SEGNI, Agnolo
– Nacque a Firenze nel 1522 da genitori appartenenti a un ramo del nobile casato fiorentino dei Segni; il padre fu Giuliano Segni e la madre Piera Masi.
Sebbene non si abbiano notizie dettagliate sulla sua formazione culturale, è noto che Segni si distinse per una sollecita inclinazione verso gli studi umanistici, tanto da essere precocemente considerato «eruditissimo e profondamente versato nello studio della filosofia e poesia» (Notizie letterarie..., 1700, p. 196). In breve tempo si conquistò la stima di alcuni tra i maggiori intellettuali fiorentini dell’epoca, tra cui Leonardo Salviati, Benedetto Varchi, Piero Vettori e Paolo Del Rosso; quest’ultimo, in una lettera a Giovan Battista Deti, scritta da Firenze il 30 ottobre 1556, affermò di essersi giovato negli anni del suo «ingegno», della sua «dottrina» e del suo «giudizio» (Del Rosso, 1568, p. 161).
Dal 1549 divenne un membro stabile dell’Accademia Fiorentina, dove ricoprì diverse cariche, tra cui quella di censore nel 1550. In questo sodalizio, nel quale vanno collocati gli esiti più rilevanti della sua attività intellettuale, si differenziò per un impegno ininterrotto e caparbio che lo portò a esibirsi in numerosi discorsi pubblici; nel catalogo delle orazioni tenute nel consesso fiorentino si segnala che il 30 novembre 1550 tenne una lezione sul canto XIX del Paradiso dantesco e sul concetto aristotelico di intelligenza (Croce, 1945, 1958, p. 112).
Il frutto maggiore del suo iter accademico è rappresentato da sei lezioni sull’arte poetica trasmesse dal codice di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham 531, cc. 45r-91r, che riporta una trascrizione fattane dall’amico Giorgio Bartoli. Una consistente riduzione delle sei lezioni tenute all’Accademia Fiorentina, operata dallo stesso Segni nel 1576, fu pubblicata postuma a Firenze da Giorgio Marescotti nel 1581 con il titolo di Ragionamento [...] sopra le cose pertinenti alla poetica, dove in quattro lezzioni lette da lui nell’Accademia Fiorentina si tratta dell’imitazione poetica, della favola, della purgazione procedente dalla poesia.
Da informazioni incluse in una lettera al gentiluomo genovese Giulio Sale, datata Firenze, 20 ottobre 1576, si evince che le lezioni accademiche, sviluppate a partire da una canzone petrarchesca, furono recitate nel 1573: «Erano sei da me tre anni fa lette nell’Accademia Fiorentina nell’esporre la Canzona del Petrarca In quella parte dov’amor mi sprona; e queste sono quattro, lasciate molte cose, le quali nondimeno vedere si possono ogni volta in quelle poesie, le quali restano appresso di me» (Ragionamento..., cit., c. a2v). Esse furono unanimemente apprezzate negli ambienti intellettuali fiorentini come testimoniano alcune lettere di Bartoli indirizzate a Lorenzo Giacomini nel luglio-agosto del 1573, nelle quali si discute delle dissertazioni di Segni e dell’interpretazione ivi contenuta di alcuni luoghi controversi della Poetica di Aristotele (Bartoli, 1997, pp. 113, 115).
Prendendo le mosse dal modello petrarchesco, Segni estendeva la sua lettura critica ben oltre i confini del testo commentato per offrire una riflessione organica circa «l’intelligenza della poesia in generale, e in particolare della poetica d’Aristotele». Le lezioni sviluppano una ragionamento originale sul valore e sulle funzioni della poesia, concentrandosi in particolar modo sulla definizione della lirica come genere autonomo, in quanto particolare forma di mimesis, intesa non come imitazione di azioni ma di «cose immateriali», poiché il poeta «può imitare parlando egli in suo nome, perché può in suo nome et in persona propria raccontare la favola, et così imitare et esser poeta» (Ragionamento..., cit., p. 15). Per Segni la poesia lirica veniva a configurarsi come un’enunciazione soggettiva, una creazione di immagini compiuta attraverso il linguaggio che aveva raggiunto con il Canzoniere la sua massima espressione, grazie alla capacità petrarchesca di imitare i «costumi e le passioni dell’animo» (p. 161). Con alle spalle i precedenti della Lezione sopra il sonetto “Questa vita mortal” di Monsignor Della Casa di Torquato Tasso e dell’Arte poetica di Antonio Minturno, che avevano già dotato aristotelicamente la poesia lirica di una sua specifica autonomia, Segni estendeva la nozione convenzionale di imitazione contaminando materiali aristotelici con tessere platoniche, al fine di elevare la «melica poesia» al rango dei generi dell’epica e della tragedia.
