni da Milano e quale discepolo del fratello maggiore Giovanni, la cui identità artistica appare ancora problematica. La nascita del G. è da porre intorno al 1350, essendo egli compreso nel 1381 in un elenco per l'elezione a un ufficio comunale (Cole, 1977), al cui scrutinio era concesso accedere non prima del trentesimo anno di età; non si conosce la data di immatricolazione nell'arte dei medici e speziali, di cui fu comunque un membro autorevole, risultando nel 1382 eleggibile al consolato di questa corporazione (Ciasca, 1927). Nel 1376 ricevette pagamenti per la decorazione del refettorio dell'ex convento di S. Domenico del Maglio (Arch. di Stato di Firenze, Corporaz. religiose soppresse, n. 108, 10, cc. 65r-67r), da associare ai superstiti frammenti ad affresco ancora in loco. Nel 1380 il G. fu pagato per l'immagine (perduta) di un'Annunciazione con il donatore Giovanni Buccheri, destinata all'ospedale del Bigallo (Poggi, 1904); nel 1383-84 fornì disegni per le statue della loggia dei Lanzi, inaugurando quell'intenso rapporto di collaborazione con gli scultori che segnerà tutta la sua carriera. Nel 1385 venne chiamato a stimare l'opera dello scultore Iacopo di Piero, mentre l'anno successivo fu pagato per i disegni di due sculture, Prudenza e Carità, destinate alla loggia dei Lanzi (Frey, 1885); nel 1387 ricevette pagamenti per il disegno di una figura di Apostolo commissionata allo scultore Piero di Giovanni Tedesco dall'Opera del duomo; nel 1391, sempre per il duomo, risulta aver dipinto due statue raffiguranti i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista (Poggi, 1909). Nel frattempo, il G. si iscrisse alla Compagnia di S. Luca (1387: Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, I, c. 3r). Nel 1391 i documenti lo ricordano a Prato (Supino, 1907; Melis, 1962), impegnato a dipingere, insieme con Bartolomeo di Bertozzo e Niccolò di Pietro Gerini, il palazzo del ricco mercante e mecenate Francesco di Marco Datini, che sin dal 1383 aveva intrapreso rapporti epistolari col G. (Piattoli, 1929). Nel 1392, durante il soggiorno pratese, vi fu un contenzioso tra il Comune fiorentino e il G., tanto da indurre le autorità cittadine a inviare a Prato un ufficiale, al fine, non riuscito, di arrestare il pittore (Cole, 1977). Tra il 19 giugno 1392 e il 25 maggio 1395 ricevette i pagamenti per gli affreschi nella cappella della Cintola del duomo pratese; il 28 giugno 1395 gli venne saldato l'affresco (perduto) con l'Assunzione della Vergine sulla facciata della chiesa (Poggi, 1932). A questa data egli doveva aver già fatto ritorno a Firenze, dove gli furono commissionati, insieme con Giuliano d'Arrigo, i disegni per i monumenti dei condottieri Giovanni Acuto e Piero Farnese, da collocare nella navata sinistra del duomo fiorentino, ma mai realizzati, e forse originariamente intesi come opere ad affresco (Brunetti, 1969); sempre nel 1395 fu pagato dall'Opera del duomo per aver fornito il disegno di quattro statue di santi, la cui esecuzione fu affidata a Piero di Giovanni Tedesco e a Niccolò di Piero Lamberti (Poggi, 1909). Dal 1394 il G. fu pagato per una pala d'altare nella chiesa di S. Miniato al Monte, da identificare probabilmente con quella ancora in loco nella cappella del Crocifisso, e per cui ricevette il saldo finale nel 1396, dopo la sua scomparsa, il fratello Zanobi (Cole, 1977). Ancora nel gennaio di quell'anno, il Datini lamentava, in una lettera inviata a un corrispondente fiorentino, il mancato completamento da parte del G. di una tavola con S. Pietro e di un Crocifisso (Melis, 1962); il 16 giugno del 1396 il pittore ricevette il pagamento finale per i disegni preparatori delle vetrate del duomo, per cui è documentato dall'agosto del 1394, e il 7 aprile per la decorazione, con Neri d'Antonio, di uno sguancio di finestra nella stessa chiesa (Poggi, 1909).
