GADDI, Agnolo.
Pittore fiorentino della seconda metà del Trecento, figlio di Taddeo e fratello di Giovanni, anch'essi pittori. Da un documento relativo a un incarico amministrativo (Firenze, Arch. di Stato, Bigallo, I, 1379-1383, c. 9r) è stata ipotizzata la nascita di G. intorno al 1350 (Cole, 1977, p. 4), mentre il suo primo impegno accertato è del 1369 a Roma per la decorazione, oggi non più esistente, di due cappelle del palazzo Vaticano, insieme al fratello Giovanni e, tra gli altri, a Giottino, Giovanni da Milano e Vanni da Montepulciano (Müntz, 1890, pp. 2-3), per commissione di Urbano V (1362-1370).La testimonianza più antica di G. a Firenze risale al 1376 (Firenze, Arch. di Stato, Ancisa, c. 667v), ma è solo del 1380 la prima opera documentata, un'Annunciazione eseguita per Giovanni Buccheri, di cui non sono note né la tecnica di esecuzione né il luogo di collocazione (Firenze, Arch. di Stato, Bigallo, I, 1379-1383, c. 9r). Tuttavia dalla carica nel 1382 di consigliere dell'Arte dei medici e speziali, cui già apparteneva l'anno prima (Firenze, Arch. di Stato, Mercanzia, 202), e dal prestigioso incarico di eseguire disegni per le statue della loggia della Signoria (Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Delibere, XX, p. 9b), realizzate dai più importanti scultori dell'epoca, è ipotizzabile un'ampia e riconosciuta attività di G. a Firenze già nel settimo decennio del secolo. Nel 1387 era immatricolato nella Compagnia di s. Luca (Firenze, Arch. di Stato, Accademia del Disegno, già Compagnia dei pittori, I) e nello stesso anno venne pagato per la progettazione della statua di un apostolo che doveva essere eseguita per il duomo da Piero di Giovanni Tedesco (Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Delibere, XXIV, p. 12). Assente per i due anni successivi nei registri della Fabbrica di S. Maria del Fiore, sebbene attestato a Firenze (Cole, 1977, p. 6), G. riprese l'attività per il duomo nel 1390 per la decorazione delle statue in marmo di S. Giovanni Battista e di S. Giovanni Evangelista, per le quali ricevette rimborsi per le spese di doratura (Firenze, Arch. dell'Opera del Duomo, Delibere, XXIX, p. 32).Nel 1391 iniziò la sua copiosa produzione a Prato, per il mercante Francesco di Marco Datini, con cui è nota una corrispondenza già nel 1383 (Prato, Arch. di Stato, Fondo Datini, Carteggi privati diversi, 1092), realizzando gli affreschi del suo palazzo; in seguito, dal 1393 al 1394, eseguì la decorazione della cappella del Sacro Cingolo del duomo (Prato, Arch. di Stato, Fondo del Patrimonio ecclesiastico, 1394, A. II, 8, p. 17) e nel 1395 nella medesima cappella anche un'Assunzione, oggi perduta (Poggi, 1932, p. 369).Gli ultimi anni dell'attività di G. a Firenze sono testimoniati sia da pagamenti per un altare dipinto per la chiesa di S. Miniato al Monte, commissionato nel 1394 e ultimato poco prima della morte, sia da altri crediti saldati nel 1395 dalla Fabbrica di S. Maria del Fiore per i disegni di quattro statue da porre probabilmente sulla facciata del duomo (Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Delibere, XXXVII, c. 12v) e per i progetti per i monumenti di Giovanni Acuto e Pietro Farnese, insieme a Giuliano Arrighi, detto il Pesello (Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Delibere, XXXVII, cc. 17v-18r). Dell'attività dell'ultimo anno di vita di G. è nota una lettera di sollecito di Francesco di Marco Datini per la consegna di due tavole, oggi perdute, una raffigurante la Crocifissione e l'altra S. Pietro (Melis, 1962, p. 94). G. venne sepolto nella chiesa di Santa Croce il 16 ottobre del 1396.Le prime annotazioni critiche circa l'attività di G. provengono, caso pressoché unico per un artista medievale, da uno dei suoi allievi più importanti, Cennino Cennini, il cui celebre trattato, il Libro dell'arte, rappresenta una sistematizzazione teorica e pratica della produzione artistica della fine del Trecento, espressa secondo criteri e nozioni tecniche apprese, come affermato dallo stesso autore, nella bottega di Agnolo Gaddi. Affermata la propria discendenza professionale da G. e di questi dal padre Taddeo, celebrato come allievo diretto di