COMERIO, Agostino
Nacque a Locate (od. Locate Varesino, provincia di Como) il 12 maggio del 1784 dal pittore Filippo e da Lauretana Benini di Faenza. Dopo aver seguito gli insegnamenti del padre, quando la famiglia, nel 1800, si trasferì a Milano, il C. si iscrisse alle scuole di figura ed ornato dell'Accademia di Brera. Nel 1803 andò a Roma e, protetto dal cardinale Dugnani vi conobbe artisti e letterati, frequentando tra gli altri Giuseppe Diotti. Nel 1805 ebbe il primo premio all'Accademia del Campidoglio, di cui era allora presidente il Canova, e nel 1806, vincitore del concorso presso l'Accademia di Bologna, ottenne una delle pensioni quadriennali per Roma, la quale gli permise di prolungare il suo soggiorno al 1910, seguendo anche corsi di scultura. Poté così avere, tornato a Milano, dalla Fabbriceria del duomo la commissione di alcune statue e guglie, e la sua opera verrà ricordata nella celebre Storia e descrizione del Duomo di Milano di Gaetano Franchetti (Milano 1821, p. 46). Esistono ancora alcuni suoi modelli di guglia presso il Museo dell'Opera del duomo di Milano. Fu poi a Mantova per disegnarvi le opere di Giulio Romano, su incarico della Commissione filantropica istituita dal generale Miollis per incidere tutti i dipinti dell'artista. A Mantova creò anche alcuni modelli da fondersi in bronzo per la cattedrale di S. Andrea che col mutare delle vicende politiche non vennero mai eseguiti. Nel 1814 si recò a Parigi per studiare le opere allora raccolte nel "Grand Musée", e a Londra per vedervi i marmi del Partenone, appena trasportativi dalla Grecia.
Stabilitosi dopo il 1815 a Verona, vi affrescò gli appartamenti del conte Erbisti, del marchese Pindemonte, del conte Fracastoro e di molti altri nobili veronesi. Eseguì poi i disegni per otto tavole, da incidersi a contorno, da La gran cavalcata di Clemente VII e di Carlo V della sala Ridolfi (Verona, presso Failani e Compagni, s. a. [1816]), affresco di D. Brusasorci conservato a palazzo Da Lisca già Ridolfi. Per questi lavori ebbe nel 1819 dall'Accademia di belle arti di Venezia la nomina a socio onorario. Fu poi chiamato a Venezia dai conti Fioccardi, Capra e Sessa per decorare le loro dimore. Nel 1817 è documentata (Arch. parrocch. di S. Marco, scat. 30, fasc. 2/c) la sua presenza a Milano dove ebbe l'incarico di affrescare con le immagini dei "quattro Dottori" i pennacchi della cupola della chiesa di S. Marco (oggi ricoperti da decorazioni in stucco del Pogliaghi, eseguite nel 1910-15). Alla fine del 1819, rientrò definitivamente a Milano, dove gli fu affidata l'esecuzione degli affreschi sopra l'altar maggiore di S. Satiro, terminati l'anno dopo.
L'opera rientrava in una serie di interventi eseguiti in occasione del restauro della cupola e dell'altar maggiore del tempio. Lo stesso Filippo Comerio vi restaurò i dipinti delle vele e della cupola, mentre l'affresco del figlio raffigurava il popolare Miracolo di Massaio di Vigonzone, il giocatore che aveva pugnalato un'immagine della Vergine col Bambino, venerata nella chiesa stessa.
Nel 1822 ebbe dal barnabita padre Bonola la commissione di un grosso ciclo di affreschi al santuario secentesco della Madonna della Bocciola presso Vacciago sopra il lago d'Orta, terminati nel 1824.
