RICCHI, Agostino
RICCHI, Agostino. – Nacque a Lucca il 31 maggio 1512 dal medico Leonardo e da Margherita, figlia dell’umanista Giovanni Carminati.
Dopo aver intrapreso gli studi umanistici nella sua città d’origine, frequentò la facoltà di arti e medicina dell’Università di Bologna. Durante il suo soggiorno bolognese continuò a dedicarsi alle lettere e nel 1530, non ancora diciottenne, scrisse la commedia I tre tiranni, che venne rappresentata a palazzo Pepoli nel corso delle cerimonie per l’incoronazione di Carlo V. In quell’occasione venne onorato del titolo di cavaliere. Dopo la morte del padre, avvenuta tra la fine del 1530 e l’inizio del 1531, si trasferì a Ferrara per proseguire gli studi, probabilmente sotto la guida di Antonio Musa Brasavola. Qui curò la pubblicazione della commedia summenzionata che vide la luce a Venezia nel 1533.
I tre tiranni, opera a cui è legata la fortuna postuma di Ricchi, è un’allegoria morale in cinque atti sulla tirannia esercitata sull’uomo da amore, oro e fortuna. Come sottolinea Alessandro Vellutello nel suo Preambolo, la commedia si distacca intenzionalmente dai modelli classici (I tre tiranni, cc. a2v-a4r). Si tratta infatti della prima commedia del Rinascimento italiano interamente in endecasillabi piani, mentre l’intreccio, che non segue le tre unità classiche, è debitore della novella medievale. Le vicissitudini legate alla redazione e alla pubblicazione della commedia riflettono il complesso quadro politico dell’epoca, l’articolato sistema di alleanze tra le diverse potenze e il carattere fluttuante delle adesioni all’uno o all’altro partito. La commedia è conservata in due versioni. Nella versione a stampa, l’atto V, che costituisce per altro uno dei primi esempi di mélange linguistico della storia della letteratura italiana, reca un lungo panegirico di Carlo V in spagnolo, in cui sono tessute le lodi anche di Clemente VII, Ippolito e Alessandro de’ Medici. Uno splendido manoscritto illustrato (Lucca, Biblioteca statale, ms. 1375) contiene invece un’altra versione dell’opera in cui lo stesso panegirico è scritto in versi neoellenici e ha per oggetto Francesco I, Solimano il Magnifico, il suo ministro Ibrahim e Luigi Gritti, «governatore, capitan generale e gran tesoriere del Regno d’Ungheria», nonché dedicatario dell’opera. Secondo Mario Vitti (1966), per redigere i versi in neoellenico Ricchi si indirizzò al copista, editore e agente librario greco Nicola Sofianos.
Ricchi lasciò Ferrara intorno al 1534 per trasferirsi a Padova, dove proseguì i suoi studi e risiedette fino al 1537 almeno. Si trasferì quindi a Venezia, dove divenne ‘creato’ e segretario di Pietro Aretino, con il quale era in rapporti fin dal 1533 e sviluppò poi una lunga amicizia. Lì cominciò a esercitare la medicina, inizialmente sotto la guida di Giambattista Opizzone di Pavia. Beneficiando delle risorse della città si dedicò poi allo studio del corpus galenico e tra il 1541 e il 1545 per i tipi di Giovanni Farri pubblicò una Galeni operum omnium sectio prima in dieci volumi. Per questa monumentale impresa editoriale, lodata dal naturalista Pietro Andrea Mattioli, si avvalse di traduzioni latine preesistenti che emendò e corresse con l’aiuto di codici greci sconosciuti e alle quali appose le sue annotazioni e un dettagliatissimo indice analitico. Secondo Gaetano Marini (1784, I, p. 398) nel 1543 pubblicò anche la traduzione di un’opera di Oribasio ed è forse proprio al periodo veneziano che va ascritta anche la redazione di una vita di Castruccio Castracani (Bongi, 1893, p. 40).
Nel 1543 cominciò a esercitare la professione medica a Roma anche se nel mese di luglio si ammalò e tornò a curarsi nella natia Lucca dove sposò Beatrice di Giovanni Dati. Dalle nozze nacquero cinque figli: Giulio, Balduino, Ersilia, Alderico e Clerice. A Lucca ricoprì anche la carica di membro del Consiglio ordinario del governo e poi quella di senatore. Negli anni successivi dimorò tra la città toscana e Roma, dove svolse alcune missioni diplomatiche (p. 41) ed esercitò la medicina.