Giotto, Cennini distingue lo stile del proprio maestro, che "colorì molto più vago e fresco che non fé Taddeo suo padre" (Libro dell'arte, LXVII). Le capacità coloristiche di G. furono ribadite da Vasari, che dedicò una vita all'artista e che, nell'annoverare tra le opere di G. gli affreschi eseguiti per il coro di Santa Croce, ricorda che "solamente il colorito fu assai bello e ragionevole" (Le Vite, II, 1967, p. 245). Nell'ampia conclusione della biografia di G., Vasari, pur elencando una confusa serie di presunti allievi del maestro, della quale l'unico pertinente è Cennini, ne riconosce la posizione di iniziatore di un nuovo momento della storia della pittura fiorentina. Sulla scorta delle approssimative e inesatte notizie di Vasari, che poneva inoltre l'attività di G. entro la prima metà del Trecento, Baldinucci (Notizie) ripete non rinvenute produzioni dell'artista come architetto e mosaicista e un giudizio negativo circa la sua opera, che da inizi molto promettenti, procedette "con minore applicazione di quel che per altro avrebbe potuto fare".Il costante riferimento al giottismo e il confronto con la produzione del padre hanno orientato anche gran parte della critica moderna, che a partire da Toesca (1929) ritiene G. un modesto epigono che, pur anticipando taluni aspetti della cultura tardogotica quattrocentesca, non fu in grado di esprimerne i sostanziali aspetti innovativi. Di diverso avviso è Salvini (1936), il quale sottrae G. al confronto con la cultura giottesca per legarlo alla produzione senese della fine del secolo, che costituiva un nuovo assunto stilistico improntato sui media del linearismo e su un più sensibile e vivace contenuto cromatico rivolto alla cultura del Gotico fiorito. Pur ribadendo la posizione critica di Toesca, Bellosi (1965) individua tuttavia nell'analisi degli affreschi del coro di Santa Croce elementi concettuali di appartenenza tardogotica e propone un importante riferimento per la formazione culturale di G. negli affreschi di ambito bolognese di Dalmasio di Iacopo degli Scannabecchi, eseguiti per la fiorentina cappella Bardi di S. Maria Novella intorno al terzo decennio del Trecento. Infine, Boskovits (1975) rintraccia nell'opera di G. la massima apertura della pittura fiorentina della fine del secolo verso la cultura tardogotica, i cui presupposti erano ravvisabili nella produzione di Giottino e soprattutto di Giovanni da Milano, ma anche nell'attività miniatoria del convento di S. Maria degli Angeli a Firenze, il cui riconosciuto successo intorno al settimo decennio va spiegato proprio con la realizzazione di un complesso accordo tra razionalismo e monumentalità fiorentini e istanze naturalistiche della civiltà cortese. Di questo difficile compromesso G. si fece il maggiore interprete, seppure orientato verso un'accezione tardogotica singolare, quale fu quella senese, e condizionato dalla formativa esperienza della bottega paterna, che lo portò a realizzare una riduzione giottesca del Gotico internazionale.La documentata attività a Roma alla fine del sesto decennio, insieme a Giovanni da Milano, Giottino e al fratello Giovanni, attesta un precoce avvicinamento di G. agli esponenti di maggiore rango della pittura fiorentina del momento, che costituivano anche gli elementi in cui la reinterpretazione della cultura giottesca aveva sortito gli esiti più originali e di maggiore qualità e, nel caso di Giovanni da Milano, in cui già si proponevano efficaci coniugazioni con la cultura nordica, prossima alla formulazione del nuovo linguaggio gotico cortese. La mancanza totale di opere documentate nel settimo decennio e soprattutto la sorprendente assenza negli archivi fiorentini di notizie di G. consentono solo di avanzare generiche ipotesi sulla sua formazione. Tra le opere attribuite a questa fase iniziale dell'attività del pittore predomina il trittico di Parma (Gall. Naz.), datato 1375 e proveniente dalla chiesa di S. Maria Novella, in cui sono già presenti caratteri cortesi nell'eleganza esornativa, sovrapposti a una struttura che, sia nell'impianto sia nelle forme, ripete il modello emblematico per l'epoca della Pala Strozzi di Andrea di Cione (Firenze, S. Maria Novella).Documentato