Sulla porta d'ingresso è l'Incontro di Ieftecon la figlia, a destra Mosè e il roveto ardente e a sinistra David che soffoca il leone; nella volta il Sogno di Giacobbe; nella cupola, Maria che intona l'inno di grazia dopo il passaggiodel Mar Rosso, Rebecca al pozzo, Giuditta chemostra al popolo di Betulia il teschio di Oloferne, Giaele dopo aver ucciso Sisara. Nei pennacchi degli archi sono dipinte la Potenza, la Clemenza, l'Umiltà e la Giustizia. Nelle quattro tribune, sotto i pennacchi, gli Evangelisti, e le sibille Cumana, Persica, Tiburtina e Delfica; nel presbiterio a destra, Abigaille supplice dinnanzi a David, a sinistra Mosè che fa scaturire le acque; nella volta del coro e del presbiterio, le medaglie con La Pace e la Giustiziache si baciano, la Visione di Giovanni nellaApocalisse; intorno alle lunette della volta, le sibille Ellespontica, Frigia, Samia e Libica; nella fronte dell'arco del coro, sopra il cornicione, l'Apparizione della Vergine col Bambino ad una Pastorella muta, che recupera la parola. Nella parete del coro, a destra Tobia e l'Angelo, a sinistra Daniele giudice di Susanna e di fronte il Sacrificio di Manne. Ilgrande ciclo fu molto apprezzato per la scelta tematica e lo stile, una sorta di neomanierismo michelangiolesco, di severa ascendenza neoclassica, non privo di richiami al Bossi.
Nel 1823 riportò un grosso successo con due opere presentate all'Esposizione dell'Accademia di Brera, della quale fu perciò creato membro d'onore.
La prima era una grande tela ad olio rappresentante Edipo cieco che abbandona la patria e la famiglia, ispirata alla traduzione di Sofocle del Bellotti, ed acquistata dal principe Galitzin di Mosca. Il quadro, ammirato per l'espressione e il rigore disegnativo, suscitò qualche riserva in merito al colore un po' "risentito". L'altra opera rappresentava un Monumento allegorico in onore di Appiani, con la figura dell'Italia dolente, appoggiata alla base del monumento, mentre il Genio ispiratore dell'artista, deposto lo scudo di Minerva, copre con l'egida il monumento, volgendo l'asta contro il tempo, la gelosia e l'invidia. Nella base era la figurazione allegorica della nascita d'Appiani, con la musa della pittura in atto di deporre il bambino in mano alle Grazie, mentre Giunone Lucina, Minerva e la musa della storia iscrivono l'evento nei fasti delle belle arti. L'opera fu apprezzata anche per i nobili richiami ad alcune delle più felici invenzioni funerarie canoviane, come l'allieriano monumento di S. Croce ed il progettato cenotafio di Newton.
L'Esposizione del 1824 decretò il successo di altre tre opere, soprattutto d'una raffigurazione molto complessa della Morte di Raffaello, anche questa acquistata dal principe Galitzin, nella quale la critica coeva (Gazzetta di Milano, Bibliotecaitaliana) notò, rispetto alle licenze che pittori francesi si erano presi sullo stesso tema, la fedeltà alle fonti storiche in merito ai personaggi realmente presenti all'evento: fra gli altri, vi era rappresentato Michelangelo in atteggiamento di maggior distacco rispetto alla premura degli astanti; e la Fornarina, allontanata per volere del frate carmelitano entrato per somministrare i sacramenti. Il quadro del C. fu tra le prime significative rappresentazioni sul tema poi fortunatissimo delle vite d'artista. Le altre opere esposte furono un Arcangelo Michele vincitore che annuncia ai fedeli il divino patrocinio, ed un'Allegoria in onore di Canova, sempre ad olio. Nel 1826 riscosse consensi assai tiepidi il tentativo di adeguare il proprio linguaggio neoclassico all'imperante clima della pittura di storia romantica, cimentandosi in un tema shakespeariano come Frate Lorenzo che consegna il sonnifero a Giulietta. Le altre sei opere presenti erano di soggetto sacro e vennero ricordate dalla pubblicistica del tempo per il brillante stile neoveneto. Nel 1828espose alcune Sacre Famiglie ad imitazione di Raffaello, dei ritratti ed una pala destinata ad una cappella dell'infermeria dell'ospedale dei padri Fatebenefratelli di Milano, dove è rappresentata la Vergine con ai piedi un malato, e ai lati s. Agostino e s. Giovanni di Dio, istitutore dell'Ordine.
