AGORDAT [pron. -àt] (A. T., 116-117)
Grosso villaggio (3000 ab. circa, di cui 14 Europei) della Colonia Eritrea, posto nel territorio dei Beni Amer, sulla sponda sinistra del fiume Barca, poco a valle della confluenza dei torrenti Ferfer e Carobel, ad una quota di 875 m. s. m. È capoluogo del commissariato del Barca, Gasc e Setit: ha pochi edifici in muratura e molte capanne, ufficio postale, telegrafo e telefono ed è ormai collegato con Cheren per mezzo della ferrovia, mentre due importanti carovaniere lo congiungono da un lato con Cassala nel Sūdān, dall'altro con Noggara in Abissinia. Il mercato ha perciò una certa importanza, specialmente per le merci dirette a quelle regioni o da esse provenienti, come semi oleosi, gomma, caffè, bestiame, ecc. Maggiore è però l'importanza agricola e industriale: ad Agordat ebbero luogo i primi tentativi di cotonicoltura in Eritrea, ed anche oggi è centro cotoniero importante: qui è sviluppata in modo particolare l'industria dei bottoni di palma dūm (Hyphaene), le cui noci si raccolgono nelle foreste fiancheggianti il fiume e subiscono ad Agordat la loro prima lavorazione.
Agordat fu teatro di due notevoli fatti d'arme: il 27 giugno 1890 il cap. Fara vi riportava contro i Dervisci una importante vittoria, in grazia della quale si poté estendere l'occupazione italiana ad occidente, oltre il corso del Barca: ma ancora più importante fu la vittorìa che gl'Italiani riportarono sui Dervisci tre anni più tardi.
Battaglia di Agordat (21 dicembre 1893). - Con l'occupazione di Cheren e di Asmara (v. eritrea: Storia), le truppe italiane si trovarono a contatto coi Dervisci, seguaci del Mahdī.
Il trionfo dell'insurrezione mahdista aveva sottratto all'Egitto tutte le regioni dall'alto Nilo e creato un vasto impero indipendente di circa 2.000.000 di kmq., e 10.000.000 di abitanti soggetti al Mahdī. Questi era morto nel giugno 1885 e la sua morte era stata un gravissimo colpo per l'insurrezione; pur tuttavia il califa suo successore, ‛Abd Allāh, riuscì ancora per qualche tempo a guidare le rivolte con successo, mediante talune fortunate imprese, quali la presa di Cassala, la conquista del Dārfūr, la vittoria di Metemmah contro l'Abissinia e le spedizioni nell'Equatoria e nel Bahr el-Ghazāl.
Il califa ‛Abd Allāh si era stabilito a Ondurmān, nelle vicinanze di Khartūm, donde si irradiavano continue spedizioni e razzie contro le misere popolazioni confinanti, fra le quali quelle che si erano sottomesse all'Italia dopo l'occupazione di Asmara e di Cheren.
Nel mese di giugno 1890 un migliaio di Dervisci, spintisi tra le tribù - nostre protette - dei Beni Àmer, si erano dati a devastare e a predare tutto il paese.
Accorso da Cheren il capitano Fara, con due compagnie, e attaccatili sulle sponde del Barca presso Agordat, li batté, uccidendone 250 e togliendo loro i prigionieri e le prede fatte.
Dopo questo brillante fatto d'armi, Agordat venne occupata permanentemente e costituì il posto più avanzato della colonia dalla parte del Sūdān.
Dopo la lezione ricevuta ad Agordat, pareva che i Dervisci avessero abbandonato ogni idea di nuove imprese contro la colonia e le tribù sue amiche, ma due anni dopo, nel giugno 1892, un migliaio di essi, usciti da Cassala, si spinsero fino davanti ad Agordat incendiando e razziando. Accorso da questo forte il capitano Hidalgo con 120 ascari e 200 uomini della banda del Barca, ed incontrati i mahdisti nelle vicinanze di Sarobetì, li batté nuovamente uccidendone 150 e ritogliendo loro il bottino.
Il califa, che fino allora era riuscito a tenere in iscacco Inglesi, Egiziani ed Abissini, irritato per le sconfitte di Agordat e di Sarobetì, nell'anno seguente decise di intraprendere una nuova e più importante spedizione contro gli Italiani, e ne affidò il comando a suo cugino Aḥmed ‛Alī, emiro del Ghedaref.
Questi radunò oltre 10.000 fucili e 400 lance a Cassala, e alla metà del dicembre 1893 mosse improvvisamente verso Agordat, con l'intenzione di spingersi su Cheren e su Massaua.
Mentre si preparava ed iniziava tale invasione, in colonia non se ne aveva sentore, tanto che lo stesso governatore, gen. Baratieri era in licenza in Italia.
Il colonnello Arimondi, che reggeva il comando militare della colonia, non appena ebbe notizia del pericolo, concentrò prontamente in Agordat, ai suoi diretti ordini, 2 battaglioni, 2 squadroni, 2 batterie e le bande del Barca, cioè in tutto 2400 uomini e 8 cannoni.
Alle ore 11 del 21 dicembre i Dervisci, che accampavano nelle vicinanze del forte, a contatto con le nostre pattuglie, passarono il Barca a valle di Agordat, e aggirando fuori tiro a N. delle nostre posizioni, lo ripassarono nuovamente a monte, portandosi a tergo dei nostri ad E. del forte, fra i due villaggi di Sabderàt e Alghedèn e fra i due torrentelli Damtài e Inchierai, in modo da precludere loro ogni via di ritirata.
Il colonnello Arimondi, schierate le truppe fronte ad E. verso i Dervisci, decise immediatamente l'attacco e fece avanzare la sua ala destra contro la sinistra nemica. Il battaglione di estrema destra, comandato dal capitano Galliano, riusciva a passare il Damtài, ricacciando i nemici, ma veniva tosto contrattaccato da preponderanti masse di Dervisci che gli inflissero gravi. perdite e lo costrinsero a ritirarsi, abbandonando le artiglierie.
Il colonnello Arimondi allora rinforzò l'ala pericolante e la rimandò all'assalto, ed in pari tempo aprì il fuoco dal forte e fece avanzare le sue riserve: così, mentre il Galliano riprendeva le sue posizioni e le sue artiglierie, il colonnello Arimondi lo secondava con l'azione vigorosa di tutta la linea.
I Dervisci cominciarono a vacillare: allora l'Arimondi, ordinando una grande conversione a sinistra verso il Barca, li attaccò violentemente da tutte le parti, e dopo due ore circa di accanito combattimento li costrinse, col fuoco e con ripetuti assalti alla baionetta, a ripassare il fiume e a volgere in precipitosa ritirata.
Fu una delle più belle e complete vittorie africane. Il nemico perdette più di un migliaio di uomini, tra i quali lo stesso comandante Aḥmed ‛Alī, e quasi tutti gli emiri; un altro migliaio d'uomini perdette tra feriti e prigionieri, e lasciò nelle mani dei nostri 73 bandiere, una mitragliera, 700 fucili e molte lance. Dalla parte dei nostri caddero morti 3 ufficiali e 98 ascari e rimasero feriti 2 ufficiali, un furiere e 123 ascari. Il colonnello Arimondi fu promosso maggior generale per merito di guerra. Un obelisco, eretto vicino agli avanzi del forte, ricorda i nostri gloriosi caduti.
Bibl.: Agordat, Note e documenti, in Riv. mil. ital., Roma 1894; G. C. Pini, Agordat, Firenze 1902.