FEOLI, Agostino
Nacque a Roma nel 1785, primogenito di sei fratelli, da Vincenzo e da Maria Francesca Stoffi.
Il padre, romano, di professione incisore, acquistò una discreta fortuna, probabilmente anche attraverso il commercio di oggetti di interesse archeologico. Negli scavi della tenuta Feoli di Campomorto, presso Vulci, fu rinvenuta, infatti, un'intera collezione di oggetti greci ed etruschi, descritti da S. Campanari, Antichi vasi dipinti della collezione Feoli, Roma 1837.
Sulla base fornita dalla fortuna paterna il F. poté iniziare un'attività bancaria. Formatosi nel periodo napoleonico e giunto alla pienezza della vita adulta durante il governo di Pio VII e del cardinale E. Consalvi, egli coniugò sempre alla più schietta fedeltà verso la S. Sede l'apprezzamento per i tempi nuovi e per le nuove concezioni economiche e finanziarie. Alla morte di Pio VII, nel 1823, figurava, insieme con altri tredici nomi, in un elenco ufficiale dei banchieri di Roma. Profondamente consapevole della grave crisi economica a cui lo Stato stava andando incontro - il 1827 fu l'ultimo anno in cui il bilancio statale si chiuse in attivo - egli cercò dapprima, senza successo, di promuovere la costituzione di una banca di sconto e poi, nel 1836, fu tra i fondatori della Cassa di risparmio di Roma.
L'iniziativa, moderna e avveduta, contrasta con l'arretratezza della finanza pubblica. Durante il pontificato di Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI l'amministrazione dello Stato ecclesiastico era tornata al disordine del periodo prenapoleonico, al punto che una commissione istituita da Pio IX per la revisione dei conti consuntivi per il periodo 1835-1850 criticò nettamente il caos dominante, soprattutto nel periodo 1835-1845, quando non furono redatti neppure i bilanci annuali, né preventivi né consuntivi.
In questo contesto i criteri contabili adottati dalla Cassa di risparmio - presieduta dal principe F. Borghese, ma di cui il F. fu sin dall'inizio la mente e l'organizzatore, ricoprendovi l'incarico di ragioniere - suscitarono generale ammirazione. Un'ammirazione destinata a durare a lungo nel tempo: ancora nel 1911 un documento della Cassa di risparmio di Roma riconosceva che l'originario impianto contabile del F. era stato ideato con tanta perizia che i suoi capisaldi rimanevano ancora alla base del complesso ordinamento vigente.
Il successo ottenuto in qualità di ragioniere valse al F. l'incarico di direttore, per il triennio 1839-1841, e in questa nuova veste egli condusse in porto un'impresa di grande rilevanza: la realizzazione di uno stretto e organico collegamento tra la Cassa di risparmio di Roma e la Banca romana. Quest'ultima, che il F. qualificava senza mezzi termini come "romana di nome, ma straniera di proprietà", in quanto appartenente a un gruppo di uomini d'affari francesi, aveva solide proprietà immobiliari, ma scarsa liquidità, mentre la Cassa si trovava nella condizione opposta e non trovava adeguate occasioni di investimento. Fra il popolo romano correva il detto che "la Cassa di risparmio presto o tardi perirebbe d'idropisia e la Banca romana per etisia". Il F., come egli stesso ebbe a ricordare nel suo discorso di commiato dalla carica di direttore il 28 luglio 1841, volle "curare con un sol farmaco due malattie d'indole affatto opposta", e all'inizio del 1840 propose al comitato della Banca romana, residente a Parigi, di cedere alla Cassa tutte le azioni della Banca stessa, o almeno una quantità non inferiore ai due terzi, per il prezzo corrispondente al loro valore reale (inferiore a quello nominale). Il contratto fu firmato dal F. a Roma il 31 marzo e a Parigi il 12 aprile successivo dai dirigenti della Banca romana. Esso non coinvolgeva direttamente la Cassa nell'acquisto delle azioni della Banca, per evitare di addossare il rischio, insito nella natura commerciale dell'operazione, ai depositanti che avevano affidato i loro risparmi alla Cassa. Quest'ultima invece forniva in prestito al gruppo di acquirenti l'importo corrispondente al valore delle azioni, contro il deposito delle stesse a garanzia. In tal modo la Cassa poté impiegare stabilmente dai 300.000 ai 400.000 scudi, ottenendo quell'interesse del 5% annuo che era nei suoi obiettivi, ma che difficilmente si sarebbe raggiunto per la difficoltà di impiegare il denaro.
