DAL POZZO, Agostino
Nato a Rotzo (Vicenza) il 23genn. 1732 da Pietro e Maria Maddalena Dalla Costa, poveri contadini dell'altopiano, poté avviarsi agli studi grazie all'interessamento e all'aiuto di uno zio paterno che lo inviò, non ancora ventenne, prima a Trento ad apprendere la filosofia poi alla facoltà di medicina di Padova. Era ormai vicino alla laurea quando improvvisamente lasciò l'università e si fece prete; ordinato dal card. C. Rezzonico, entrò come maestro di terza classe nel collegio Brontura dove rimase per due anni; divenne poi precettore e direttore letterario nella nobile famiglia bassanese dei Roberti -di cui educò due successive generazioni di allievi (lasciò inedite anche delle Memorie intorno alla vita dell'ab. Robervi Giambattista, ora disperse).
Estraneo a qualsiasi altro impegno pubblico, sia civile sia religioso, condusse una tranquilla esistenza di studio nella città di Bassano, allacciando però fecondi rapporti di collaborazione culturale con alcuni dei più significativi esponenti della cultura e dell'erudizione veneta, come Iacopo Morelli, Giambattista Brunacci e Giambattista Verci; anche in altri paesi europei aveva amici e corrispondenti che lo tenevano aggiornato sulle novità librarie nel campo della filologia, della linguistica, della storia medievale e moderna.
Molti suoi scritti in prosa e in versi rimasero inediti e finirono per andare in gran parte dispersi dopo la sua morte: infatti, infaticabile ricercatore in archivi e biblioteche, si curò poco o punto della pubblicazione delle sue opere, che videro la luce solo nel secolo successivo.
L'amore fervido e appassionato alla sua "patria" dei sette comuni dell'altopiano d'Asiago gli ispirò decenni di ricerche linguistiche, filologiche, antiquarie, storiche e letterarie che organizzò nelle ampie Memorie istoriche dei Sette Comuni vicentini, che solo nel 1820, per l'interessamento del commissario distrettuale di Rotzo e degli altri comuni, Angelo Rigoni Stem, vennero stampate a Vicenza (una seconda edizione a cura di G. Rebeschini è del 1910 a Schio, una ristampa anastatica dell'ed. Forni del 1974 a Bologna).
Questo volume di Memorie a noi pervenuto è in realtà solo la prima parte di un'opera molto più ampia che doveva comprendere una sezione seconda, costituita dalla Breve storia delle chiese parrocchiali del Sette Comuni, rimasta inedita e ora irreperibile e che secondo il Bonato, che poté consultarla, era "una continuazione delle Memorie"e formava con loro "un solo corpo di storia di tutti i singoli comuni, delle contrade annesse e delle loro Chiese" (Bonato, Storia..., p. 15); completava l'opera un ricchissimo vocabolario universale dei dialetti tedeschi parlati nei sette comuni e nei tredici comuni veronesi, ricco di ben otto-novemila vocaboli, anch'esso sfortunatamente smarrito.
Delle ricchissime sezioni oggi perdute sono rimasti alcuni frammenti manoscritti relativi al comune e alla chiesa di Asiago (Bassano, Bibl. comunale, mss. 33-A-8-2, 33-A-8-3) e l'opuscolo postumo Dell'antichità e delle prerogative della chiesa di S. Gertrude di Rotzo (Vicenza 1859).
Le Memorie si articolano in sei capitoli e si aprono con un'analisi critica delle opinioni correnti circa l'origine dei popoli cimbrici dei sette comuni vicentini che, per la loro lingua tedesca, formavano "una piccola nazione a parte". Desideroso di "sgombrare le popolari ed insussistenti opinioni e di mettere nel suo prospetto la verità" e di riformare "le favole e chimere" tramandate nei secoli, il D. segue in larga misura le indicazioni metodologiche di Scipione Maffei: così diffida degli umanisti che ritengono i Cimbri dei sette comuni residui delle popolazioni sconfitte da Mario e rifugiatesi sui monti boscosi del Vicentino, dimostra l'inanità delle tesi di coloro che li fanno discendere dai Tigurini, dagli Alemanni, dagli Unni ("questa fola"), dai Goti e propende per una tesi intermedia e mista: c il frutto di un lungo esame imparziale di ciascuna opinione relativamente a questo oscuro intricatissimo punto dell'origine de' nostri popoli mi ha indotto a tener per fermo che non provengano da una sola schiatta, ma siano piuttosto un miscuglio di più sorta di genti settentrionali" (p. 33).
