FRANCIOTTI, Agostino
Figlio di Bartolomeo e di Angela Sesti, nacque intorno al 1630, probabilmente nei dintorni di Lucca. La famiglia mercantile, imparentata con i Della Rovere e politicamente preminente a Lucca, subì gravi rovesci e persecuzioni nel corso del vescovato lucchese del cardinale Marco Antonio Franciotti, zio del F.; questi cercò fortuna a Roma al seguito dello zio Marcantonio, che aveva rinunciato al vescovato di Lucca il 31 luglio 1645. Nel 1649, sotto il pontificato di Innocenzo X, il F. fu nominato referendario utriusque Signaturae; nel 1651 ebbe il governatorato di Città di Castello e dal maggio 1652, per due anni, quello di Ascoli. Il 4 maggio 1654 fu consacrato vescovo in partibus infedelium di Trebisonda e, nello stesso mese, nominato vicelegato di Avignone, incarico che ricoprì sino al 23 dic. 1655.
Giunto in città il 4 giugno 1654, il F. si trovò ad affrontare una tensione sociale persistente e una crescente e ormai abituale difficoltà di relazioni tra la vicelegazione e il governo francese. La volontà della Curia romana era quella di perseguire una linea autorevole nell'eseguire punizioni esemplari tali da ripristinare un ordine pubblico visibile e favorire, con la mediazione del governo ecclesiastico, la concordia tra nobiltà e "popolari". Ad Avignone, sebbene venisse accolto apparentemente con manifestazioni di favore, il F. dovette in realtà fronteggiare le intenzioni ostili dei "popolari": subito, infatti, tra i "diversi motivi seditiosi" da lui segnalati vi fu la minaccia di impedire la lettura del breve di insediamento del vicelegato. Dopodiché si trovò al centro di una strategia di lusinghe e fu sollecitato a schierarsi per una delle due parti. Se a due popolari venuti con memoriali giudicò bene di "straparglieli in faccia senza leggerli" (Arch. segr. Vat., Avignone, 53, c. 44v), la prudenza ispirò invece l'azione del F. con la nobiltà.
Per la verità, il F. restituì effettivamente una certa serenità alla città nell'estate e nell'autunno del 1654. Egli aveva cercato di rispettare gli ordini della segreteria di Stato di comportarsi in modo deciso per il ristabilimento di una normalità accettabile della vita sociale e politica e promulgò in tal senso bandi generali. Dopo un periodo di stasi e di scarsezza di indicazioni dovuto al tramonto del pontificato di Innocenzo X, con l'elezione di Alessandro VII vi fu una rinnovata attenzione verso i problemi avignonesi. Furono richieste informazioni più puntuali e il F. compilò una apprezzata relazione sui dignitari e i funzionari avignonesi, non trascurando di sorvegliare le elezioni alle cariche cittadine nel tentativo di favorire i candidati meglio disposti alla pacificazione.
Poco accorto nel valutare correttamente avvisaglie di malesseri sociali e politici, di crescenti sentimenti antimazarinisti e antitaliani, di voci diffuse ad arte su presunti contagi pestiferi, di una dilagante corruzione, di abusi ricorrenti, di una difficoltà ad amministrare la giustizia, egli non riuscì a ricostruire il credito della vicelegazione. Né tantomeno seppe organizzare l'emergenza di fronte all'approssimarsi dei disordini dell'autunno 1655: sollecitato dalla segreteria di Stato che, allarmata per l'ardimento di "spiriti seditiosi", suggeriva di aumentare i corpi di guardia sino a 500 fanti e a 150 cavalli, "facendo particolar diligenza d'assoldar gente forastiera e specialmente italiana…" (ibid., 163, c. 35), il F. continuò a impiegare una inefficace prassi repressiva. Dopo una serie di rapine, incendi, sedizioni manifeste, nonostante avesse continuato a coltivare la speranza di un ritorno della nobiltà in città, nel dicembre 1655 lasciò al suo successore Giovanni Nicola Conti la pesante eredità di una situazione tesissima e quasi ingovernabile.
