Vedi AGORAKRITOS dell'anno: 1958 - 1994
AGORAKRITOS (v. vol. I, p. 146)
Le nostre conoscenze circa l’attività di A. e della sua officina hanno segnato un rilevante progresso grazie ai rinvenimenti dell’ultimo venticinquennio. I nuovi dati acquisiti riguardano principalmente la statua di culto di Nemesi a Ramnunte e і rilievi che ne decorano la base. Della statua era noto solo un frammento della testa nel British Museum, trovato nello scavo della Società dei Dilettanti (1812-1813); della base si conservavano, nel Museo Nazionale di Atene, diversi frammenti di figure rinvenuti negli scavi di V Stais (1890-1892). Oggi conosciamo il tipo statuario della Nemesi e possediamo gran parte della statua originale. Si è inoltre ricomposta, quasi completamente, anche la sua base.
La ricomposizione della statua, condotta a partire dal 1967 (G. Despinis), è iniziata da piccoli frammenti recuperati a Ramnunte nel corso di una pulizia del sito effettuata nel 1960. A quei frammenti erano da riconnettersi molti altri raccolti nei magazzini del Museo Nazionale. Uniti tra loro і frammenti formarono elementi di maggiori dimensioni e da molti indizi si ebbe la conferma che essi provenivano dalla statua di culto. Infine, grazie all’esame e alla combinazione delle parti che, per aspetti di carattere tipologico e altri elementi di dettaglio, appartenevano alle vesti della figura, fu possibile riconoscere il tipo statuario in repliche di età romana. I risultati di questo studio vennero pubblicati nel 1971. La ricerca sistematica di altri frammenti della statua e tuttavia continuata a Ramnunte anche dopo quella data. Il materiale raccolto, dal quale, si noti bene, sono stati ricomposti consistenti gruppi di frammenti pertinenti al nucleo interno e alla superficie della statua, offre nuovi elementi e punti di appoggio per approfondire un certo numero di problemi, principalmente tecnici, posti dalla statua stessa.
Delle copie romane che ci tramandano il tipo della Nemesi (alle statue e statuette note nel 1971, si sono aggiunti nel frattempo anche nuovi monumenti) le più significative per le dimensioni e la fedeltà all’originale sono una statua della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (inv. 304 a) e, in secondo luogo, una del Museo Nazionale di Atene (inv. 3949). Combinando le copie con і frammenti dell’originale è stato possibile ricostruire la statua in tutti і suoi dettagli di base. Restano ipotetici alcuni elementi accessori, come la corona sulla testa, la phiàle e il ramoscello di melo tenuti in mano dalla dea secondo la descrizione di Pausania. La statua, alta m 3,50 c.a, raffigurava Nemesi, vestita di un chitone manicato con kòlpos e apòptygma, e di un himàtion. I capelli, come hanno mostrato numerosi nuovi frammenti della testa, erano raccolti all’indietro in una piatta crocchia che ricadeva sulla parte superiore della schiena. Nei frammenti dell’originale è evidente l’alta qualità della lavorazione, ma anche il personalissimo carattere che contraddistingue questo capolavoro. La statua continua la precedente tradizione fidiaca, ringiovanita tuttavia da nuove concezioni e da nuovi e più ricchi modi espressivi. È fuori di ogni dubbio, a quanto riferisce Plinio e come già aveva assicurato Antigono di Carisio, che si tratti di un’opera di A. e non di Fidia, al quale assegnano la statua Pausania e altre fonti successive. La statua può certamente datarsi in un momento successivo ai frontoni del Partenone. Confronti con diverse figure dei frontoni stessi - certamente assai affini sul piano stilistico, sì da potersi assegnare al medesimo artista - hanno portato, in combinazione anche con altri indizi, a una datazione intorno al 430 a.C. generalmente accettata.
Un’altra ricerca, condotta da v. Petrakos tra il 1975 e il 1981, ha avuto come risultato la ricostruzione quasi completa della base. Dopo ricerche sistematiche, molti nuovi frammenti delle figure del fregio si sono aggiunti agli altri noti già da lungo tempo, a quelli raccolti nel 1960 e a quanti nel frattempo aveva pubblicato v. Kallipolitis. Si sono individuate, inoltre, parti notevoli del nucleo del fregio e si è ricostruito, da numerosi frammenti, il coronamento della base che era, come indica la pietra di Eleusi in cui è realizzato, in contrasto con il fregio e lo zoccolo in marmo pentelico. Lo zoccolo, alto m 0,175, presenta un sistema di modanature, con treccia e astragalo a rilievo, sulla faccia anteriore e sui lati. Il fregio, alto m 0,50, è costituito da due grandi blocchi posti di traverso e misura m 2,43 sui lati lunghi e m 1,664 su quelli brevi.