Il riconoscimento dell'importanza che il G. rivestì nella cultura pittorica fiorentina di fine secolo avvenne ad opera del suo allievo Cennino Cennini (circa 1390), il quale, affermando con orgoglio la lunga durata (dodici anni) del suo discepolato nella bottega gaddesca, ne sancì la discendenza diretta, attraverso l'allievo prediletto Taddeo, dallo stesso Giotto. La formazione del G. presso il padre è riaffermata dalle fonti del Cinquecento (CodiceMagliabechiano), dal Baldinucci (1681) e dal Lanzi, ma ormai con accezione negativa, secondo una valutazione già espressa dal Vasari (1550, 1568). Un giudizio sostanzialmente negativo sul pittore è affermato, pur nell'intento di puntualizzarne il catalogo, da Cavalcaselle - Crowe (1883); e in seguito dal Venturi (1907) e dal Toesca (1951). Si deve al Salvini (1934, 1936) la riconsiderazione del G. quale pittore profondamente innovatore, il cui naturalismo narrativo rigenerò in direzione tardogotica la cultura fiorentina; ma permane la volontà di selezionare - ancora in tempi recenti (Salvini, 1983) - all'interno della sua vasta produzione diversi sottogruppi, a partire da quello più consistente del cosidetto "Compagno d'Agnolo" costituito dal Sirén e ridefinito dal Wulff col nome di "Maestro delle Madonne". Se la presenza di collaboratori di bottega a fianco del maestro nel corso della sua prolifica attività, non sempre qualitativamente uniforme, appare un dato ineludibile, alla paternità del G. è da ricondurre la sostanziale omogeneità concettuale e stilistica delle opere a lui attribuite; così già il Berenson faceva confluire nel suo catalogo il gruppo del "Compagno", trovando concorde la critica più recente. La portata innovatrice della sua arte rispetto alla cultura orcagnesca dominante è sottolineata anche nella monografia del Cole (1977), che ripropone un criterio restrittivo nella definizione del catalogo.
Il documento vaticano del 1369 fa luce sulla sua frequentazione della bottega del fratello Giovanni, attraverso cui il G. ereditò le competenze disegnative e tecniche (Skaug, 1994) della tradizione paterna e giottesca, che costituiscono la griglia formale su cui veniva innestando i suoi interessi moderni di gusto tardogotico. Nelle opere degli anni Settanta del Trecento, le influenze del Maestro della Misericordia (per cui è stata avanzata la proposta di identificazione con lo stesso Giovanni Gaddi: Boskovits, 1975), di Giottino e di Giovanni da Milano appaiono centrali; così nella lunetta affrescata nel secondo chiostro di S. Spirito, con la Madonna e il Bambino tra i ss. Pietro e Agostino (Tartuferi, 1996). Nell'importante polittico di Parma (Galleria nazionale) con la Madonna e il Bambino tra i ss. Domenico, Giovanni Battista, Pietro Martire, Tommaso d'Aquino, Paolo e Lorenzo, proveniente da S. Maria Novella e datato 1375, la struttura compositiva echeggia modelli orcagneschi; ma il linearismo tagliente, la profusione decorativa e l'inusuale armonia cromatica dai toni freddi rappresentano caratteri inediti per la coeva pittura fiorentina, spiegabili in parte con un interesse per l'attività dei miniatori del convento di S. Maria degli Angeli (Marcucci, 1965; Boskovits, 1975). In epoca vicina alla decorazione dell'ex convento di S. Domenico del Maglio eseguì una Deposizione di Cristo ad affresco in S. Maria Novella (Boskovits, 1975), la cui aspra