FAPANNI, Agostino
Nato il 25 ag. 1778 ad Albaredo (od. frazione di Vedelago, provincia di Treviso), da Francesco, avvocato bresciano, e Augusta Tosetti, dopo i primi studi nel collegio comunale frequentò il seminario di Padova e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza; gli studi, interrotti per la rivoluzione del 1797, si conclusero con la laurea il 7 ag. 1800.
Salvo poche cause civili e criminali discusse a Mestre a tutela di alcuni clienti poveri, non esercitò la professione forense; nel 1803 divenne notaio e ricoprì questa carica per tutta la vita, dedicando peraltro gran parte del suo tempo alla cura dei campi. Il padre, un grande fittanziere, gli aveva lasciato un'ampia tenuta che egli, con un'attenta amministrazione ed un'intelligente applicazione dei più moderni metodi di coltivazione, riuscì ad ampliare considerevolmente: la fattoria di 149 campi trevisani di Martellago, acquistata dal padre il 15 apr. 1809 dalla patrizia veneta Elisabetta Corner Grimani, passò dalle 917 pertiche del catasto napoleonico del 1812 alle ben 1.748 di quello austriaco (M. Berengo, L'agricoltura veneta..., p. 339).
L'agricoltura, teorica e pratica, fu la grande passione e la vera ragione della sua lunga ed operosa esistenza; sulla buona formazione umanistica ereditata dagli studi giovanili innestò una vasta e vivace cultura, aperta a molteplici interessi letterari, giuridici, storici, scientifici, sempre con un occhio di favore ai prediletti studi agronomici. Testimonianza dei giovanili studi umanistici sono la traduzione dal francese del Saggio storico dei prefetti al tempo della Repubblica e degli imperatori di Roma (Treviso 1806, ristampata nel 1809, a Mira, nella "Biblioteca utile e dilettevole") ed il poemetto in versi sciolti Intorno al castello di Mestre (Treviso 1800), corredato di annotazioni storiche. Anche più tardi, quando ormai l'attenzione era tutta concentrata sull'agronomia e gli studi di storia dell'agricoltura, tornò volentieri ai diletti delle belle lettere, come provano le Delizie della vita campestre, da celebri autori antichi e moderni descritte (Venezia 1819), un'antologia di brani greci, latini ed italiani in prosa ed in versi, a metà strada tra l'istruzione e l'amena letteratura, il poemetto Coltivazione del pomo (Mestre 1847) e la versione dal francese in versi sciolti del Buon parroco di campagna descritto nelle sue georgiche francesi da Jacopo Delille (Treviso 1808).
Estraneo a precisi impegni politici nei tumultuosi anni del napoleonico Regno d'Italia, accettò di partecipare all'amministrazione locale del Lombardo-Veneto in cariche direttamente connesse al suo status di ricco proprietario terriero e di illuminato promotore degli studi agronomici e di qualsiasi altro civile ramo di economia; così dal 1815 al 1822 fu deputato alla Congregazione provinciale di Padova, dal 1823 al 1832 a quella centrale di Venezia, dal 1821 al 1838 membro della commissione centrale veneta del Regio Istituto di scienze, lettere ed arti per l'aggiudicazione biennale dei premi d'industria, della generale statistica e della commissione governativa di commercio, industria ed economia rurale per le province venete. Nel 1827, nella sua qualità di deputato della Congregazione centrale di Venezia, compilò e diede alle stampe un Repertorio degli oggetti d'industria e degli individui che li presentarono premiati dal governo negli annuali solenni concorsi tenuti in Milano ed in Venezia dall'anno 1816 a tutto 1826 (Milano 1829); nel 1847 fu membro, insieme con Valentino Pasini, della commissione incaricata delle escursioni agrarie del IX congresso degli scienziati italiani e presentò un rapporto alla sezione di agronomia e tecnologia.
Direttore onorario del collegio femminile di S. Teonisto, fu ascritto il 7 maggio 1797 all'Accademia agraria di Treviso, poi il 12 dic. 1802 alla nuova Accademia di Venezia e il 26 nov. 1839 all'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, alla cui vita partecipò assiduamente sino agli ultimi giorni della sua esistenza e nelle cui adunanze lesse la maggior parte delle sue memorie scientifiche di argomento agronomico.