Nel 1573 Segni si impegnò nello studio, nell’esegesi e nella lettura pubblica di opere aristoteliche, specializzandosi in particolare sulla Retorica e sull’Etica Nicomachea (Bartoli, 1997, pp. 108, 113, 120). Nel biennio 1574-75 avviò una discussione con Filippo Sassetti e altri accademici sull’idea di poesia e sul concetto platonico di imitazione (Sassetti, 1970, pp. 144, 174).
Una traccia ulteriore dell’attività di Segni in seno all’Accademia Fiorentina è conservata in un manoscritto della Biblioteca nazionale di Firenze (Magliabechiano, VIII, Serie 2, tomo II), nel quale è ospitata una Lezione sopra l’Amicizia. Nella Biblioteca privata del marchese Giuseppe Pucci fonti erudite segnalano la presenza di un’altra lezione accademica sul sonetto petrarchesco Se ’l dolce sguardo di costei m’ancide (Vita di Donato Acciaioli, 1841, p. 29). I repertori informano, inoltre, della composizione da parte di Segni di un gruppo cospicuo di sonetti, nonché di una «esposizione de’ sonetti del Petrarca» che, allo stato attuale delle ricerche, risultano smarriti (Notizie letterarie..., 1700, p. 196).
Segni fu attivo anche sul versante storico-biografico con una Vita di Donato Acciaioli, pubblicata postuma nel 1841 da Tommaso Tonelli (Firenze, Marchini) sulla base di un codice fiorentino della Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VIII, 1401 (un’altra copia manoscritta risalente al XVI secolo è conservata a Firenze, Biblioteca Palatina, Mss., 493).
Nella Vita, di cui giunse alle stampe nel 1604 un Sommario all’interno di una miscellanea intitolata Termini di mezzo rilievo e d’intera dottrina tra gl’archi di casa Valori in Firenze col sommario della vita d’alcuni (Firenze, Marescotti, pp. 33-38), la parabola intellettuale e politica di Acciaioli è ripercorsa integralmente, ponendone in luce sia la raffinata educazione umanistica, orientata soprattutto allo studio della filosofia, sia gli incarichi diplomatico-amministrativi svolti per conto dei Medici che gli consentirono di acquisire una fama riconosciutagli dai maggiori letterati del tempo, tra cui Cristoforo Landino e Poliziano, che gli riservarono encomi poetici.
Inanellando i topoi tradizionali del genere legati all’elevazione morale del personaggio biografato, Segni elabora un profilo sospeso tra biografia e storiografia, stilisticamente agile ed essenziale, complessivamente povero di digressioni novellistiche, ove l’esemplarità delle azioni storiche del biografato è sostenuta dalla piena corrispondenza tra «grazia del corpo» e «gentilezza dell’animo» che sigla, come da tradizione, l’explicit celebrativo.
Nel 1576 Segni fu insignito della carica di console dell’Accademia Fiorentina, di cui prese possesso recitando una «bellissima orazione, alla presenza di numerosa e grata udienza» (Notizie letterarie..., 1700, p. 197); durante questo incarico accademico operò accanto ai consiglieri Baccio Valori e Filippo Sassetti e al censore Federigo Strozzi (Salvini, 1717, p. 232).
Morì a Firenze il 2 febbraio 1577. Per celebrarne la memoria gli accademici fiorentini allestirono solenni esequie.
Opere. Le Lezioni intorno alla poesia di Segni sono edite in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, III, Bari 1972, pp. 7-100; Vita di Donato Acciaioli, a cura di T. Tonelli, Firenze 1841, pp. 5-30.
Fonti e Bibl.: P. Del Rosso, Comento sopra la canzone di Guido Cavalcanti, Firenze 1568, p. 161; Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina. Parte prima, Firenze 1700, pp. 196 s.; S. Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 231-233; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 49; G. Giovannini, A. S. and a Renaissance definition of poetry, in Modern Language Quarterly, VI (1945), pp. 167-173; B. Croce, Le teorie della poesia lirica nella poetica del Cinquecento (1945), in Id., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari 1958, pp. 108-117; B. Weinberg, Nuove attribuzioni di manoscritti di critica letteraria del Cinquecento, in Rinascimento, III (1952), pp. 245-259 (in partic. pp. 247-249); Id., A history of literary criticism in the Italian Renaissance, Chicago 1961, pp. 299-304; F. Sassetti, Lettere da vari paesi (1570-1588), cura di V. Bramanti, Milano 1970, ad ind.; N. Gardini, Una definizione tardo-cinquecentesca di poesia lirica: le “Lezioni intorno alla poesia” di A. S., in Studi italiani, VII (1995), pp. 29-45; G. Bartoli, Lettere a Lorenzo Giacomini, a cura di A. Siekiera, Firenze 1997, ad indicem.