CASTELLO (Castelli), Agostino
Nato a Sestri Ponente (Genova) il 13 ott. 1822 da Pietro e da Alaria Gaggero, primo di otto fratelli, le umili condizioni non consentendogli gli studi, cominciò presto a lavorare come cocchiere. La prima comparsa del C. tra le file della corrente democratica risale al 1849, in una dimostrazione di piazza a Lerici, dove era occupato presso la famiglia dei conti de’ Benedetti di Barcola.
Alla notizia della catastrofe di Novara e della rivolta di Genova, un gruppetto di dimostranti, tra i quali il C. (fra i più esagitati, secondo il rapporto dei militi), si recò alla caserma dei carabinieri pretendendo la rimozione dello stemma regio dalla facciata. Al rifiuto del comandante, lo stemma venne distrutto e furono prese le armi, e l’azione ripetuta all’ufficio della dogana; le armi furono poi dai dimostranti depositate nel palazzo del comune.
Il C., che era riuscito a sottrarsi al mandato di carcerazione, si trasferiva nel 1852 a Genova, entrando in contatto con gli ambienti della cospirazione democratica. Nel 1855 fu processato con altri democratici per aver tentato nel settembre dell’anno precedente di attirare al mazzinianesimo alcuni militari sardi. Secondo A. Giannelli che, detenuto nel carcere di Genova in seguito aimoti della Lunigiana, vi aveva conosciuto il C., questi si trovava “sotto processo con alcuni sottufficiali dell’esercito, imputati in comune d’aver preparato in Sampierdarena una dimostrazione di protesta contro la spedizione delle truppe sarde per la Crimea” (p. 140). La sentenza, emessa dopo quattordici mesi di detenzione, lo assolse per insufficienza di prove. In qualità di rappresentante della Confederazione operaia genovese, nel 1857 prese parte all’organizzazione dell’impresa di C. Pisacane e della concomitante insurrezione a Genova. Avendo per un disguido dovuto rinunciare a imbarcarsi per Sapri, si assunse l’incarico di rifornire di armi e viveri i partecipanti alla rivolta di Genova del 29 giugno che nelle intenzioni di Mazzini doveva accompagnare il tentativo nell’Italia meridionale. Per questo reato, nel febbraio del 1858, nel processo relativo al fallito moto, fu condannato in contumacia a dodici anni’ di lavori forzati.
Il C., che era fuggito all’indomani stesso dell’insurrezione, si fermò per alcuni mesi a Lugano, donde, tra l’ottobre e il novembre del 1857, si trasferì a Londra. Qui il Mazzini gli trovò un posto di domestico presso un ricco signore cubano, mentre si sforzava di alleviare con piccole somme di denaro l’indigeiiza dei genitori e dei figli, rimasti in Italia. Il C. a sua volta si rese utile sbrigando piccole commissioni, raccogliendo gli articoli da portare alla redazione del giornale Pensiero e azione, facendo da intermediario tra il Mazzini e il Saffi, e adoperandosi, anche con un discorso tenuto in una birreria londinese, alla propaganda mazziniana; fino a quando, nel febbraio del 1859, prima dello scoppio della guerra, beneficiando di una amnistia ritornò in Italia. Qui il C., che aveva condiviso firmandola la dichiarazione del Mazzini apparsa sul Pensiero e azione del 1° marzo 1859, con cui i democratici italiani respingevano l’appoggio dato da Napoleone III alla causa nazionale, intraprese una intensa attività di corriere per il Mazzini, facendo spesso la spola tra Genova e la Toscana; fu tra l’altro latore di un messaggio con cui il Mazzini esortava inutilmente il generale P. Roselli a varcare il confine romagnolo e a invadere con i suoi volontari le Marche. All’inizio del ’60 il C. era di nuovo a Genova, ove collaborava con R. Pilo alla preparazione della insurrezione siciliana; anche questa volta però un contrattempo – sembra un’improvvisa malattia – gli impedì l’imbarco. Partita anche la spedizione di Garibaldi, il Mazzini lo inviò in Toscana per sollecitare un deciso fiancheggiamento della spedizione dei Mille, invitandolo nello stesso tempo a non sollevare la pregiudiziale repubblicana. Il C. non seppe adeguarsi a certi cambiamenti tattici del Mazzini, operati sia nel tentativo di evitare la crisi della sua strategia, sia per non compromettere il processo unitario avviato dal Piemonte. Inquadrato nella brigata cosiddetta di Castel Pucci, che dopo varie vicende e crisi partiva per la Sicilia dove giungeva il 3 settembre, il C. si dimetteva pur di non offrire alcun contributo all’inipresa garibaldina, giudicata troppo vicina agli interessi della monarchia sabauda. Questo atteggiamento indispettì il Mazzini, che nel settembre, scrivendone all’amica C. Stansfeld, aveva annoverato il C. tra gli enragés del suo partito, mentre a Saffi lo aveva descritto come uno di coloro che “gridano, parlano di repubblica e d’energia, son la mia rovina, come i codardi; in fondo pensano più a sé che alla cosa da compirsi”. Anche in seguito, quando nel giugno 1861 il C. fu inviato in missione da F. Bellazzi, segretario dei Comitati di provvedimento per Roma e Venezia, prima a Roma per tastare il polso dei democratici del posto, quindi in Umbria per introdurre di lì alcune casse di armi nello Stato pontificio, il giudizio del Mazzini, che in quel periodo sosteneva la necessità di concentrare tutti gli sforzi sulla liberazione del Veneto, non fu molto positivo: anche se il lavoro era stato compiuto bene, il tentativo, non inquadrato in un disegno più vasto, sapeva troppo di individualismo, e da Londra l’8 sett. 1861 esortava il C. a non operare avventatamente e a non polverizzare l’azione del partito. Quando entrò però a far parte della Falange Sacra, l’organizzazione creata nel 1862 come centro di coordinamento dell’attività democratica, il C. temperò la sua intransigenza antigaribaldina; fu presente a Samico, dove la polizia lo trasse in arresto per rilasciarlo di lì a poco, e seguì Garibaldi sull’Aspromonte.
Rientrato a Genova, riprese la propaganda repubblicana, soprattutto nei ceti più umili. Il 31 dic. 1864 morì a Genova nell’ospedale di Pammattone.
Fonti e Bibl.: Oltre B. Montale, A. C., in Boll. della Domus mazzin., X (1964), 2, pp. 57-66 (con indicazione delle fonti e della bibliografia utilizzate), si vedano: A. Giannelli, 1831-1914. Cenni autobiogr. e ricordi polit., Milano 1925, pp. 140, 233-36, 273, 275 s., 318, 324, 334 s., 347, 380, 431, 439; F. E. Morando, Mazziniani e garibaldini nell’ultimo periodo del Risorgimento, Genova s.d., pp. 53, 58, 91 ss.; L’emigrazione politica a Genova e in Liguria dal 1848 al 1857, Modena 1957, II-III, ad Indices; A. C. emissario di Mazzini in Calabria, in Brutium, XXXVII (1958), p. 4; R. Composto, Sulle origini de “La nuova Europa”, in Rass. stor. toscana, X (1964), 2, pp. 211, 213; B. Montale, A. Mosto. Battaglie e cospiraz. mazzintane (1848-1870), Pisa 1966, ad Indicem; N. Sevi, Intorno all’organizz. della “Falange Sacra”, in Rass. stor. d. Ris., LIX (1972), pp. 370 s., 382 s.