Ritornato in Italia, divenne governatore del Patrimonio di S. Pietro (7 giugno 1658), risiedendo spesso a Viterbo, e il 5 luglio 1666 ottenne l'assistentato al soglio pontificio. Infine, il 12 luglio 1666, Alessandro VII gli affidò la nunziatura di Colonia, in sostituzione di Marco Galli, presso Massimiliano Enrico di Wittelsbach, arcivescovo ed elettore. Partito da Macerata, il F. arrivò a Liegi il 14 settembre. Egli decise di fissare lì la sua dimora, presso un convento di francescani vicino al palazzo episcopale, poiché Colonia sembrava essere uno degli epicentri della peste che stava devastando la Germania.
Suo specifico compito fu quello di tenere informata la S. Sede sull'instabile situazione politica che caratterizzava il delicato quadrante nordoccidentale dell'Europa continentale. Orgoglioso e suscettibile, puntiglioso sul primato del nunzio, il F. non conosceva la lingua del posto e mal sopportava il clima, temeva la peste che lo rese più che mai stanziale, per cui ebbe sempre per il suo incarico una malcelata insofferenza.
La nunziatura fu dominata dai fatti d'arme e il F., pur essendo in un osservatorio prossimo ai protagonisti di questa fase politico-militare (Province Unite, i Paesi Bassi spagnoli, i Principati renani e la Francia), trascinò una stanca attività diplomatica che in realtà solo raramente offrì a Roma elementi originali di valutazione circa le invasioni francesi delle Fiandre e della Franca Contea a sostegno dei diritti di successione accampati dalla regina di Francia Maria Teresa contro il re di Spagna Carlo II. Nel conflitto franco-spagnolo e nelle preoccupate intese e alleanze tra Svezia, Inghilterra e Olanda, conseguenti alla politica estera francese, il nunzio non seppe approfittare né sedurre l'entourage di Massimiliano Enrico e, soprattutto, utilizzare il casato dei Fürstenberg notoriamente ben informato sulle intenzioni di Luigi XIV.
Dalla primavera all'autunno del 1667 il F. non brillò certo per iniziativa: segnalò la volontà dell'elettore di Colonia di confermare la Lega renana al solo scopo di conservare la pace e scoraggiare eventuali intenti bellicosi nei confronti dei territori imperiali e non fece che confermare notizie già ampiamente note, relative ai grandi movimenti diplomatici e di denari di Luigi XIV per impedire i soccorsi imperiali nelle Fiandre.
Dopo la morte di Alessandro VII (22 maggio 1667), nonostante la corrispondenza con il segretario di Stato di Clemente IX, Decio Azzolini, fosse diventata assai più vivace sui problemi internazionali, il F. continuava a non ricoprire adeguatamente il proprio ruolo, tanto da essere talvolta rimproverato per la leggerezza dimostrata nel trattare materie riservate.
Tuttavia, il 25 ott. 1667, egli ebbe l'incarico di presiedere e mediare le trattative di pace tra Spagna e Francia ad Aquisgrana. In quella città, dal novembre, il F. si adoperò per far accettare la sede della mediazione a tutti i partecipanti. In questa occasione la sua azione fu soltanto formale e ininfluente nel quadro più ampio di iniziative diplomatiche che la S. Sede aveva messo in opera a Parigi, a Madrid e a Vienna, per raffreddare l'aggressività del re di Francia Luigi XIV. In verità, già alla sua nomina come mediatore, a seguito dell'avvio degli abboccamenti di St-Germain tra Francesi, Olandesi e Inglesi che andavano definendo le condizioni di massima per un accordo franco-spagnolo, erano stati fatti passi decisivi per un'intesa soddisfacente. Rimasto solo ad aspettare gli ambasciatori, spesso il F. fu colto in contropiede dal segretario Decio Azzolini, che, più informato di lui, gli comunicava le segrete manovre degli Olandesi e soprattutto la frenetica attività di Francisco de Moura y Cortereal, marchese di Castel Rodrigo, governatore generale interinario dei Paesi Bassi e presidente del Consiglio supremo delle Fiandre, che non sembrava dare troppo valore alla mediazione pontificia.
I diplomatici arrivarono soltanto nel marzo 1668 e la stipula dell'accordo si ridusse a una mera formalità tra i plenipotenziari francese e spagnolo sotto l'attento sguardo degli inviati inglesi, olandesi e dei principi elettori tedeschi. Il protocollo venne firmato nell'abitazione del nunzio il 2 maggio 1668 e il F. non fece che registrare la restituzione della Franca Contea senza notare peraltro che, conservando piazze fondamentali (Lille, Charleroi, Douai) e incuneandosi nel Belgio e aprendosi così la strada verso Gand, Bruxelles e Bruges, il monarca francese si era fortemente preparato quella campagna contro gli Olandesi che avrebbe successivamente intrapreso in grande stile.