Di notevole interesse il capitolo Della lingua tedesca de' nostri popoli, confrontata cogli antichi e moderni dialetti della Germania e con un breve dizionario domestico della medesima per il quale si è parlato del D. come di un "pioniere" dello studio comparato delle lingue: egli analizza le affinità e discordanze della lingua cimbrica coi dialetti tedeschi, fiammingo, gotico, danese e sostiene l'opinione che essa derivi dal sassone, attraverso una degradazione dovuta alla mancanza di una tradizione scritta. Proprio partendo dall'analisi linguistica il D. pronuncia parole di caldo amore per le tradizioni antiche della sua "patria" cimbra, lamentando la crescente perdita di identità culturale di quelle fiere popolazioni montanare: commercio, frequenti contatti con gli altri abitanti della regione e matrimoni misti stanno facendo arretrare il cimbrico a vantaggio della lingua italiana. Gli abitanti dei sette comuni "sono venuti da qualche tempo a tale riscaldamento di fantasia, che odiano e vilipendono la propria lingua, vergognandosi di parlarla quasi fosse un disonore e una infamia il servirsene" (p. 49); egli rivendica invece il valore e la dignità del modesto dialetto dei suoi padri: "È purtroppo vero che ogni lingua, per destino inevitabile a cui va soggetta, deve presto o tardi essere soverchiata ed estinta da un'altra che s'introduce e si fa dominante. Ma chiunque è animato da un vero amor patrio, non può non sentire un vivo rammarico nel veder perire la favella che succhiò col latte, e che tutti siamo naturalmente portati ad amare. Non v'ha infatti nazione per barbara che sia, che non cerchi di conservare e propagare la propria lingua" (p. 48).
Passando dalle osservazioni sulla lingua all'analisi degli usi e costumi dei Cimbri, il D. mostra di soggiacere integralmente ai miti storiografici e filosofici del suo secolo: essi conservano, a suo parere, molti dei tratti distintivi degli antichi Germani, così come sono stati tramandati dalle pagine degli storici classici. Come gli uomini descritti da Tacito sono alti, nerboruti, resistenti alle fatiche, hanno sobrietà e rozzezza di costumi, "uno spirito bellicoso, facile al risentimento, e pronto a scuotersi ed accendersi al solo nome di soperchieria, di violenza, di servitù poiché non conoscono, né tollerano altra subordinazione fuorché quella che professano spontaneamente e prestano al loro principe" (p. 123).
Il D. è convinto che i Cimbri "essendo vissuti lungo tempo fra questi boschi in una gran simplicità e rozzezza lontani da ogni infezione di cattivo esempio, abbiano anche conservato lungamente queste buone qualità, regolando le loro azioni a norma dell'equità naturale, e a tenore delle buone disposizioni del loro cuore supplendo con queste alle leggi scritte che loro mancavano" (p. 128). Le Memorie comprendono anche capitoli riservati alla descrizione geografica dei monti e dei fiumi dell'altopiano, alla flora e alla fauna, ai prodotti dell'agricoltura (interessante la sua perorazione per l'introduzione della patata per l'alimentazione umana), a vari usi, costumi, feste della popolazione; conclude l'opera un vocabolario domestico in uso nei sette comuni (pp. 221-264).
Nonostante la mancanza della seconda e della terza parte e soprattutto dello splendido vocabolario comparato abbia in parte nuociuto alla loro fortuna, le Memorie sono una ricerca di fondamentale importanza per la storia dei sette comuni dell'altopiano; i successivi studi che nel XIX e XX secolo, a partire dalla Storia del Bonato, sono ritornati su questo lembo di terra vicentina non hanno potuto prescindere dalle indagini folkloriche, linguistiche e storiche del Dal Pozzo. Oltre alle Memorie questi pubblicò pochissime altre cose: meritevoli di ricordo sono l'opuscolo Della patria e della vera famiglia della beata Giovanna Maria Bonomo (Bassano 1783) e i Rapporti al governo centrale vicentino-bassanese nella materia beneficiaria e successiva sua deliberazione (Vicenza 1797), stesi durante l'invasione napoleonica insieme con Giambattista Clementi e con l'abate Livieri di Camisano.
Morì a Bassano del Grappa (Vicenza) il 28 luglio 1798
Fonti e Bibl.: Bassano del Grappa, Bibl. comunale, mss. 31.D.24, 33.A.8.2, 33.A.8.3, 33.B.8.24.1, 33.B.24.2, 33.B.24.4, VII.A.17, XVIII.24; M. Bonato, Storia dei Sette Comunie contrade annesse dalla loro origine alla cadutadella Veneta Repubblica, I, Padova 1857, pp. 7, 11-24; G. B. Baseggio, A. D., in E. De Tipaldo, Biografta degli ital. illustri…, V, Venezia 1837, pp. 241 ss.; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei sec. decimottavo e decimonono, II, Venezia 1907, pp. 589 s.