A parte un giovanile viaggio d'istruzione in Austria e Moravia (nel 1803) e qualche soggiorno in alcune importanti città d'Italia, trascorse una vita operosa nella prediletta fattoria modello di Martellago, dove nel corso di molti anni perfezionò tecniche agricole, introdusse nuove coltivazioni, sperimentò nuove erbe, piante ed attrezzi, fondendo l'approfondita conoscenza della più aggiornata produzione agronomica italiana ed europea con la concreta pratica dei contadini veneti. Particolarmente riusciti i suoi esperimenti per il miglioramento della razza mestrina di buoi, alcuni esemplari dei quali furono ammirati, il 21 sett. 1847, dalla commissione della sezione agronomica del IX congresso degli scienziati italiani, riuniti a Venezia (A. Fapanni, Sulla razza indigena de' buoi detta mestrina e noalese fiorente nella provincia di Venezia e specialmente sulle dimensioni di due buoi confrontate con quelle dei più grandi di Francia, memoria letta all'Ateneo di Treviso il 7 apr. 1836 e pubblicata postuma dal figlio Francesco nel 1881, in occasione del IX congresso degli allevatori di bestiame della regione veneta). Al villaggio di Martellago, centro delle sue sperimentazioni agrarie, dedicò anche un generoso apporto di iniziative nella pubblica amministrazione: fu consulente onorario della congregazione di Carità, direttore onorario degli istituti pii, deputato comunale e si interessò attivamente per la ricostruzione della strada Mestre-Castelfranco, detta "Castellana". Dell'amico Filippo Re, il maestro degli agronomi napoleonici, da lui conosciuto personalmente a Bologna nel 1809 e 1811, esaltò nel 1820 le "opere immortali" (Elogio del conte Filippo Re, letto il 21 giugno 1820 nell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, stampato a Milano da Giovanni Silvestri, insieme con quello di Sebastiano Corradi, e poi inserito in fronte alle edizioni dei Nuovi elementi di agricoltura del 1820 e 1857); proprio su sollecitazione del Re compilò per gli Annali dell'agricoltura del Regno d'Italia (VII [1810], pp. 3-46, 97-133, 193-232) l'inchiesta Della coltivazione dei territori di Mestre e Noale nel Trevigiano, un'accurata descrizione agronomica di questo distretto, attenta ai molteplici aspetti della vita dei campi, dalla natura fisica dei terreni, ai vari prodotti prevalenti, il regime dei contratti agrari, le tecniche agricole, gli strumenti, le coltivazioni orticole specializzate, la zootecnia, il problema del pensionatico, gli alberi da frutto e da legna, l'apicoltura. Rispondendo ai trentatré quesiti agrari del Re il F. non si limitò a fotografare la realtà esistente, e da questo punto di vista l'inchiesta è un prezioso documento delle condizioni delle campagne venete nei primi anni dell'800, ma fu prodigo di osservazioni e suggerimenti, spesso fondati sulla personale esperienza nella tenuta di Martellago: così egli ricordò la felice riuscita di alcuni olivi, da lui piantati nel 1799 in collaborazione col parroco e che avrebbero potuto fornire almeno i rami per la festa delle Palme (p. 223), la fallita introduzione del "colsat" e, nel 1805, del "rafano oleifero cinese" (pp. 44 s.), due oli alternativi a quello di oliva, e il suo esperimento, pubblicato su un quotidiano di Venezia, sulla produzione del pane di patata, sull'esempio di quanto aveva visto a Vienna ed in altre parti dell'Austria.
La sua vita spesa tra le cure dei campi e l'attività nelle istituzioni civili ed economiche fu accompagnata da un'intensa produzione scientifica in campo agronomico, che lo rese molto conosciuto tra i contemporanei. Compilò una biografia del canonico trevigiano Lorenzo Crico, dotto cultore di studi agronomici e appassionato studioso di storia dell'arte (Biografia degli italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, III, Venezia 1836, pp. 152 s.), e stampò dal 1821 al 1840 per l'editore Silvestri di Milano, lo stesso che pubblicava le opere di Filippo Re, Dei proverbi del buon contadino, una serie di almanacchi con massime e aforismi dei più "celebri autori di economia campestre".
Nel 1817-19 pubblicò una Memoria ossia Saggio storico dell'agricoltura trivigiana dal principio dell'era volgare sino a' dì nostri (in Mem. scientif. e lett. dell'Ateneo di Treviso, I [1817], pp. 116-189; II [1819], pp. 71-112), interessante per il calcolo delle rese agrarie e dei prezzi sulla base dei vecchi estimi del 1545, 1563 e 1580, per la riscoperta e valorizzazione storica di molti agronomi trevigiani del passato e un ampio panorama, non scevro di toni encomiastici, degli scrittori agronomici della seconda metà del '700 e dei primi decenni dell'800 (Sante Benetti, Melchiorre Spada, Pietro Caronelli, Giovanni Francesco Scottoni, Giambattista di San Martino, Lorenzo Crico). Nel saggio Sulla giurisprudenza agraria del secolo XVIII e del corrente XIX (in Atti dell'I. R. Istituto ven. di sc., lettere ed arti, II [1843], pp. 218, 234-238) ricordò l'efficace impulso all'agricoltura delle "utilissime leggi dell'immortale Maria Teresa e di Giuseppe II" e il codice agrario avviato da Napoleone e rimasto incompiuto nel 1814 dopo sei anni di lavori preparatori, e sottolineò la necessità, sempre più sentita da "tutta l'Europa agricola", di "una legislazione agraria, la quale provveda a tutti i bisogni dei coltivatori e dei proprietari".