La politica ecclesiastica del F. fu altrettanto carente e confermò lo scarso trasporto verso l'incarico che gli era stato affidato. Egli non fu capace di integrarsi negli ambienti ecclesiastici di Liegi, entrando molto presto in urto con l'importante capitolo di St Lambert. La presenza del nunzio fu contraddistinta da tensione e attriti mai sopiti con il clero locale, che sfoceranno, il 21 sett. 1668, con una lettera indignata del gran prevosto di Liegi, Paul-Jean de Groesbeeck, all'Azzolini, in cui si stigmatizzava l'arroganza del nunzio e si richiedeva un richiamo formale al F. soprattutto perché "gli eretici, venuti quel giorno in grande numero dai nostri dintorni, ne hanno tratto occasione per dire che non potevano credere che Gesù Cristo fosse nell'Ostia, poiché nemmeno il nunzio che rappresenta il papa vi porta rispetto" (Relations des Pays-Bas…, 1952, p. 147). Parimenti nell'aprile 1668 dovette far fronte con successo alle aspre rimostranze dell'assemblea capitolare di Lobbes contro la nomina di abati sgraditi, con una tenace difesa della volontà della S. Sede, sostenendo e proteggendo l'osteggiato Pierre de la Hamade contro il concorrente François de Waha.
Nell'ambito di una scarna e modesta attività inquisitoriale e pastorale pochi furono i momenti significativi dell'intervento del F.: egli comunicò tempestivamente, nell'agosto del 1667, l'arrivo a Liegi della quarta edizione parigina della Istoria del Concilio tridentino di Pietro Soave (il noto pseudonimo di Paolo Sarpi) e chiese istruzioni per impedire la divulgazione pubblica dell'opera.
Morì nel febbraio 1670 ad Aquisgrana, dove abitualmente risiedeva, e lì venne tumulato nella chiesa dei gesuiti nella cappella di S. Giuseppe.
Lasciò un patrimonio in quadri, mobili e corredi di rilievo, che innescò un contenzioso intorno all'eredità di cui si occupò anche il nuovo nunzio Francesco Buonvisi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Arnolfini, 17, cc. 5-6v (testamento del F., 30 genn. 1670); ibid., 54 (inventari del patrimonio e istrumenti notarili del F.); Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Colonia, 39-45; Ibid., Avignone, 53, cc. 41-116; 54, cc. 1-278; 163, cc. 1-41v; Inventario del R. Arch. di Stato di Lucca, V, Pescia 1946, ad Indicem; Relations des Pays-Bas, de Liège e de Franche-Comté avec le Saint Siège d'après les "Lettere di vescovi" (1566-1779), a cura di L. Jadin, Bruxelles-Rome 1952, pp. 146 s.; Fr. Buonvisti. Nunziatura a Colonia, a cura di F. Diaz, I-II, Roma 1959, ad Indices; Relations des Pays-Bas, de Liège et de Franche-Comté avec le Saint-Siège d'après les "Lettere di particolari" (1525-1796), a cura di L. Jadin, Bruxelles-Rome 1962, pp. 166, 174 s.; Inventaire analytique des documents relatifs à l'histoire du diocèse de Liège sous le régime des nonces de Cologne (1666-1670), a cura di J. Hoyoux, Bruxelles-Rome 1974, passim; A. von Reumont, Mons. A. F. e la pace di Aquisgrana del 1668, in Arch. stor. ital., XII (1883), pp. 348-367; C. Gerin, Louis XIV et le Saint-Siège, II, Paris 1894, pp. 222-224, 226; C. Terlinden, La diplomatie pontificale et la paix d'Aix-la-Chapelle de 1668, in Bulletin de l'Institut histor. belge de Rome, XXVII (1952), pp. 254 ss., 261, 263; A. Franzen, Französiche Politik und Kurkölns Beziehungen zu Frankreich unter Erzbischof Max Heinrich (1650-1688), in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und f. Kirchengeschichte, LII (1957), pp. 198 ss.; M.F. Feldkamp, Studien und Texte zur Geschichte der Kölner Nuntiatur, I-II, Città del Vaticano 1993, ad Indices.