Nella parte superiore è praticato un incavo scafoide, profondo m 0,18, entro il quale erano alloggiati i quattro segmenti di pietra di Eleusi, che costituiscono il coronamento. Questo era, a sua volta, ornato sul davanti e sui lati con un sistema di modanature, di cui quella inferiore era posticcia e in altro materiale. Sulla superficie superiore del coronamento si apre la cavità destinata ad accogliere il plinto della statua. L’altezza totale della base, compreso anche un piccolo gradino sul quale - come si è ipotizzato - era collocata, si calcola intorno a m 0,90.
Dalla ricomposizione si è concluso che anche la raffigurazione del rilievo non era limitata alla fronte della base, ma si estendeva anche sulle facce laterali. Su queste erano tre figure e un cavallo, mentre sulla fronte apparivano otto figure, di cui quelle poste alle estremità sono angolari e costituiscono un raccordo con і lati. Abbiamo, cioè, più figure di quante ne riporta Pausania: dieci maschili, due di cavalli oltre alle quattro femminili che occupano il centro della fronte. L’identificazione di quanto rimane di queste figure con quelle descritte da Pausania non è facile, ma in alcuni casi è possibile procedere con sufficiente attendibilità. Il fatto che nel fregio siano presenti figure in rapporto con il mito di Elena unite ad altre connesse con culti localizzati nelle immediate vicinanze di Ramnunte (Neania, Ippeo, Epoco, fratelli di Oinoe, Oinoe stessa, come si tenta di interpretare la quarta figura femminile) complica il problema dell’esegesi della rappresentazione e della identificazione del luogo dove si svolge la scena dell’incontro di Nemesi con Eiena. Un altro problema è costituito dalla precisa datazione della base. Le figure del fregio sembrano piu recenti della statua, ma non è facile determinare la distanza cronologica che intercorre tra l’uno e l’altra. Con questo si collega anche il problema concernente la data d’inizio e la durata dei lavori di costruzione del tempio. Alla cronologia già proposta dal Dinsmoor (436-432 a.C.) si contrappongono oggi l’opinione della Miles (430- 420 a.C.) e la proposta del Petrakos che, basandosi su dati di scavo, pensa a una data ancora più alta del 436-432 a.C.
I nuovi dati stimolarono già nel 1971 la ricerca di altre opere di A. e della sua officina, in un riesame di tutte le precedenti ipotesi e con alcune nuove proposte. Le principali attribuzioni sono qui enumerate senza alcun rapporto con la relativa argomentazione, ma con rimandi ai giudizi, positivi o negativi, formulati in proposito.
Per la statua della Madre degli Dei nell’agorà di Atene, circa la quale la tradizione pliniana (che la attribuisce appunto ad A.) è giudicata la più fededegna, è stato proposto il tipo statuario della Cibele di Livadia. Il tipo e ripreso dalla Cibele da Moschato, datata agli inizi del IV sec. a.C. Per la testa della statua si propone il tipo della testa Ny Carlsberg 246-Corinto. Per le statue di Zeus (o Ade, secondo Strabone) e di Atena Itonìa a Coronea, secondo Pausania opere di Α., sono stati indicati rispettivamente il tipo del c.d. Zeus di Dresda e della Atena Hope-Farnese. Ad Α., che, come si ritiene, colla- boro alla decorazione scultorea del Partenone, sono stati attribuiti il gruppo LM del frontone orientale e la figura N di quello occidentale, le figure IV, 24-27 del fregio orientale e X, 18-19 di quello occidentale e ancora la metopa 17 del lato meridionale. Ad artisti della sua officina sono state attribuite la figura к del frontone orientale e і gruppi PQR e ST di quello occidentale, come anche la serie dei primi cavalieri del fregio meridionale. Ad A. sono stati ancora assegnati і tipi statuari della c.d. Hera Borghese, dell’Afrodite Doria Pamphili, della Demetra Capitolina e della c.d. Agrippina del Laterano (Despinis, 1971). Quest’ultimo tipo e stato interpretato come Kore e, assieme alla Demetra Capitolina, assegnato a un gruppo con queste divinità eleusine. All’officina di A. si attribuiscono il fregio della base della Nemesi e altre sculture da Ramnunte (statuetta di Lisiclide, testa dal Santuario di Anfiarao, parte di un gruppo con scena di ratto, ritenuto acroterio del tempio) e ancora il fregio del Tempio di Atena Nike e gran parte della lastre della balaustra. Per diverse altre opere isolate che si è tentato di mettere in rapporto con Fattività di A. e della sua cerchia, come pure per le opere attribuite ai suoi allievi, non è possibile una discussione analitica in questa sede. La critica costruttiva che è stata esercitata negli anni tra il 1971 e il momento attuale contribuirà al riesame di diverse delle attribuzioni proposte, in vista di un nuo- vo studio, attualmente in preparazione (G. Despinis), sull’opera di A. e della sua officina.
