RICHELMY, Agostino
RICHELMY, Agostino. – Nacque a Torino il 29 novembre 1850 da Prospero, ingegnere, professore di meccanica applicata e idraulica nell’Ateneo subalpino, e da Lidia Realis, di antica famiglia eporediese.
Mentre è controversa l’origine nobiliare del padre, è certa quella della madre. Secondogenito di sei figli, compì in casa i primi studi sotto la guida di due sacerdoti maestri delle scuole municipali di Torino. Frequentò quindi il ginnasio pubblico Monviso. Per il liceo la famiglia, cattolicissima e in contatto con i maggiori santi piemontesi del tempo, da Cottolengo a Cafasso a don Bosco, scelse l’istituto Paterno, fondato da Francesco Faà di Bruno e tenuto da religiosi. La decisione di diventare sacerdote da parte del giovane Richelmy sembra sia stata influenzata da consiglieri e guide spirituali, tra cui don Bosco, che è ricordato nella sua prima lettera pastorale. Come era consuetudine nelle famiglie del suo rango, non entrò in seminario, ma frequentò come chierico esterno la facoltà teologica dell’Università di Torino. Venne allora aggregato al ‘clero’ di San Filippo, il più fiorente della città.
Il 25 ottobre 1873 fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo Lorenzo Gastaldi. Fu quindi chiamato a rivestire l’incarico di ripetitore di teologia morale in seminario. Nel 1873 furono abolite le facoltà teologiche nelle università di Stato. Il 18 maggio 1876, Agostino Richelmy fu il primo in ordine di tempo a conseguire l’aggregazione al Collegio dei teologi della nuova facoltà pontificia di teologia istituita presso il seminario arcivescovile di Torino. Qui insegnò per un biennio teologia fondamentale. Nel 1884 venne inviato a Roma dal nuovo arcivescovo Gaetano Alimonda per trattare la costituzione anche della facoltà legale, che venne concessa. Richelmy vi insegnò sino al 1886 testo canonico.
Il 7 giugno 1886, a soli 36 anni, venne eletto vescovo di Ivrea. Il 28 ottobre dello stesso anno fu consacrato dal cardinale Alimonda nella chiesa di S. Carlo di Torino, ma poté compiere l’ingresso in diocesi solo il 24 aprile 1887 a causa del ritardo nella concessione dell’exequatur. Inizialmente nella sua opera episcopale a Ivrea mirò a sviluppare l’attività spirituale molto più di quella sociale dei cattolici. L’Opera dei congressi si sviluppò in diocesi solo a partire dal 1895, in ritardo di alcuni anni sul resto del Piemonte, a causa della riluttanza di Richelmy, che venne superata soprattutto a causa dell’intensificarsi delle pressioni pontificie sui vescovi. Egli convocò allora l’adunanza, che sancì la rifondazione del comitato diocesano dell’Opera, premessa dello sviluppo anche in ambito parrocchiale, e la nascita dell’Unione agricola. Una successiva adunanza diocesana, che sancì la definitiva consacrazione dell’organizzazione intransigente, avvenne nell’autunno del 1896, in occasione delle celebrazioni per la beatificazione, caldeggiata da Richelmy, del vescovo irlandese Taddeo Makar, le cui reliquie sono venerate nella cattedrale di Ivrea. Sul piano religioso il giovane presule si rivelò molto attento alla cura pastorale del clero e dei fedeli, pieno di premure per il seminario, a favore del quale profuse con generosità denaro personale. Ancora nell’ambito del movimento cattolico, favorì la nascita e sostenne fattivamente il nuovo periodico Il Pensiero del popolo: al termine del suo episcopato cominciarono ad affacciarsi in diocesi i ‘giovani’ di tendenze latamente democratico-cristiane.
Il 26 luglio 1897 fu trasferito alla sede metropolitana di Torino, dove fece il suo solenne ingresso il 28 novembre. Due anni dopo, il 19 giugno 1899, venne creato cardinale. Nel capoluogo piemontese, dopo le iniziali aperture, la sua azione risultò caratterizzata dallo sforzo di contenimento delle tendenze democratico-cristiane, che pure, con Giovanni Battista Valente, espressero il Programma di Torino, considerato indispensabile premessa dei documenti programmatici elaborati dal cattolicesimo democratico italiano nel cinquantennio successivo. Richelmy si oppose inoltre decisamente alle correnti del riformismo religioso di inizio secolo, che condannò ripetutamente a partire dal 1905, ben prima dell’enciclica Pascendi, approdando a una gestione moderata della diocesi, con forti simpatie clerico-moderate, come dimostra, tra l’altro, la fondazione del quotidiano Il Momento.
Sorto nel 1903 sotto gli auspici del cardinale, si oppose all’intransigente Italia Reale-Corriere Nazionale: pur essendo nato per impulso delle correnti moderate del cattolicesimo subalpino, si sforzò di coagulare attorno a sé forze più ampie, anche quei democratici cristiani che le tormentate vicende di inizio secolo venivano progressivamente staccando dalla nebulosa murriana. Nel novembre del 1912 entrò a far parte del trust della stampa cattolica italiana, di cui seguì la complessiva parabola politica.
