CAPPONI, Agostino
Nacque a Firenze il 3 apr. 1471 da Bernardo di Agostino di Gino (non da Luca, come alcuni storici riportano) e da Costanza di Giovanni Buongirolami.
Il nonno, Agostino di Gino, aveva fatto parte della Balia del 1466, ma questo ramo della famiglia Capponi non aveva in Firenze grande rilievo politico. Lo zio, Luca di Agostino, aveva una ditta mercantile con sedi a Pisa e Firenze che nel 1451 era stata tassata per 60 fiorini: fra i soci di Luca Capponi erano Leonardo di Niccolò Mannelli, Piero di Giovanni Bini e Zenobi di Sandro Biliotti.
Non risulta che anche il C. sia stato avviato alla mercatura. Nulla si sa di preciso della sua attività fino al tempo della congiura, che, nel 1513 gli costò la vita sul patibolo insieme con Pietro Paolo Boscoli. Non si hanno prove di quanto asserito dal Litta circa la sua partecipazione all'Accademia platonica e agli Orti Oricellari; è certo che vale anche per lui come per il Boscoli il legame, affermato dal von Albertini (p. 71), fra umanesimo e religiosità, ma sulla sua formazione e cultura non si può andare oltre semplici supposizioni.
La congiura antimedicea, dei cui particolari nulla di preciso si conosce, fu scoperta il 18 febbr. 1513, quando venne rintracciata una carta perduta dal Boscoli sulla quale era un elenco di circa venti nomi, compreso quello del C. che fu subito arrestato, come sappiamo, fra l'altro, da una lettera del 19 febbr. 1513 spedita da Giuliano de' Medici a Piero Dovizi da Bibbiena.
Già il 23 febbraio il Boscoli e il C. vennero decapitati e il celebre racconto di Luca Della Robbia sulla loro esecuzione è l'unico documento da cui si possa ricavare qualche elemento sulla personalità del Capponi.
Il Della Robbia fu accanto ai due congiurati nella notte del 22 febbraio e ricorda che, già dopo essersi incontrato con il Boscoli, gli venne innanzi il C. "ancor lui co' ferri in gamba". A detta del Della Robbia il C. sarebbe stato meglio predisposto del compagno alla morte, tanto che si sarebbe rivolto al Boscoli con queste parole: "O Pietro Pagolo! Pietro Pagolo! Non morite voi volentieri? Che fate voi?". Il C. non dovette continuare ad assistere al colloquio fra il Della Robbia e il Boscoli, perché quest'ultimo, ad un certo momento, si sarebbe lamentato del C. stesso, "dolendosi che lui era stato alquanto precipitoso nel conferir tal congiura". Il Della Robbia parlò poi al C., mentre il Boscoli si confessava; il C. si era confessato con quello stesso Iacopo Mannelli, che il Boscoli aveva rifiutato e al quale aveva fatto stendere alcune disposizioni testamentarie che non ci sono pervenute.
Il C. affidò personalmente al Della Robbia il compito di far restituire 25 ducati a Lorenzo Segni, suo compare, padre dello storico Bernardo. Sulle parole che il C. rivolse al Della Robbia non si soffermò il Cantimori, limitandosi ad analizzare quelle del Boscoli. Eppure anche l'appassionato atto di fede del C. merita di essere integralmente riferito.
Il C. aveva detto al Della Robbia: "Voi ancora pregate Iddio per me: io muoio volentieri, ancorché innocente". Avendogli il Della Robbia risposto: "Oh Agostino solo Iesu Cristo morì innocente, lasciate andar ogni fantasia di giustificazione, e raccomandatevi a Iesu Cristo che vi perdoni i vostri peccati, e dievi una vera pazienza, acciò che voi salviate l'anima vostra", il condannato rispose: "Vo' dite bene. Che innocenza poss'io avere, che t'ho sempre offeso, Signor mio? Tu mi mandavi l'infermità, e facevimi ricordar dagli amici ch'io mi confessassi; et io dicevo: e' non bisogna, ch'io guarrò. Or io riconosco la mia ingratitudine, e ringrazioti, Signore, che tu m'abbia condotto in luogo che mi bisogna far mio conto diligentemente in questa notte. Eh, Signore buono, questo è segno certo, che per e' meriti della tua passione, tu mi vuoi salvare. Io mi ti do; io voglio esser tuo; io mi sento tutto consolare: e anco quest'ora mi dai tu".
Prosegue il Della Robbia nella sua narrazione: "e così ferventemente, con voce alta parlava sempre buone parole, molto gagliarde a sopportar la morte: e nel parlar disse che avea tocco due tratti di corda, ma che i suoi peccati meritavano molto peggio".