L'operazione consenti agli amministratori della Cassa di aprirsi ad orizzonti più ampi, sia attraverso investimenti ipotecari a lunga scadenza, sia con sistemi di ammortizzazione, che per la prima volta essi introdussero nello Stato pontificio. La collaborazione fra le due istituzioni finanziarie si concretizzò fin dall'inizio nella possibilità per la Cassa di versare giornalmente alla Banca ogni suo avanzo, con la facoltà di richiedere qualunque somma, ponendosi al riparo sia da domande straordinarie di rimborso sia dal rischio di conservare infruttuosamente il capitale. Alla scadenza del suo incarico di direttore della Cassa il F. divenne amministratore generale della Banca romana, mentre altri dirigenti della Cassa vi ebbero vari incarichi direttivi.
La novità e la spregiudicatezza dei sistemi del F. impressionarono a tal punto la pubblica opinione, che nel 1846 egli divenne argomento di satira, raffigurato come un giocatore di bussolotti che con la sua destrezza attira l'attenzione dei dirigenti della Banca romana e del commissario di governo, mentre un sorcio in un angolo rosicchia biglietti di banca (N. Roncalli, Cronaca, p. 164).
L'avvedutezza del F. e la sua abilità non potevano sfuggire al protesoriere generale pontificio, mons. G. Antonelli, che pensò di valersi della sua opera per risolvere il problema del "recupero" del cosidetto "appannaggio" dei Beauharnais.
Questo era costituito dai territori urbani e rurali delle Marche pontificie assegnati in enfiteusi nel 1816 all'ex viceré d'Italia Eugenio de Beauharnais, a seguito delle decisioni del congresso di Vienna (il Beauharnais aveva allora sborsato la somma di scudi 160.000, con l'impegno di versare un canone annuo di 4.000 scudi, mentre il papa si era riservato il diritto di redenzione entro nove anni per la somma di 3.170.000 scudi, diritto non esercitato per il cronico dissesto delle finanze pontificie). Tale territorio era diviso in quattro distretti, che comprendevano rispettivamente i circondari di Osimo, Ancona e Recanati (I distretto); Iesi e Chiaravalle (II distretto); Senigallia, Corinaldo e Pergola (III distretto); Fano, Pesaro e Fossombrone (IV distretto). Dopo la morte di Eugenio de Beauharnais (1824), che aveva ottenuto dal suocero re di Baviera il ducato di Leuchtenberg e il principato di Eichstadt, l'appannaggio era passato in eredità alla vedova Augusta Amalia di Baviera (1788-1851) e quindi al figlio Maximilien-Eugène.
All'inizio degli anni '40 la casa ducale di Leuchtenberg - sia per le difficoltà di amministrare beni così lontani dalla sua residenza sia forse anche per fugare le voci che volevano Maximilien-Eugène simpatizzante con le sette liberali, con l'obiettivo di divenire principe o presidente di uno Stato rivoluzionario che sarebbe potuto sorgere nell'Italia centrale - si dichiarò disposta a far riscattare dalla S. Sede i territori dell'Appannaggio per una cifra di 3.800.000 scudi. L'Antonelli, di fronte alla pesante situazione debitoria dell'Erario, originata principalmente da un disastroso prestito contratto con i Rothschild all'indomani dei moti del 1831, si valse del F. per una delle operazioni più brillanti che condusse in porto nel nuovo incarico.
Il congegno finanziario studiato dai due fu il seguente. Il governo pontificio riscattava l'enfiteusi (contratto stipulato il 3 apr. 1845) pagando ai Leuchtenberg la somma di 3.750.000 scudi, ricavata affidando alla casa Rothschild l'incarico di collocare certificati di debito pubblico per pari importo all'interesse del 5%, garantiti con ipoteca su quelle terre: i Rothschild progettavano di concludere l'operazione di collocamento in due anni, ma nel giugno 1847 erano ancora in possesso di 3.600 obbligazioni da 1.000 franchi (cfr. Gille, pp. 37 s.). Frattanto il 24 aprile il governo pontificio firmava un contratto di vendita dei beni dell'Appannaggio a una società privata costituita dal F. e da altri esponenti della finanza romana (i principi M. Borghese e G. C. Rospigliosi e l'avvocato E. De Dominicis) per un importo di 3.880.000 scudi pagabili in 12 anni all'interesse del 5%: la Società dell'appannaggio si impegnava a rivendere i beni in piccoli lotti a sudditi pontifici.