Nel 1550 il cardinale Marcello Cervini, che aveva potuto beneficiare delle cure di Ricchi durante uno dei soggiorni romani del medico, lo raccomandò a Giulio III. Il papa lo ascrisse tra i suoi medici, attraverso un breve pontificio del 21 maggio 1550 che menziona la retribuzione di 200 scudi d’oro annui, la durata – quinquennale – della sua carica e le condizioni del suo rinnovamento (Marini, 1784, II, app. CII, pp. 195 s.). Dal suo incarico di ‘medico di Sua Santità’ ricavò favori per sé e per i suoi fratelli: Frediano, a cui Giulio III conferì la carica di governatore di Città di Castello, Donato, che ottenne un beneficio a Lucca, e Francesco, che fu cameriere pontificio. Non è noto se egli fu archiatra anche durante il breve pontificato di Marcello Cervini (Marcello II), ma senz’altro assistette Paolo IV nel corso della sua ultima malattia, sovrintendendo alle cure, consultando altri medici e controllando l’operato dei chirurghi.
Dopo la morte del pontefice, fu medico del conclave e poi abbandonò definitivamente il Palazzo apostolico. L’ultimo servizio reso al suo signore fu la redazione di una Hystoria aegrotationis indirizzata ad Alfonso Carafa che ne fu probabilmente il committente, la cui introduzione è conservata presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Barb. lat. 2567, cc. 26r-28v).
Dopo essersi soffermato sulla relazione tra anima e corpo così come era concepita da Aristotele, Ippocrate e Galeno, il medico insiste sul nefasto potere delle malattie nel trasformare la natura degli uomini. Enumerando le gravi affezioni che avevano colpito Paolo IV, giustifica così il pessimo carattere del pontefice e le sue azioni più efferate, tentando di ricostruirne l’immagine e riabilitarne la memoria.
Negli anni romani esercitò con regolarità e profitto la professione anche al di fuori degli ambienti apostolici e fu in relazione con altri importanti medici dell’ambiente romano; tra questi vi era Realdo Colombo, che nel suo De re anatomica (1559, p. 267) lo cita tra i partecipanti alla dissezione del corpo del cardinale Alessandro Campeggi.
Morì prima del 6 marzo 1564, data in cui la moglie venne nominata amministratrice dei beni dei figli (Lucchesini, 1825, p. 177).
Opere. Comedia [...] intittolata i tre tiranni, recitata in Bologna a n. signore, et Cesare, il giorno de la commemoratione de la corona di sua maestà, Venezia, Bernardino Vitali, 1533; Galeni Operum omnium sectio prima [-octaua]. Illustriores quam vnquam antea prodeunt in lucem omnes hi Galeni libri, Venezia, Giovanni Farri e fratelli, 1541-1545.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 2567, cc. 26r-28v; Vat. lat. 6194, c. 454r; Ruoli, 6, c. 6r; 11, c. 22v; 12, c. 5v; 16, c. 22v; 19, c. 5v; Urb. lat., 1039, c. 55r; Lucca, Biblioteca statale, ms. 1375.
P.A. Mattioli, I discorsi [...] nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, Venezia 1557, p. 19; R. Colombo, De re anatomica libri XV, Venetiis, typ. Nicolai Bevilacquae, 1559, p. 267; P. Mandosio, Theatron in quo maximorum christiani orbis pontificum archiatros [...] spectandos exhibet, Roma 1696, pp. 26 s.; F. Bolani Borsetti Ferranti, Historiae almi Ferrariae Gymnasii, Ferrara 1735, t. II, p. 307; G. Marini, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, pp. 397-399, II, pp. 295 s.; P. Aretino, Lettere, a cura di F. Flora, Milano 1960, pp. 54 s., 110 s., 116 s., 157 s., 204 s., 212, 240, 286, 458 s., 491 s., 426-428, 501 s.; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di T. Landoni, Bologna 1968, I, pp. 157-160, II, pp. 70-71, 133-143, 146-148.
C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese: libri sette, in Memorie e documenti per servire all’istoria del ducato di Lucca, 1825, vol. 9, pp. 175-179; V. Bongi, A. R. e la commedia de Tre’ Tiranni, in Il propugnatore, 1893, n. 6, pp. 31-56; D. Di Sacco, La commedia dei «tre tiranni», in Rivista italiana del dramma, II (1941), 5, pp. 191-211; M. Vitti, Nicola Sofianòs e la commedia dei tre tiranni di A. R., Napoli 1966; A. Ricchi, I tre tiranni, a cura di A.M. Gallo, Milano 1998, pp. XI-CVI.