Bibl.: In generale, su Α., sulla sua officina e sulla sua cerchia: G. Despinis, Συμβολη στη μελετη του έργου του Αγορακριτου, Atene 1971 соn bibl. prec. (recensioni a questa monografia sono pubblicate da K. Schefold, in AntK, XIV, 1971, pp. 130-131; J. Frel, in American Classical Review, II, 1972, pp. 77-78; M. Andronikos, in Hellenika, XXVI, 1973, pp. 356-363; J. M. Cook, in JHS, XCIII, 1973, pp. 264-265; N. Bookidis, in AJA, LXXVIII, 1974, pp. 96-97; M. Moltesen, in MeddelelsGlyptKøb, XXXI, 1974, pp. 79-96; J. Dörig, in MusHelv, XXXIV, 1977, pp. 203-204; W. Fuchs, in Gnomon, LIV, 1982, pp. 787-791); v. anche M. Robertson, A History of Greek Art, Londra 1975, pp. 351-355; W. Fuchs, Die Skulptur der Griechen, Monaco 19792, p. 204, fig. 221; B. Sismondo Ridgway, Fifth Century Styles in Greek Sculpture, Princeton 1981, pp. 171-173; ead., Roman Copies of Greek Sculpture. The Problem of the Originals (Jerome Lectures, s. 15), Ann Arbor 1984, p. 74.
Sulla Nemesi: G. Despinis, op. cit., pp. 1-108, 233 (frammenti dell’originale, copie e rielaborazioni, testa, cronologia e altri problemi relativi alla statua); H. Lauter, Die Koren des Erechtheion (AntPl, XVI), Berlino 1976, p. 48, nota 147 (datazione intorno al 420 a.C.); G. Despinis, Ραμνους Αγαλμα Νεμεσεως, in Prakt, 1977, pp. 23-25, figg. 9-11; id., Ραμνους Αγαλμα Νεμεσεως, ibid., 1978, p. 17, figg. 7-8; id., Ραμνους Αγαλμα Νεμεσεως, ibid., 1979, p. 26, figg. 13-15 (frammenti dell’originale rinvenuti dopo il 1971); F. M. Hamdorff, Ein Goldkranz des 4. Jahrhunderts V. Chr., in MüJb, XXX, 1979, p. 38 (corona della Nemesi), B.Vierneisel Schlörb, Glyptothek München. Katalog der Skulpturen, II, Monaco 1979, p. 170, nota 9 (datazione della statua intorno al 430 a.C); G. Despinis, Παρθενωνεια, Atene 1982, pp. 86-87, fīgg- 59-60 (nuova replica dall’Acropoli); E. B. Harrison, A Classical Maiden from the Athenian Agorà, in Studies in Athenian Architecture, Sculpture and Topography Presented to H. A. Thompson (Hesperia, Suppl. 20), Princeton 1982, p. 44, nota 12; ead., Two Pheidian Heads, Nike and Amazon, in The Eye of Greece. Studies in the Art of Athens, Cambridge 1982, pp. 58 e 80 (datazione intorno al 430 a.C); W. Fuchs, art. cit., p. 788 (non esclude una data negli anni 20 del v sec. a.C: cfr. id., Die Skulptur.., cit., p. 204); B. Vierneisel Schlörb, Glyptothek München. Katalog der Skulpturen, III, Monaco 1988, p. 7, nota 17 (ribadisce la data intorno al 430 a.C.); E. B. Harrison, Style Phases in Greek Sculpture from 450 to 370 B.C., in Πρακτικό του XII Διεθνούς Συνεδρίου Κλασσικής Αρχαιολογίας, Αθήνα 1983, III, Atene 1988, p. 103 (ribadisce la datazione al 430 a.C.).