Durante il periodo della Repubblica Romana del 1849 il F. ebbe contatti con il governo rivoluzionario: in una corrispondenza tra V. Tittoni, presidente della commissione di approvvigionamento, e il ministro dell'Interno, A. Saffi, il nome del F. venne proposto insieme con quello di altri tre negozianti a cui il governo avrebbe affidato l'incarico di provvedere all'acquisto di grani e farine sui mercati esteri, al fine di contrastare la speculazione. Il F. accettò la proposta, dichiarando di rinunciare al proprio profitto.
Nel 1852 il F. acquistò il palazzo Corsini in Albano e costruì a lato di questo una filanda meccanica, che suscitò le meraviglie dei concittadini: essa era dotata di "76 caldaiuole a vapore col motore meccanico. Queste collocate, ne derivò la più sorprendente illusione, per vedersi girare tutti i naspi celeremente senza apparirne la cagione. A' 5 settembre principiò a lavorare la filanda, grandioso opificio che aumenta il decoro di Albano e torna in lode al proprietario, il quale così preparò un largo frutto di occupazione e di lucro alla città" (Moroni, Dizionario, LXIV, p. 273).
Meno di quattro anni dopo, il 20 marzo 1856, il F. morì a Roma, nel suo palazzo di via del Corso, al n. 518, assistito dalla sorella Caterina.
Non avendo formato una famiglia propria, lasciò parte delle sue sostanze alla sorella, ai fratelli e ai numerosi nipoti, nominando tuttavia erede universale il nipote Pietro, figlio diciannovenne di suo fratello Luigi. Il suo patrimonio comprendeva, oltre al palazzo di via del Corso e a quello di Albano, una casa in via del Pavone e le tenute di Campomorto e di Maggiorana; vantava inoltre crediti per 173.000 scudi, di cui 90.000 verso la Società dell'appannaggio e oltre 42.000 depositati presso la Banca dello Stato pontificio. A fronte i debiti assommavano a poco più di 130.000 scudi, di cui 101.000 verso la Società dell'appannaggio e 21.091 relativi alla liquidazione del Banco Feoli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, fondi: Antonelli, Introduzione e b. 264, Repubblica Romana, 1849, b. 17; Trenta notai capitolini, Ufficio37, Notaio D. Bartoli, a. 1856, pt. I, cc. 444-52; Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1870, rubrica 110; Roma, Archivio del Vicariato, Stati delle anime, Parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, a. 1825; Archivio di Stato di Roma, Archivio Pianciani, Carteggio tra Vincenzo e Luigi Pianciani (cfr. ediz. a cura di S. Magliani, I-III, Roma 1993-1994: Indici in vol. IV di prossima pubblicazione); Archivio di Stato di Spoleto, Archivio privato dei conti di Campello, Carteggio tra Pompeo e Paolo Campello. Inoltre: L. C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, Firenze 1853, pp. 86, 205-309; G. Spada, Storia della rivoluz. di Roma e della restaurazione del governo pontificio dal 1ºgiugno 1846 al 15 luglio 1849, Firenze 1868-1869, pp. 159-172; I. Sachs, L'Italie, sesfinances et son développement économique depuis l'unification du Royaume (1859-1884), Paris 1885, pp. 452 s.; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, I, a cura di M. L. Trebiliani, Roma 1972, ad Indicem;Cassa di risparmio di Roma, Monografia storico-statistica dalla fondazione (14 ag. 1836) all'anno 1910, Roma 1911, pp. 10 s., 18-20, 191, 198; B. Gille, Les investissements français en Italie, Torino 1968, p. 107; M. Caravale -A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978, ad Indicem;C. Crocella, Augusta miseria. Aspetti delle finanze pontificie nell'età del capitalismo, Milano1982, pp. 21-30; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento. Il tramonto della "città santa". Nascita di una capitale, Bologna 1985, ad Indicem;R. Ugolini, Vincenzo e Luigi Pianciani ed il loro tempo, Spoleto 1988, ad Indicem;Id., Luigi Pianciani tra riforme e rivoluzione, Napoli 1992, ad Indicem;R. D'Errico, La Cassa di risparmio di Roma, un episodio di modernizzazione finanziaria nell'Ottocento, in Roma moderna e contemp., I (1993), 2, pp. 111-131 (spec. da p. 121); G. Moroni, Diz. di erud. storico-eccles., ad Indicem.