visione realistica induce a riconsiderare il problema, tuttora aperto, delle influenze nordiche nella sua produzione (Bellosi, 1965; Zeri, 1976), forse dovute anche a personali contatti con altri centri artistici (nel 1369, in Vaticano, operarono artisti di varia provenienza); a Pisa, dove lasciò intorno al 1380 in S. Giovanni de' Fieri un polittico di cui rimangono nel locale Museo nazionale di S. Matteo due sportelli con quattro Santi (Boskovits, 1968, ne riconosce la parte centrale nell'Incoronazione della Vergine della National Gallery a Londra), poté visionare l'opera di Barnaba da Modena. Sembra precedere di poco le tavole pisane lo sportello con i Ss. Giacomo Maggiore e Pietro della Walters Art Gallery di Baltimora (Zeri, 1976: con un riferimento alla bottega); legata a questa fase giovanile è la Madonna col Bambino e angeli di Borgo San Lorenzo (S. Lorenzo). È discussa la datazione dell'elegante Madonna della collezione Kisters a Kreuzlingen (Svizzera), collocata dal Boskovits (1975) entro gli anni Settanta e accostata ai Ss. Benedetto, Pietro, Giovanni Battista e Miniato del lascito Contini Bonacossi (Firenze, Palazzo Pitti), eseguiti probabilmente per la chiesa di S. Miniato al Monte, e attualmente riuniti alla Madonna del G. conservata nella medesima collezione fiorentina mediante l'inserimento in una cornice moderna (ricostruzione, quest'ultima, accolta dal Cole, 1977). Parte della critica collega il polittico di S. Miniato ai documenti del 1394-96 che menzionano il G. attivo in questa chiesa (Freuler, 1991).
Il ciclo di affreschi in S. Croce commissionato da Michele di Vanni Castellani con lascito testamentario nel 1383 (Procacci, 1935 e 1936), fu probabilmente eseguito intorno alla metà del decennio; vi sono raffigurate Storie dei ss. Nicola, Antonio Abate, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista.
Già il Vasari vi individuava l'intervento di collaboratori, tra cui Gherardo Starnina; un riferimento approfondito dal Van Marle (1924), che assegna a questo pittore tutto il ciclo Castellani, e parzialmente accolto anche dal Procacci (1935) e dal Salvini (1936). La volumetria robusta e semplificata delle figure riflette ancora i modi del Maestro della Misericordia e di Giovanni da Milano; ma ora il G. inserisce nella struttura narrativa elementi di novità sintattica, gremendo le scene di personaggi e riunendo in un unico affresco episodi tematicamente separati tra loro: un espediente che, se rivela non poche incongruenze spaziali, consente al contempo un inedito arricchimento figurativo delle storie sacre.
Secondo il Vasari, il G. fu responsabile degli affreschi (perduti) nella cappella di S. Ludovico dei Bardi in S. Croce, il cui unico brano superstite, nella volta, è oggi riconosciuto come opera di Taddeo Gaddi (Boskovits, 1975); il biografo ricorda in questa chiesa anche la prestigiosa commissione al pittore, da parte dell'importante famiglia degli Alberti, della decorazione della cappella maggiore. Le Storie della leggenda della Croce, tratte dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze, sono narrate con una ricchezza di episodi esemplare per i cicli toscani del secolo successivo (Ladis, 1989), e con una complessità e libertà di soluzioni spaziali che le pongono in epoca successiva al ciclo Castellani, tra il 1385 e il 1390 (Boskovits, 1975; Frosinini, 1995).
