AGOSTINO di Giovanni
Scultore e architetto senese, figlio di un maestro Giovanni, è ricordato con ampie, ma inattendibili notizie, dal Vasari, insieme con Agnolo di Ventura: dati sicuri sulla sua vita si possono invece desumere da documenti pervenutici. La più antica notizia che lo riguardi è dell'11 sett. 1310 e si riferisce alle sue nozze con Lagina di Nese (da cui poi ebbe Giovanni e Domenico).
Nel 1329 veniva compensato dal Comune di Siena per aver portato una lettera a Pier Sacconi ad Arezzo. Datato 1330 (Hoc opus fecerunt magister Augustinus et magister Angelus de Senis MCCCXXX)è il monumento al vescovo Guido Tarlati, nel duomo di Arezzo. Nel 1331 lavorava alle volte del Palazzo comunale di Siena; il 10 marzo 1332 A. riceveva ad Arezzo, insieme col figlio Giovanni, un pagamento per la cappella Ghini nella pieve di S. Maria; il 7 febbr. 1333 veniva loro allogata un'altra cappella nella stessa pieve; nel 1336 lavorava alla costruzione della fortezza di Massa Marittima; nel 1337 si recava con Giovanni ad Orvieto. Nel 1339 era di nuovo a Siena con l'ufficio di Operaio della Torre del Comune, e nel 1340 si impegnava con altri maestri a far venire l'acqua alla fonte del Campo. Sempre a Siena, il 4 febbr. 1340, in società con maestro Agostino di maestro Rosso e con maestro Cecco di maestro Casino, stipulava le condizioni per la costruzione della facciata verso strada del palazzo Sansedoni (ne resta il disegno a penna in testa al contratto conservato nello stesso palazzo): facciata oggi completamente trasformata. Il 23 marzo 1340 concedeva il permesso ed il consiglio per la nomina del figlio Giovanni a capomaestro dell'Opera del duomo. Al 1343 risalgono vari ricordi di compre e vendite di case e terreni, dai quali risulta che A. abitava a Siena nel Popolo di S. Quirico. Morì prima del 27 giugno 1347, quando Giovanni è designato come "olim magistri Agostini".
Il monumento funebre del vescovo Guido Tarlati - che nel 1783 dalla cappella del Sacramento fu trasferito presso la porta della sagrestia del duomo d'Arezzo - eseguito in collaborazione con Agnolo di Ventura è l'unica opera firmata di Agostino.
Esso è costituito da un grande tabernacolo, con timpano cuspidato sovrastante un ampio vano, ora vuoto, sul quale si ritiene che un tempo fosse una statua del vescovo. Nel tabernacolo è la camera funebre, aperta sul davanti in modo da lasciar scorgere l'immagine del vescovo giacente. Sotto di essa sono disposti, su quattro file, sedici pannelli a rilievo intervallati da statuette del vescovo (tutte decapitate nel 1341, al tempo della cacciata da Arezzo di Pier Sacconi e dei Pietramaleschi, già alleati dei Tarlati), che illustrano le principali vicende della sua vita. Le iscrizioni nelle cornici, rifatte probabilmente alla fine del sec. XVIII, indicano il soggetto dei singoli rilievi: 1) Fatto vescovo (da Clemente V nel 1313); 2) Chiamato signore (1321); 3) Il Comune pelato (allegoria del malgoverno dei predecessori del Tarlati, che trova riscontro in un perduto affresco di Giotto descritto dal Ghiberti, dall'Anonimo Gaddiano e dal Vasari); 4) Comme in Signoria (allusivo al ristabilimento dell'autorità del Comune per opera del Tarlati); 5) El Fare de le Mura (di Arezzo, fatte costruire dal Tarlati nel 1319); 6) Lucignano (resa del castello); 7) Chiusci (assedio di Chiusi); 8) Fronzola (espugnazione del castello, 1322); 9) Castei Focognano (resa del castello); 10) Rondine (conquista del castello di tal nome, 1323); 11) Bucine (allocuzione del Tarlati dopo la presa del castello); 12) Caprese (conquistato nel 1324); 13) Laterina (distruzione delle mura, 1326); 14) Il Monte San Savino (sua distruzione); 15) La Coronazione (di Ludovico il Bavaro, avvenuta nel duomo di Milano il 16 giugno 1327 per mano del Tarlati); 16) La morte di Misere (cioè del vescovo). W. Cohn-Goerke ha tentato di distinguere le mani dei due collaboratori: ad A. spetterebbero le sculture della zona della camera funebre, i pannelli 1, 2, 3, 4, 13, 14, 15, 16 e parte di quelli 6 e 11.
Ad A. e ad Agnolo di Ventura sono pure attribuiti i rilievi provenienti dall'arca dei SS. Regolo e Ottaviano (1320), già nel duomo di Volterra, ora nel Museo dell'Opera della stessa città.
Interamente eseguito da A. è invece da ritenere il monumento a Cino dei Sighibuldi nel duomo di Pistoia (già attribuito a un Cellino di Nese, che fu invece solo l'accollatario dell'impresa), commesso nel 1337.
Numerose altre opere sono state, anche di recente, attribuite ad A.: ma, eccezion fatta forse per il prospetto di una cappella sepolcrale della famiglia Petroni, datato 1336, ora nel chiostro del convento di S. Francesco a Siena, sono tutte attribuzioni da respingere.
Attraverso le poche opere sicuramente assegnabili, A. appare di gran lunga inferiore alla grandissima fama di cui fu circondato fino alla metà del sec. XIX. La sua plastica, che deriva direttamente da quella di Tino di Camaino per la massività dei volumi sommariamente squadrati e depressi in larghi piani, ha i contorni delle figure rigidi e scarsamente rilevati, e le mosse appaiono spesso impacciate, salvo che nel monumento Tarlati, notevole per la rustica franchezza e per la spontaneità con cui sono evocate le imprese del bellicoso vescovo ghibellino.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite ... con nuove annotazioni e commenti di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 429-445; F. Baldinucci, Notizie de' Professori del Disegno, Firenze 1681, p. 128; L. Cicognara, Storia della scultura, II, Prato 1823, pp. 131 ss.; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, pp. 154, 200-206, 231-232; A. Toti, La chiesa di S. Francesco di Siena e i Piccolomini, in Bullett. senese di storia patria, I (1894), pp. 77-97; S. Borghesi-L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898, p. 17; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IV, La scultura del Trecento, Milano 1906, pp. 367-386; W. R. Valentiner, Studies in Italian Gothic Plastic Art, II, A. di O. and Agnolo di Ventura, in Art in America, XIII (1925), pp.3-18; Id., Observations on Sienese and Pisan Trecento Sculpture, in The Art Bulletin, IX (1926-27), pp.187-191; W. Cohn-Goerke, Scultori senesi del Trecento, in Riv. d'arte, XX (1938), pp. 242-289; E. Carli, Goro di Gregorio, Firenze 1946, pp. 23, 52; P. Toesca, Storia dell'arte ital., II, Il Trecento, Torino 1951, pp. 128, 296-297, 301, 312, 421; J. Pope-Hennessy, Italian Gothic Sculpture, London 1955, pp.189-190; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, pp.128-130 (con bibl.).