BOSIA, Agostino
Nacque il 15 ott. 1886 a Torino. Già nello studio del primo maestro, Giovanni Giani, aveva assistito alla metamorfosi del solenne "quadro storico", qual era inteso da un Gastaldi o da un Enrico Gamba, in scena di genere trattata con minuzioso e manieroso verismo. Ma contro tali tendenze, nella Torino del primo Novecento, si affermavano le ambigue squisitezze del simbolismo bistolfiano; anche il giovane B. fu conquistato dai virtuosistici effetti di luce, da quei lenti ritmi lineari che miravano a vincer l'inerzia della pietra, a trascendere la materia aspirando a una spirituale purezza che, troppo spesso, si traduceva in vago sentimentalismo e in piacevolezza decorativa. Del Bistolfi il B. dipinse un ritratto - oggi conservato nella torinese Galleria d'arte moderna - caratteristico per l'intonazione cinerea, che si ritrova anche nei paesaggi (Lungo il Po, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), non immuni da reminiscenze fontanesiane. Apprezzato come ritrattista (Ritrattodi bimba, Torino, Civica galleria d'arte moderna), il B. partecipò alle principali manifestazioni artistiche: oltre che nei cataloghi delle Promotrici torinesi, il suo nome compare fra gli espositori assidui a Roma e alle Biennali di Venezia.
Qui egli poté avere esperienza diretta di quegli aspetti della pittura europea che al principio del nostro secolo riscuotevano in Italia largo tributo di ammirazione; soprattutto le allegorie di Hodler, esteriormente scarne e intimamente scarse di valori pittorici, dovettero riuscire al B. più congeniali delle estrose decorazioni e della vivida policromia di Gustav Klimt, che pure è stato citato fra le componenti della sua cultura. In realtà, il pittore cerca di coprire una fondamentale povertà di fantasia con l'apparente ascetismo delle forme semplificate, così come la tavolozza svigorita mal riesce a evocare una dolente religiosità. Sono specialmente evidenti queste debolezze negli affreschi lasciati dal B. a Torino: una lunetta nella chiesa di S. Maria degli Angeli (1932), con le Vicende della chiesa e del suo nome, lo mostra ancorato a un generico primitivismo, non raro nell'eterogeneo aggregato di tendenze diverse, o anche antitetiche, confluenti nel Novecento italiano del primo dopoguerra. Promosse il B. a rappresentante dell'arte ufficiale l'ambizioso affresco La Vita, faticosamente composto nel salone de La Stampa, e scoperto nel 1935:sulla lunga parete si allineano monotone e rigide immagini simboliche, dal campanile (simbolo della religione) al fabbro (simbolo dell'industria), passando per l'invenzione peregrina del balilla pensoso sui giocattoli meccanici e del poeta in sparato, involontariamente grottesco. Tuttavia né commissioni ufficiali né personale prestigio valevano a celare i limiti dell'artista; anzi li rendevano più evidenti all'irrequieto ambiente torinese, mantenuto in fermento grazie all'attività di Casorati. Allontanatisi presto dal B. gli allievi più dotati - citiamo in particolare Gigi Chessa -, nel 1940 l'esposizione retrospettiva presenta ai torinesi un linguaggio pittorico appartenente "a una civiltà artistica trapassata"; "anacronistico" è qualificato il pittore anche da critici non avversi al valori della tradizione.
A Torino il B. morì il 20 marzo 1962.
Bibl.: La Fiorentina primaverile (Cat. della mostra 1921), Roma 1922, pp. 26 s.; E. Zanzi, in Emporium, CXI (1940), p. 251 (50 opere di pittura e disegni esposti al Circolo degli artisti); C. L. Ragghianti, in Arte moderna in Italia 1915-1935 (cat.), Firenze 1967, p. 9; H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX. Jahrh.s, I, p. 274 (con bibl.); A. M. Comanducci, Diz.illustr. dei pittori... italiani moderni e contemp., I, Milano 1962, p. 240.