agognare
. Il verbo, in D. solo in poesia e sempre in rima, nella lingua due-trecentesca vale principalmente " desiderare con intensità ", sia in senso spirituale che fisico (si conoscono esempi in Giordano e nel Giamboni). In If XXX 138, per rappresentare la propria vergogna dinanzi al rimprovero di Virgilio, D. paragona sé stesso a colui che, facendo un brutto sogno, crede che ciò che sta sognando sia realtà, e desidera sognare, / sì che quel ch'è, come non fosse, agogna, cioè si augura ardentemente che sia un sogno, come se non lo fosse già. Analogo è il valore del verbo in If XXVI 9 tu sentirai, di qua da picciol tempo, / di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.
Negli altri due casi a. non significa propriamente " desiderare ", ma " esprimere, manifestare il desiderio " attraverso segni o atteggiamenti esteriori. Così in If VI 28 Cerbero è paragonato a un cane furibondo ch'abbaiando agogna, e si racqueta poi che 'l pasto morde, / ché solo a divorarlo intende e pugna. Chiosa il Boccaccio: " ‛ Agognare ' è propiamente quel disiderare il quale alcun dimostra veggendo ad alcuno altro mangiare alcuna cosa, quantunque s'usi, in qualunque cosa l'uom vede, con aspettazione disiderare; ed è questo atto propio de' cani, li quali davanti altrui stanno quando altri mangia ". Nella '21 e pressoché nella totalità degli editori moderni, la forma preferita era agugna; Petrocchi porta invece agogna (vedi Introduzione 470, e soprattutto ad l.).
Nella similitudine di Pg XIII 61-66 l'atteggiamento degl'invidiosi è paragonato a quello dei ciechi che chiedono l'elemosina, davanti alle chiese nei giorni festivi: l'uno il capo sopra l'altro avvalla, / perché 'n altrui pietà tosto si pogna, / non pur per lo sonar de le parole, / ma per la vista che non meno agogna, " per l'espressione del volto che agogna non meno, non è meno eloquente nell'esprimere il desiderio di ricevere qualcosa " (Mattalia).
Bibl. - Barbi, Problemi 263-264.