Si collocano in questo decennio l'Incoronazione della Vergine della National Gallery di Washington, cui il Boskovits (1975) propone di accostare, come parte dello stesso complesso, il Dio Padre con l'Annunciazione già nella collezione Cook a Richmond (Borenius, 1913), la Madonna col Bambino e quattro santi di Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie), il trittico della Pinacoteca di Empoli, la Madonna del Latte tra quattro santi e due angeli nella Galleria dell'Accademia a Firenze, la Pentecoste e la Madonna dell'Umiltà del Museo Bandini a Fiesole, la figura di Santa nel Musée Marmottan di Parigi, i Ss. Giuliano, Giacomo e Michele di New Haven (Yale University Art Gallery: tavola frammentaria) accostati dal Gronau (1950) alla Madonna Contini Bonacossi (Firenze, Palazzo Pitti) e ai pannelli di predella con Storie di s. Michele divisi tra lo stesso museo di New Haven e la Pinacoteca Vaticana, come provenienti dalla cappella Castellani. Sembrano legarsi al momento stilistico del coro di S. Croce la Madonna dell'Umiltà con sei angeli dell'Accademia di Firenze, la lunetta affrescata con la Madonna e il Bambino nel Museo dell'Opera di S. Croce, il S. Bartolomeo in collezione privata svizzera, il Crocifisso di S. Martino a Sesto Fiorentino, i quattro Santi di Indianapolis (Museum of Art, Clowes Collection) appartenenti al medesimo polittico dei quattro Santi berlinesi (Staatliche Museen, Gemäldegalerie), le Madonne dell'Umiltà già a Parigi (Collezione Kann: Sirén, 1905) e a Tucson (University of Arizona: Suida, 1957).
Nel 1387 Benedetto Alberti volle provvedere, con legato testamentario, alla decorazione della sagrestia di S. Miniato al Monte e dell'oratorio di S. Caterina all'Antella presso Firenze (Passerini, 1869). Da quest'ultimo ambiente proviene il trittico, ora in deposito presso le Gallerie fiorentine, databile intorno al 1390; mentre era forse destinato alla sagrestia della chiesa di S. Miniato il notevole polittico ora a Washington (National Gallery), collegabile alla committenza albertiana in base ai suoi catteri agiografici (Boskovits, 1975). Si evidenzia in questa fase il ruolo emergente di alcuni collaboratori di bottega, cui il G. affidò parti secondarie dei suoi polittici, quale il trittico di Berlino (Bodemuseum), con predella di Lorenzo Monaco (Zeri, 1964), proveniente dalla cappella Nobili in S. Maria degli Angeli, consacrata nel 1388, o la Trinità di New York (Metropolitan Museum), accostata alle tavolette di predella del Maestro della Madonna Straus a Praga (Galleria nazionale) e in collezione privata a New York (Boskovits, 1979).
Nel 1391 il G. era a Prato per decorare, insieme con Bartolomeo di Bertozzo e con Niccolò di Pietro Gerini (Supino, 1907; Melis, 1962), il palazzo di Francesco di Marco Datini, in cui il Cole (1967) gli attribuisce il Viridario in una sala al pian terreno e la lunetta col Cristo benedicente sulla porta dell'ufficio, immagine questa riferita dal Boskovits (1975, su parere di Zeri) al Maestro di S. Verdiana. Negli affreschi della cappella della Cintola nel duomo (allora propositura) di Prato, tra il 1392 e il 1395, con Storie della Vergine e del Sacro Cingolo, accostò al ciclo mariano (in diverse scene esemplato su quello paterno in S. Croce a Firenze, cappella Baroncelli) la narrazione moderna di eventi accaduti solo due secoli prima, con un sostanziale recupero di valori figurativi del primo Trecento (Ciatti, 1995), illustrato da composizioni di nuova chiarezza e razionalità compositiva. I documenti ricordano la presenza di aiuti (Bartolomeo di Fruosino, l'unico oggi artisticamente conosciuto, un Vittorio e Neri d'Antonio) accanto