Intanto nel 1827, dopo la morte di Domenico Aspari, fu nominato a pieni voti professore supplente di elementi di figura all'Accademia Braidense, dove insegnò sino alla morte.
Nel 1825il governo gli aveva inoltre affidato l'incarico di dirigere il restauro di tele ed affreschi alla certosa di Pavia; nel 1828 studiò poi i problemi di conservazione del Cenacolo leonardesco, da cui ricavò un grande cartone. Fece anche parte della commissione permanente di scultura relativa al duomo di Milano, all'arco della Pace ed incaricato dalla Congregazione municipale di dirigere i lavori d'erezione di statue e bassorilievi per la barriera di porta Orientale. Fu chiamato anche come commissario nella giuria dei premi di arte ed industria assegnati annualmente dall'Istituto delle scienze, lettere ed arti.
Nel 1828 ebbe la sua più prestigiosa commissione, cioè gli affreschi per la cupola di Pellegrino Tibaldi in S. Sebastiano a Milano. Fece allo scopo lunghi viaggi di studi a Parma, a Piacenza e nel Veneto, dove esaminò soprattutto le opere del Correggio e del Pordenone. Complessa fu anche la gestazione dei grandi cartoni preparatori, per cui solo nel 1833 egli s'accinse a porre mano agli affreschi, interrompendo il lavoro per un breve periodo a causa di disturbi cardiaci.
Nella cupola, divisa in otto spicchi, con un tamburo di sedici campi, divisi da otto finestre praticate sotto al centro degli spicchi, sono rappresentati i Quattro dottori della Chiesa, alternati agli Evangelisti, e sotto vari Angeli in atto di esprimere le gesta con le quali i dottori e gli evangelisti onorarono la Chiesa. Lateralmente alle finestre nel tamburo sotto gli spicchi dovevano essere otto Profeti ed altrettante Sibille; il C. poté dipingerne solo sei ed il committente non volle che nessun altro terminasse l'opera.
Nel 1834 si recava a Recoaro per riposarsi del lavoro e trovare sollievo alla salute malferma, ma vi morì il 5 agosto, lasciando non terminata anche una grande ancona con lo Sposalizio della Vergine. La sua ultima tela fu il ritratto "più grande del vero" dell'imperatrice Maria Teresa, per la Biblioteca di Brera, dove è ancora conservato.
Rimangono poi i ritratti di Gaetano Chiari e del mercante di nastri e sete Giovanni Battista Marietti nella collezione iconografica dei benefattori della quadreria dell'ospedale Maggiore di Milano, eseguiti rispettivamente verso il 1822 e il 1826. Sempre nel campo della ritrattistica ricordiamo i disegni per una serie d'incisioni, riproducenti uomini illustri, eseguite negli anni Trenta da Giovanni Todeschini e Giacinto Maina. Aveva inoltre continuato a fornire, dal 1821, i disegni per le prestigiose incisioni delle Opere dei Grandi Concorsi premiate dalla Reale Accademia di Belle Arti in Milano. Nel 1835l'Esposizione accolse, come omaggio postumo, tre suoi quadri: una Sacra Famiglia, Andromeda legata allo scoglio, ed il ritratto di Maria Teresa, presenza che sì concluse in un bilancio negativo da parte della critica coeva sulla sua opera, anche se si levava, sempre nel 1835, a difesa, in seno alla pubblicistica liberale, la voce di Ignazio Cantù. Questi segnalava, in termini che meriterebbero di essere ripresi dalla storiografia contemporanea, l'importanza del trasferimento da lui operato del più rigoroso linguaggio neoclassico, dì ascendenza cinquecentesca (con riferimenti a Bossi, Canova, Diotti), nell'ambito della tradizione della pittura sacra lombarda, così recuperata ad una nuova dimensione civile e politica.