Sulla base della Nemesi: G. Despinis, Συμβολη, cit., p. 66 ss.; B. Kallipolitis, Η βαση του αγαλματος της Ραμνουειας Νεμεσεως, in AEphem, 1978, pp. І- 87, tavv. I-XXXII; V. Petrakos, La base de la Némésis d’Agoracrite, in BCH, CV, I, 1981, pp. 227-253; A. Delivorrias, Αμφισημίες και Παραναγνωσεις γυρω απο την "αντίσταση" των μνημευων στις ερμήνευτικες δυνατότητες του αρχαιολογικού σιοχασμου, in Horos, II, 1984,pp. 83-102; V. Petrakos, Προβλήματα της βάσης του αγαλματος της Νεμεσεως, in Archaische und klassische griechische Plastik. Akten des internationalen Kolloquiums, Athen 1985, II, Magonza 1986, pp. 89-107, tavv. CXI-CXVI; U. Kron, Zur Schale des Kodros-Malers in Basel. Eine interpretatio attica, in Kanon. Festschrift E. Berger (AntK, Suppl. 15), Basilea 1988, p. 295 ss.
Sulla cronologia del tempio: V. Petrakos, Το Νεμεσιον του Ραμνουντος, in Φίλια επη εις Γεωργιον Ε. Μυλωναν, II, Atene 1987, p.317 ss.; M. Miles, A Reconstruction of the Temple of Rhamnous, in Hesperia, LVIII, 1989, p. 133 ss., in part. p. 221 ss.
Attribuzioni: A. Delivorrias, Attische Giebelskulpturen und Akrotere des 5. Jhs, Tubinga 1974, p. 104,nota 460 e F. Naumann, Die Ikonographie der Kybele in der phrygischen und griechischen Kunst, Tubinga 1983, p. 162 ss., concordano con l’attribuzione ad A. della statua di Cibele di Livadia; più prudente B. Vierneisel Schlörb, op. cit., II, p. 509 ss.; E. B. Harrison, A Classical Maiden ..., cit., p. 50, la respinge; H. M. Sturgeon, Isthmia, IV, Sculpture I: 1952-1967, Princeton 1987, p. 86 s., ritiene più attendibile che la statua di A. sia resa in maniera più fedele dal torso di Isthmia. - Per la Cibele di Moschato: I. Papachristodoulou, Αγαλμα και ναος Κυβέλης εν Μοσχατω Αττιχης, in AEphem, 1973, pp. 189-217, tavv. LXXXIX-XCII. - Per un’intepretazione e un’attribuzione del c.d. Zeus di Dresda: G. Neumann, Probleme des griechischen Weihreliefs, Tubinga 1979, p. 68; B. Vierneisel Schlörb, op. cit., II, p. 148 ss., si mostra più scettica; contrari sono: R. Bol, Das Statuenprogramm des Herodes-Atticus- Nymphäums (Olympische Forschungen, 15) Berlino 1984, p. 28 ss., 190 n. 49; R. Linder, in LIMC, IV, 1988, p. 371 n. 3, s.v. Hades; E. B. Harrison, in Classical Maiden, cit., p. 44 ss., che interpreta il tipo come Asclepio e lo attribuisce ad Alkamenes; sulla ricomposizione del gruppo Zeus di Dresda e Atena Hope-Farnese discorda A. Delivorrias, Attische Giebelskulpturen, cit., p. 17, nota 52; H. Lauter, art. cit., p. 47, nota 143, respinge l’attribuzione ad A. di entrambi і tipi statuari. - Per l’Atena Itonìa: W. Fuchs, in Gnomon, LIV, 1982, p. 789, preferisce candidare la Atena Albani (cfr. A. Linfert, in Forschungen zur Villa Albani. Katalog der Antike Bildwerke, I, Berlino 1988, p. 432 ss., n. 135); con l’attribuzione ad A. della c.d. Hera Borghese concorda H. Lauter, loc. cit.; dissentono W. Fuchs, op. cit., p. 206; Ch. Landwehr, Die antike Gipsabgüsse aus Baiae (Archäologische Forschungen, 14), Berlino 1985, p. 88 ss., n. 53; A. Delivorrias, Über die Ausarbeitung und die ursprüngliche Bestimmung, in