Nelle Istituzioni di giurisprudenza agraria secondo il diritto romano e secondo le leggi vigenti nel Regno Lombardo-Veneto (ibid., novembre 1845-ottobre 1846, pp. 266 ss.) ribadì l'urgenza di un codice agrario e si impegnò a coordinare in un'unica compilazione le leggi agrarie del Lombardo-Veneto per prevenire le frequenti liti tra proprietari e coloni e contribuire "al miglioramento morale delle classi agricole"; nel 1851 e 1856 tornò sull'argomento proponendo, nella memoria Sulle leggi agrarie contenute negli antichi statuti municipali, e sull'uso che se ne può fare nella compilazione del codice rurale (ibid., s. 2, II, novembre 1850-ottobre 1851, pp. 133 ss. e s. 3, I, nov. 1855-ott. 1856, pp. 51-65), di avvalersi per l'auspicato Codice rustico del Lombardo-Veneto di quelle antiche leggi agrarie degli statuti municipali che si conciliavano con le innovazioni introdotte in agricoltura negli ultimi secoli, e di emanare in ogni provincia un regolamento con leggi e consuetudini locali. Alla lunga frequentazione della storia agronomica del passato appartiene la Relazione e commenti sopra il capitolare di Carlo Magno intitolato "De villis regiis" (ibid., novembre 1857-ottobre 1858, pp. 342, 611-622), interessante analisi di questo antico documento della legislazione agraria medievale.
Il F. intervenne con chiarezza e decisione su uno dei più controversi nodi dell'agricoltura veneta: nella memoria Del pensionatico ossia Della servitù del pascolo invernale delle pecore in alcuni paesi di pianura delle provincie venete (in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, III, Treviso 1824, pp. 308-316), anche con l'avallo di esempi storici francesi, si pronunciò decisamente per l'abolizione del pensionatico, "una servitù rustica, introdotta fra noi ne' secoli barbari dai popoli settentrionali", che provocava, a suo avviso, danni alle coltivazioni arboree e ai terreni arativi e seminativi e l'imbarbarimento delle pecore padovane "gentili" da parte degli "irsuti arieti feltrini o fozzati" [da Foza, sull'altopiano d'Asiago]; egli suggeriva di risarcire i possessori del diritto di pensionatico, capitalizzando la rendita netta, affrancando in denaro il capitale e ripartendone il carico sui singoli campi: ne sarebbero seguiti in pianura la moltiplicazione delle pecore "gentili", in montagna l'incremento dei pascoli e degli ovini, la divisione dei beni comunali e la moltiplicazione dei boschi.
Concreti problemi delle campagne venete, sollecitati dalle autorità politiche, diedero lo spunto al F. per alcuni interventi specifici: nel 1811, nel pieno del "blocco continentale" imposto da Napoleone, nella Memoria sulla coltivazione del cotone (Padova 1811, ristampata nell'Enciclopedia del negoziante, Venezia 1839-1843, fasc. 32) illustrò le caratteristiche botaniche, le modalità di semina, ingrasso, lavorazione, raccolta e i primi, a suo parere redditizi, esperimenti di coltivazione di questa pianta nella tenuta di Martellago. Nel 1823, poco prima del suo intervento sul pensionatico, nell'opuscolo Della coltivazione delle pecore padovane (Padova 1823), offrì ai contadini un dettagliato e moderno manualetto per l'allevamento di questa pregiata razza di pecore, molto decaduta nel passato ma che in quel momento, per la liberalizzazione del commercio della lana all'interno della monarchia austriaca ed il divieto di importazione dall'estero, poteva nuovamente offrire buoni redditi.