Fonti e Bibl.: Restauram. della cupola e dell'altar maggiore nella chiesa di S. Satiro, in Gazz. di Milano, 17 ott.1820, pp. 1491 s.; Dipinti a buon fresco nel Santuario d'Orta, di A. C. milanese, ibid., 9 marzo 1822, pp. 367 s.; Esposizione in Brera - Quadro del C., ibid., 22 sett. 1823, pp. 1607-1609; Esposizione in Brera - Dipinti di Agricola, di Felice Schiavoni e del Fabris - Monum. d'Appiani, dipinto dei C., ibid., 9ott. 1823, pp. 1716 s.; Le migliori Esposizioni nelle Sale di Brera. Almanacco, Milano 1824, pp. 13-16 (tav. inc.); Kunstausstellung in der Brera zu Mailand in Jahr 1823, in Kunstblatt, febbraio 1824, p. 58; Dipinto del C., in Gazz. di Milano, 15 sett. 1824, pp. 1041-1044; Esposiz. in Brera... L'Arcangelo Michele, dipinto del C., ibid., 22 sett. 1824, p. 1070; Oggetti di belle arti esposti nelle sale e gallerie dell'Imp. Regia Accademia, in Bibl. italiana, ottobre-dicembre 1824, p. 406; Kunstausstellung in der Brera zu Mailand in Herbst 1824, in Kurstblatt, agosto 1825, pp. 254 s.; Esposizione di Belle Arti in Brera. Almanacco, Milano 1826, p. 55; Esposizione in Brera. Dipinti del Comerio, in Gazz. di Milano, 14 sett. 1826, pp. 1013 s.; I. Fumagalli, in Bibl. italiana, luglio-settembre 1826, pp. 403 s.; Esposizioni di Belle Arti in Brera. Almanacco..., Milano 1827, p. 65; Kunstausstellung in Mailand in Jahr 1826, in Kunstblatt, luglio 1827, p. 227; I. Fumagalli, in Bibl. italiana, luglio-settembre 1828, pp. 207 s.; V. Crivelli, A. C., in Gazz. di Milano, 20 e 21 ag. 1834, pp. 914-916, 917-919; M. S., C. A., in Ricoglitore ital. e straniero, I (1834), 2, p. 720; C. Cantù, in Le glorie delle belle arti... nel palazzo di Brera, Milano 1835, pp. 121-136; Descriz. degli argomenti delle pitture a buon fresco eseguite nella cupola di S. Sebastiano in Milano dal defunto pittore A. C., Milano 1835; I. Fumagalli, Esposizione di Belle Arti nell'I. R. Palazzo di Brera, in Bibl. ital., luglio-settembre 1835, pp. 340-341; I. Cantù, Di A. C. e de' suoi dipinti a fresco nella chiesa di San Sebastiano in Milano, in Ricoglitore ital. e straniero, II (1835), I, pp. 451-456; V. Crivelli, Sacra Famiglia di A. C., in L'Ape ital. di Belle Arti, IV (1838), p. 25 (tav. XVII); A. Caimi, Delle arti del disegno e degliartisti nelle provincie di Lombardia dal 1777 al 1862, Milano 1862, p. 64; G. Mongeri, Guida di Milano, Milano 1872, pp. 91, 95, 220, 282, L. Verga, Guida di Milano, Milano 1906, pp. 306, 315, 346; G. Verchi, in Mostra dei maestri di Brera (1776-1859), Milano 1975, pp. 151 s.; R. I. M. Olson, Italian19th Cent. Drawings... (catal.), New York 1976, n. 109 (copia da una Madonna del Boltraffio); M. T. Fiorio, in La Ca' Granda. Cinque secoli di storia e d'arte dell'Ospedale Maggiore di Milano, Milano 1981, pp. 206, 211, 364; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 272.