Kanon, cit., p. 82, nota 6: altri sono generalmente prudenti (cfr. A. Kossatz-Deissmann, in LIMC, IV, 1988, p.671, n. 102, s.v. Hera). - È, in effetti difficile, come sottolinea В. Vierneisel Schlörb, op. cit., II, pp. 166, ss., 170, note 10-12, attribuire allo stesso maestro il tipo della Hera Borghese e dell’Afrodite Doria-Pamphili; la prima è interpretata dalla B. Vierneisel-Schlörb, op. cit, III, pp. 3 ss., 6 ss., nota 17 come Kore ed è attribuita a un gruppo con la Demetra Capitolina; nella seconda, ritenuta quasi unanimemente agoracritea (cfr. A. Delivorrias, in LIMC, IV, 1984, p. 25, n. 157 ss., s.v. Aphrodite), A. Delivorrias, Uber die Ausarbeitung, cit., p. 82, nota 6 (cfr. W. Hornbostel, Aphrodite und Eros, in Kanon, cit., p. 176 ss.) riconosce l’Afrodite Ouranìa di Fidia. - Per l’attribuzione dei tipi della Demetra Capitolina e della c.d. Agrippina dell’ex Lateranense, si sono pronunziati a favore D. Willers, rec. a W. H. Schuchhardt (AntPl, VIII), in Gnomon, XLVII, 1975, p. 501; H. Lauter, art. cit., p. 48 e E. La Rocca, Sulle statuette Grimani. Note in margine a: R. Kabus-Jahn (AntPl, IX), 1972, in ArchCl, XXVIII, 1976, pp. 226 ss., 229. Contro о con molte riserve: A. Peschlow- Bindokat, Demeter und Persephone in der attischen Kunst des 6. bis 4. Jahrhunderts, in Jdl, LXXXVII, 1972, p. 130 ss., nota 287; G. Neumann, op. cit., p. 58 ss.; L. Beschi, in LIMC, IV, 1988, pp. 852, n. 55, 887, s. v. Demeter; A. Kossatz-Deissmann, ibid., p. 672, n. 103 c, s.v. Hera. - Contraria all’attribuzione della c.d. Agrippina e anche B. Vierneisel Schlörb, op. cit., II, p. 163 ss.; IV, p. 7, nota 18; E. B. Harrison, A Classical Maiden, cit., p. 43 ss., accetta l’attribuzione del tipo ad Α., ma interpreta la figura come Afrodite Ouranìa, la cui statua è tramandata come opera di Fidia.
Per opere attribuite all’officina di Α.: V. Petrakos, Προβλήματα ..., cit., p. 97, fig. 5 (testina di Dioscuro); M. Meyer, Erfindung und Wirkung. Zum Asclepios Giustini, in AM, CIII, 1988, pp. 144 ss. nota 127, 147 (testina di Anfìarao).
Per l‘acroterio di Ramnunte: A. Delivorrias, Αμφισημίες..., cit., p. 84 ss. (proposta di abbassare la datazione e nuova interpretazione come ratto di Elena da parte di Teseo); M. M. Miles, art. cit., p. 212 ss. (dubbi sulla pertinenza al tempio di Nemesi).
Su altre opere in relazione con A. e con la sua officina: A. Delivorrias, Uber die Ausarbeitung, cit., p. 81 ss., tav. XXIV (testa Atene, Museo Nazionale, inv. M 4491); E. Weski, H. Frosien-Leinz, Das Аntiquarium der Münchener Residenz, Monaco 1987, p. 132 ss., n. 2, tavv. XL-XLI.
Ulteriori proposte di attribuzione ad A. e alla sua officina: A. Delivorrias, Die Frankforter Aphrodite, in Städeljb, n. s., III, 1971, p. 55 ss. (frammento di torso di Afrodite, cfr., P. C. Bol, Liebieghaus-Museum alter Plastik. Antike Bildwerke, I, Francoforte 1983, p. 88 ss. n. 24); F. Brommer, Ein griechisches Köpfchen, in AA, 1973, p. 217 ss., figg. 1-3 (testina in collezione privata); G. Neumann, op. cit., p. 62, tav. XXXIX (rilievo con divinità di Brauron).