Richelmy fu particolarmente severo nella lotta contro il modernismo, tanto da conquistarsi l’appellativo di malleus modernistarum: in particolare espulse i chierici sospetti di essere stati influenzati dalla ‘tabe ereticale’. Ma si tenne lontano dagli eccessi degli integristi, tra cui i fratelli Andrea, Jacopo e Gottardo Scotton, che infatti accusarono l’arcivescovo di Torino di eccessiva indulgenza.
A causa delle precarie condizioni di salute, il presule chiese e ottenne di essere affiancato da vescovi ausiliari che scelse, con l’eccezione di Angelo Bartolomasi (1909-1915), di tendenze più progressiste delle sue, quasi a bilanciare il proprio moderatismo, in una città e diocesi in cui forti anche tra i cattolici erano gli orientamenti di sinistra: Luigi Spandre (1899-1909) di iniziali simpatie democratico-cristiane, poi vescovo di Asti; Giovanni Battista Pinardi (1916-1923), di cui è stata introdotta la causa di beatificazione. A Spandre e poi ad altri convisitatori Richelmy ricorse per la visita pastorale della diocesi, che, tuttavia, anche per le sue condizioni di salute, non venne condotta a termine.
Richelmy rivelò molta attenzione alle congregazioni religiose, numerose in diocesi e spesso fondate dai santi della sua giovinezza. Particolarmente vicino fu ai salesiani, guidati sino al 1910 da don Michele Rua. Egli offrì inoltre un appoggio assai convinto al canonico Giuseppe Allamano per la fondazione dei missionari (1901) e delle missionarie della Consolata (1910).
Dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale Richelmy assunse un atteggiamento tendenzialmente neutralista, che venne progressivamente attenuando, man mano che si avvicinava l’ingresso dell’Italia in guerra. Dal maggio del 1915 si impegnò in un’intensissima attività caritativa sia verso i profughi dalle zone di combattimento sia verso i militari feriti. A una settimana dall’ingresso dell’Italia nel conflitto, Angelo Bartolomasi, suo ausiliare, fu nominato vescovo di campo. La scelta della S. Sede della persona cui affidare il delicato e nuovo incarico di responsabile e coordinatore dell’opera dei cappellani militari, appena ricostituiti, e più in generale il servizio religioso nell’esercito, cadde su un presule della diocesi torinese, il cui clero, anche nei momenti più difficili, aveva rivelato un filosabaudismo a tutta prova e i cui vertici, ma anche i cui ordini religiosi e, in generale, le figure più rilevanti sul piano organizzativo, erano avvezzi ad avere buoni rapporti con l’aristocrazia, da cui proveniva parte significativa degli alti gradi dell’esercito, e che era comunque contigua a Casa Savoia. Per i meriti conseguiti durante la guerra, Richelmy venne insignito del Gran cordone dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Dopo il conflitto il cardinale appoggiò le tendenze moderate del Partito popolare, di cui non comprese e criticò le tendenze all’autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche. Proibì inoltre ai chierici la lettura del periodico Pensiero popolare. L’arcivescovo non fu gradito a tutto il suo clero, da cui giungevano critiche, pare non del tutto infondate, di favoritismi e di mancanza di polso.
Morì il 10 agosto 1923 e venne sepolto nel santuario mariano della Consolata.
Fonti e Bibl.: Nell’Archivio storico diocesano di Ivrea sono presenti numerose carte relative all’episcopato di Richelmy, ma non sono raccolte in un unico fondo. Vi sono conservate pure le lettere pastorali del periodo eporediese, raccolte nel fascicolo CVIII-4. Nell’archivio arcivescovile di Torino è custodito invece il Fondo Richelmy, formato da quattro cartelle. Le lettere pastorali del periodo torinese, raccolte in otto fascicoli, si trovano nella Biblioteca del seminario. L. Condio, A sua eminenza il cardinale A. R., Torino 1899; E. Bracco, Il vescovo. Cenni biografici sul Cardinal A. R.. Omaggio nel suo giubileo sacerdotale, Torino 1911; F. Grand Jean, Carità di porpora. L’opera del cardinale A. R. per i soldati e per i profughi italiani durante la guerra di liberazione. 1914-1918, Torino 1919; A. Bartolomasi, Il cardinale A. R. Orazione funebre, Pinerolo 1925; A. Vaudagnotti, Il cardinale A. R., Torino-Roma 1926; C. Richelmy, Lo zio cardinale, in Nuova Antologia, marzo 1964, pp. 373-386; M.L. Salvadori, Il movimento cattolico a Torino 1911-15, Torino 1969, pp. 144-149, 284 s.; S. Soave, Fermenti modernistici e democrazia cristiana in Piemonte, Torino 1975, pp. 208-211, 227-234; B. Gariglio, Cattolici democratici e clerico-fascisti, Bologna 1976, pp. 40-43, 84 s.; G. Tuninetti, A. R., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, diretto da F. Traniello - G. Campanini, III, 2, Casale Monferrato 1984, pp. 718 s.; G. Tuninetti - G. D’Antino, Il cardinal Domenico della Rovere, costruttore della cattedrale e gli arcivescovi di Torino dal 1515 al 2000, Cantalupa 2000, pp. 209-215; Storia della Chiesa in Ivrea in epoca contemporanea, a cura di M. Guasco - M. Margotti - F. Traniello, Roma 2006, pp. 100-103, 227-231, 237-241.