Agnus Dei
L'Agnello di Dio è per antonomasia Cristo (Ioann. I, 29 e 36); il paragone è dovuto soprattutto al carattere sacrificale attribuito all'agnello per il suo candore e per la sua mansuetudine; il sangue dell'agnello aveva salvato i figli d'Israele in Egitto al passaggio dell'angelo sterminatore (Ex. 12, 3-5); il sacrificio dell'agnello era prescritto e regolamentato nel tempio di Gerusalemme; il profeta Geremia vedeva prefigurato, nell'agnello, il Cristo-vittima per i peccati del popolo, per la sua mansuetudine e innocenza (Ierem. 11, 19).
Tale simbologia, sorta in seno al popolo ebraico dedito alla pastorizia e all'agricoltura, rimase anche successivamente soprattutto negli scritti di Giovanni Evangelista, per la chiarezza del simbolo. Il Battista qualificò Gesù come l'Agnello di Dio, destinato dal Padre a redimere col suo sangue i peccati degli uomini (Ioann. 1, 29).
Tutta l'Apocalisse narra l'apoteosi dell'Agnello divino nella liturgia celeste; a lui la compiacenza dell'Eterno Padre, l'adorazione dei seniori e delle turbe innumerevoli; a lui è riservata l'apertura del libro della vita e il cantico ineffabile.
Oltre a questo fondamentale significato altri se ne aggiungono: negli agnelli sono simboleggiati i cristiani, affidati alla custodia di Pietro e dei suoi successori (Ioann. 21, 15-16), o inviati in mezzo ai lupi per convertirli (Luc. 10, 3). Questi simboli si trovano efficacemente espressi nei mosaici paleocristiani.
La liturgia cristiana, ispirandosi a quella ebraica, ha accolto nella pienezza del significato l'immagine di Cristo Agnello di Dio, tanto nel sacrificio della Messa che nella rievocazione della settimana santa. Nel primo l'invocazione ricorre nella glorificazione iniziale (Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris, qui tollis peccata mundi, miserere nobis) e nel canto preparatorio alla Comunione (Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis), nella seconda vengono recitati i passi profetici di Isaia e Geremia durante il rito del Venerdì Santo che rievoca la passione e morte di Gesù. L'invocazione Agnus Dei, ecc., conclude le antiche litanie dei santi conosciute da Dante. Un singolare uso pasquale è quello, sorto in Roma nel sec. IX, di benedire gli Agnus Dei, composti col cero della Pasqua precedente e recanti l'immagine dell'Agnello. Infine l'Agnello pasquale figura tra le filigrane almeno dal 1327.
In D. due passi si ispirano ai concetti suesposti; uno in Pg XVI 19, quando D. riporta il canto concorde e inneggiante alla mitezza, che gl'iracondi del terzo cerchio, avvolti nel fumo, innalzano al cielo per invocare la misericordia divina e la pace: Pur ‛ Agnus Dei ' eran le loro essordia; in questo passo l'Agnello rappresenta la mitezza di Dio. L'altro passo si trova in Ep VII 10, in cui D. si rivolge ad Arrigo VII, invitandolo in Italia a riportare la pace come la portò l'Agnello di Dio: Tunc exultavit in te spiritus meus, cum tacitus dixi mecum: " Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi ".
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