In seguito si fa sempre più evidente il contrasto di personalità e carattere, il diverso modo di affrontare gli ultimi istanti di vita dei due condannati. Il Boscoli appare più taciturno, quasi insofferente dell'atmosfera creatasi intorno, di canti e salmi, che lo distolgono dalla più intima meditazione; mentre il C. non cessa per un attimo di pregare a voce alta.
Nel momento in cui Iacopo Mannelli presenta ad entrambi il sacramento della comunione, il Boscoli ed il C. si chiedono reciprocamente perdono delle loro manchevolezze, e il C. in questa occasione appare assai più eccitato del compagno, tanto che dai presenti gli si intima di tacere ("Agostino mai restò di gridare raccomandandosi a Dio").
Il Della Robbia racconta infine di aver veduto il C. poco prima della decapitazione, che "gagliardamente si raccomandava, e animatamente si condusse a quel punto: a il quale il manigoldo in due tratti gli levò il capo". "Agostino... viddi morto; il qual riteneva nel volto un certo amarognolo, non alieno forse da vera sincerità".
In singolare contrasto con la pietas che anima il racconto del Della Robbia vanno ricordati, a proposito dell'esecuzione del Boscoli e del C., i versi di Niccolò Machiavelli: nel primo sonetto dedicato a Giuliano de' Medici, lo storico fiorentino, dopo aver ricordato di esser stato svegliato dalle preghiere con cui si accompagnavano i congiurati al supplizio, esclamava infatti: "or vadino in buona ora".
Se lo spirito antitirannico della congiura è fuori di dubbio, occorre anche osservare che dalla parte dei Medici si sostenne che la libertà era rappresentata dal governo che era al potere, tanto che nella provvisione del 22 apr. 1513 il Boscoli e il C. sono dichiarati responsabili di "havere... più volte tentato di mutare et di subvertere el presente libero et pacifico stato di questa città": ciò indica come i Medici tentassero in questi primi mesi del loro riacquistato dominio in Firenze di accreditare la tesi di essere i legittimi eredi della tradizione repubblicana della città.
È lo stesso Giuliano de' Medici, d'altronde, in una seconda lettera a Piero Dovizi da Bibbiena del 7 marzo, dopo che già il Boscoli e il C. erano stati decapitati, a ridimensionare la portata della congiura, affermando che si era trattato di "giovani di buone famiglie, ma senza seguito".
Una conferma del desiderio dei Medici di mettere al più presto la parola fine alla vicenda della congiura viene dalla provisione, accennata precedentemente, del 22 apr. 1513, con la quale la Signoria e la Balia decidevano, per "usare in questo caso quella clementia" che, dal giorno dell'ingresso dei Medici a Firenze, "in molti et molti altri casi s'è usata", di rinunciare a qualsiasi confisca: ciò serviva evidentemente non tanto a riabilitare i due congiurati, quanto ad evitare il distacco dal regime delle famiglie del Boscoli e del Capponi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Balie, 43, cc. 112, 118; 44, cc. 192v, 202v-203; L. Della Robbia, Recitaz. del caso di P. P. Boscoli e di A. C., a cura di F. L. Polidori, in Arch. stor. ital., I(1842), pp. L-LII, 273-312; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1888, II, p. 21; M. Sanuto, Diarii, XV, Venezia 1886, col. 373; XVI, ibid. 1887, coll. 25-26; Delizie degli eruditi toscani, XIX(1785), pp. 5, 206; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516…, a cura di J. Del Badia, Firenze 1883, p. 335; N. Machiavelli, Arte della guerra e scritti politici minori, a cura di S. Bertelli, Milano 1961, p. 311; Id., Il teatro e tutti gli scritti letter., a cura di F. Gaeta, Milano 1965, pp. XVIII, 362 s.; H. de Charpin Feugerolles, Les Florentins à Lyon, Lyon 1893, p. 56; O. Tommassini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, Roma 1911, I, 2, pp. 68, 70; P. Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi, a cura di M. Scherillo, Milano 1927, I, pp. 644-648; D. Cantimori, Il caso del Boscoli e la vita del Rinascimento, in Giorn. critico della filosofia ital., VIII(1927), pp. 241-55; G. L. Moncallero, Ilcardinale B. Dovizi da Bibbiena umanista e diplomatico (1470-1520)..., Firenze 1953, p. 332; R. Ridolfi, Vita di N. Machiavelli, Roma 1954, pp 205 ss., 209; R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, Torino 1970, p. 71; A. Molho, The Florentine "Tassa dei traffichi" of 1451, in Studies in the Renaissance, XVII(1970), p. 99; N. Rubinstein, Ilgoverno di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, p. 351; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v.Capponi, tav. XVII.