a Firenze nel 1380 dalla perduta Annunciazione, G. presenta, nelle opere attribuite a questa fase iniziale, una forte caratterizzazione drammatica con la predominanza di colori freddi (Madonna con Bambino, Firenze, depositi museali; polittico dell'Incoronazione, Washington, Nat. Gall. of Art, e relativi sportelli con quattro santi, Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo). Di poco successivi a questa fase sono il polittico della Madonna con Bambino con sei angeli e quattro santi di Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) e soprattutto la prima grande decorazione ad affresco, la cappella Castellani nella chiesa di Santa Croce, riferibile alla prima metà degli anni ottanta. Sia nelle tavole berlinesi sia negli affreschi fiorentini si manifestano i segni di una chiara rottura della staticità giottesca delle figure, presentate in moti convulsi, e l'evocazione di un inquieto ritmo narrativo che affolla due o tre espisodi delle vite dei santi in un'unica scena, il cui spazio angusto è sottolineato dalle angolose prospettive degli edifici.Già da tempo concluse la vicende artistiche di Giovanni da Milano e di Giottino, fu G. a rappresentare nell'ottavo decennio del Trecento uno dei riferimenti centrali della pittura a Firenze. La conferma di questo ruolo, già indicato dall'esistenza di una nutrita schiera di aiuti di bottega, presente nella decorazione Castellani, giunge poco dopo quest'ultima impresa, sempre nella stessa chiesa, ma questa volta per l'ancora più ambita commissione di Jacopo degli Alberti per l'illustrazione della Leggenda della Vera Croce sulle pareti del coro. Con una ricchezza di episodi che per questo tema iconografico non trova riscontri neppure in epoca rinascimentale, G. dispose tutte le sue capacità narrative, ricche di trovate particolaristiche, in cadenze meno concitate pur conservando la velocità del racconto. È con quest'opera che la cultura pittorica fiorentina, in una delle imprese di maggiore prestigio dell'epoca quale la decorazione del coro di Santa Croce, espresse la sua massima adesione alla cultura cortese. Tra le numerose tavole assegnate a questo periodo, in cui non è chiarito il contributo della nutrita bottega di G. (Maestro delle Madonne, Compagno di Agnolo) e per il quale sono stati proposti radicali ridimensionamenti attributivi (Cole, 1977), vanno segnalati un polittico dell'Incoronazione a Washington (Nat. Gall. of Art), il trittico proveniente dall'oratorio di Santa Caterina all'Antella (Firenze, depositi museali) e un crocifisso conservato nella chiesa di S. Martino a Sesto Fiorentino, vicino per la notevole energia formale ai personaggi affrescati nel coro di Santa Croce (Boskovits, 1975, p. 124).Il successo e la fama raggiunti dopo la decorazione della grande chiesa francescana contribuirono a costituire intorno a G. la più importante bottega di Firenze della fine del Trecento, come indirettamente conferma Vasari nel confuso ma lungo elenco di discepoli ricordato. A Prato, a cavallo dei due ultimi decenni del secolo, G. concentrò la sua attività dapprima per Francesco di Marco Datini, per il cui palazzo realizzò insieme a Bartolomeo Bertozzo tra il 1388 e il 1392 la decorazione di alcune sale con raffigurazioni paesaggistiche, non a caso vicine al palazzo dei Papi di Avignone (Cole, 1965-1966), a conferma dei forti legami con la cultura senese, e in seguito nel duomo (1392-1394), dove illustrò Storie della vita della Vergine e del Sacro Cingolo nell'omonima cappella. In questa impresa si evidenziano i caratteri dell'ultima fase dell'attività di G., dove si distinguono accenti lirici e soprattutto un ritorno alla solennità della figurazione dei primi del secolo (Bellosi, 1965; Boskovits, 1975; Cole, 1977). Appartengono a questa fase le vetrate per S. Maria del Fiore di Firenze (1394-1396), la Madonna dell'Umiltà con dieci angeli (Jacksonville, Cummer Gall. of Art), la Trinità (New York, Metropolitan Mus. of Art), i Ss. Nicola e Giuliano (Monaco, Alte Pinakothek) e l'altare del Crocifisso dell'omonima cappella della chiesa di S. Miniato al Monte, la cui Crocifissione è oggi agli Uffizi.
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