Tra i numerosi scritti del F. su specifici temi agricoli sono da ricordare una lettera a Filippo Re Sulla scarsezza e cattiva qualità dell'uva raccolta in alcuni paesi ex-veneti nel 1810 (in Annali dell'agricoltura, IX [1811], pp. 17-22), un intervento su I metodi di vinificazione, specialmente quelli inventati dal sig. Gaetano Ferrini di Brescia (in Giornale delle scienze e lettere delle provincie venete, V [1823], p. 109), le Esperienze ed osservazioni sulla cultura del trifoglio incarnato (in Memorie dell'I. R. Ist. veneto..., IV [1852]), frutto di personali esperienze a Martellago, la memoria Sulla piantagione del frumento negli anni di carestia (in Atti dell'I. R. Ist. veneto..., s. 2, V, novembre 1853-ottobre 1854, pp. 177 s.) che propone un nuovo modello di "piantatoio", il Saggio d'un nuovo sistema d'agricoltura (in ibid., s. 2, IV [1854], p. 165), ove suggerisce di usare le spoglie delle piante come concime, la memoria Su l'utilità di estendere presentemente nelle provincie venete la coltivazione del lino e sul modo di liberarlo dall'infesta silene linicola (ibid., s. 3, 1, novembre 1855-ottobre 1856, pp. 361-377), che tra l'altro illustra la nuova macchina di Dickson per la preparazione della fibra senza macerazione, l'altra Della segala coltivata come foraggio (in Memorie dell'I. R. Ist. veneto, IX [1860], pp. 113-122), anch'essa fondata su sessant'anni di esperimenti nella tenuta di Martellago, gli articoli giornalistici Dell'aratro (in Il Raccoglitore, I [1852], pp. 61-78), particolarmente acuto e preciso nelle descrizioni tecniche, Qualche riflessione sulla vendemmia nel corrente anno (in Il Coltivatore, I, [1852], p. 163) e la recensione alla Monographie du genre Camelia dell'abate trevigiano Luigi Barlese (in Gazzetta ufficiale di Venezia, n. 43, 22 febbr. 1853).
Commentando la prima inchiesta agraria napoleonica Maria Maddalena Butera definisce il F. "figura emblematica, quanto isolato nel nuovo ceto di proprietari borghesi, delle feconde possibilità di rinnovamento economico e sociale dischiuse, all'aprirsi del secolo, dalla crisi della proprietà dell'ordine privilegiato" (Le campagne italiane..., pp. 119 s.). Quest'uomo che trascorre i lunghi anni della Restaurazione, le frementi giornate del 1848 e il "decennio di preparazione" senza mai partecipare al movimento patriottico, lascia trapelare qualche palpito nazionalistico nell'appassionato amore per l'agricoltura italiana: a Filippo Re ascrive "il doppio vanto ... di avere migliorata l'italiana coltivazione, e di averla valorosamente difesa dall'invidia e dalla malevolenza straniera" (Elogio, p. 6); lo stimolo alla coltivazione del cotone è di Eugenio Napoleone ma anche "quello non meno possente dell'onore del suolo italiano" (Memoria sulla coltivazione del cotone, p. 58) e ai figli ricorda di "amare la patria e l'onore del nome italiano" rammentando sempre "che noi siamo i nepoti dei Fabricii, dei Curii e dei Cincinnati" (Memoria o sia Saggio storico dell'agricoltura trivigiana..., I, p. 189). Limpidi accenti nazionalistici si colgono pure nel suo culto per la lingua italiana: fece parte della commissione sulla lingua dell'Istituto veneto e di Filippo Re lodò la "tenera affezione pel bel parlare italiano" che reputava "in ogni scrittore indizio di vero amor di patria" (Elogio..., p. 37).
II F. morì nella prediletta Martellago (od. prov. di Venezia) il 15 giugno 1861.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Catasto, sommarioni napoleonico e austriaco, 24, Governo, 1824, LVIII, 2/1; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. X, 271 (6508); cl. VII, 1811 (9453); cl. VI, 409 (5813), 411 (5994), 413 (5995), 417 (5973), 419 (5998); L. P. Fario, Notizie scientifico-biografiche intorno al fu m. e. dott. A. F., in Atti dell'Ist. Veneto di scienze, lettere ed arti, s. 3, VI (1860-61), pp. 811-840; M. Berengo, L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Milano 1953, pp. 100, 117, 119, 121, 205, 236, 238, 241, 251, 260, 266, 275, 280, 288, 291, 294, 297, 299, 327, 330, 339; G. Renucci, La cultura a Treviso durante il Regno italico (1805-1813), in Boll. dell'Ist. di studi napoleonici, II (1963), 5, pp. 25-36; M.M. Butera, Le campagne italiane nell'età napoleonica. La prima inchiesta agraria nell'età napoleonica, Milano 1981, pp. 119-164.