al G.; tra i suoi collaboratori in quest'impresa appare anche il Maestro della Cappella Manassei, autore degli affreschi nell'eponima cappella del duomo pratese, probabilmente identificabile con Arrigo Niccolò (Bellosi, 1983-84). Nel 1394 il G. a Firenze intraprese l'esecuzione della tavola d'altare di S. Miniato al Monte, da riconoscersi in quella tuttora in loco nella cappella del Crocifisso; rimaneggiata sin dal secolo successivo per essere adattata al tabernacolo di Michelozzo che tuttora la comprende, è divisa in pannelli con Storie della Passione; Annunciazione; Madonna col Bambino tra santi; i Ss. Miniato e Giovanni Gualberto. Gli stemmi dell'arte di Calimala inseriti nel complesso sono seicenteschi; mentre gli è stata accostata (Gombosi, 1926) la Crocifissione degli Uffizi (Firenze): ma un diverso parere è espresso in proposito dalla Marcucci (1965). In quest'ultima fase di attività, il G. elabora immagini di grande raffinatezza pittorica, quali i Ss. Nicola e Giuliano di Monaco (Alte Pinakothek: con predella forse di aiuti), laterali di un trittico proveniente dalla chiesa fiorentina della Ss. Annunziata; la Syre (1990) avanza l'ipotesi circa la loro originaria collocazione nella cappella di S. Nicola del Palagio, che il Vasari dice affrescata dal padre Taddeo. Appartengono agli anni Novanta anche l'Ultima Cena di Altenburg (Lindenau Museum), le Stimmate di s. Francesco (tavoletta trilobata già a Firenze, Collezione De Carlo), la S. Margherita col dragone di New York (Metropolitan Museum: forse pannello di predella), la lunetta affrescata con la Madonna e il Bambino di Prato (Museo di pittura murale di S. Domenico: proveniente dalla chiesa di S. Donato). Ritmi più falcati in direzione di un'apertura al gotico internazionale si colgono in un gruppo di tavole raffiguranti la Madonna dell'Umiltà: a Jacksonville (FL, Cummer Gallery of Art), a Perugia (Museo della cattedrale), già nella collezione Wildenstein a New York (Shorr, 1954), già a Udine (Collezione Cernazai: Boskovits, 1975). È opera di bottega, di fine secolo, l'Assunta affrescata nella navata sinistra di S. Croce (Boskovits, 1968).
La progettazione di vetrate per il duomo fiorentino di S. Maria del Fiore nel 1394-96 (Poggi, 1909) è associabile alle quattro finestre, con ventiquattro Santi, del terzo e quarto valico di entrambe le navate (Acidini Luchinat, 1995); ma il G. si era già cimentato in questo campo rinnovando le vetrate del coro di S. Croce in epoca probabilmente coeva ai suoi affreschi (Marchini, 1956).
La notizia vasariana circa il restauro dei mosaici duecenteschi della cupola del battistero da parte del G., puntualizzata dal Baldinucci (1681) nel 1384, è stata discussa dalla Giusti (1994); mentre nulla rimane degli affreschi nella cappella maggiore di S. Maria del Carmine (Procacci, 1933-34).
Il G. morì nel 1396 e fu sepolto il 16 ottobre nella chiesa fiorentina di S. Croce (Milanesi, in Vasari [1568], 1878; Cole, 1977).
Il G. chiude, sul volgere del Trecento, la dinastia pittorica dei Gaddi inaugurata un secolo prima dal nonno Gaddo, raccogliendone l'eredità tecnica e formale ma nello stesso tempo enucleando un linguaggio tardogotico fondamentalmente innovatore per la cultura figurativa fiorentina del tempo, premessa ai successivi sviluppi di artisti del calibro di Lorenzo Monaco, del Maestro della Madonna Straus, di Bartolomeo di Fruosino e, soprattutto per la classicità d'impianto delle opere degli ultimi anni di attività, modello su cui poterono riflettere anche i più giovani pittori del primo Quattrocento (Giovanni Toscani, Masolino).
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