RIGHINI, Agostino
RIGHINI, Agostino. – Nacque a Ferrara da Bartolomeo e da Lucrezia Righini, parenti, nel 1489 o nel 1490. Entrato in tenera età nell’Ordine dei frati minori conventuali, iniziò a viaggiare (gli antichi biografi dicono che fu in Sassonia, Irlanda, Romania e Palestina), si segnalò come abile predicatore e nel 1521 gli fu affidato il ciclo quaresimale nella chiesa di S. Petronio di Bologna (Sbaraglia, 1806, p. 103). Nel 1529, con l’elezione a ministro generale di Giovanni Vigerio, divenne suo assistente. Non sappiamo quando abbia ricevuto il titolo di maestro, ma fu decano del Collegio teologico di Ferrara già nel 1533 e poi negli anni 1540, 1547 e 1550.
In quell’arco di tempo, la Ferrara di Ercole II fu interessata da un’ampia diffusione del dissenso religioso che portò a una reazione culminata poi con la condanna a morte di Giorgio Siculo (1551); tuttavia, già nel 1536 l’entourage della duchessa eretica Renata di Francia era stato colpito da un’indagine condotta dall’inquisitore domenicano, a cui avevano collaborato due frati minori legati alla corte. Non sappiamo se Righini sia stato coinvolto come informatore in quel caso, che aveva provocato conflitti tra Ferrara e la Curia pontificia, ma è certo che fu richiesto come predicatore dal vicario del vescovo di Modena, impegnato ad arginare il dissenso in quella città (lettera di Giovanni D. Sigibaldi a Giovanni Morone, 28 aprile 1541, in Il processo, 2011, p. 966). Inoltre, dopo la reclusione (1554) e la partenza di Renata alla morte di Ercole II (1559), Righini divenne confessore del loro secondo figlio maschio, il futuro cardinale Luigi d’Este (una lettera sua a Righini, s.d., in B. Pucci, Della nuova idea di lettere, 1621, pp. 40 s.).
Negli anni centrali della sua lunga vita, caratterizzata dalla costante familiarità con la corte, si occupò anche della politica nei confronti dei marrani approdati a Ferrara, come attesta l’approvazione del «beneficio» (o salvacondotto) che Ercole II concesse agli «hebrei lusitani e spagnoli» il 12 febbraio 1550, dando libertà di culto e ignorando i precedenti battesimi. La sua firma, come vicario dell’inquisitore di Romagna (distretto dei frati minori, poi ridisegnato dal S. Uffizio), compare con quella dell’inquisitore domenicano di Ferrara Girolamo Papino (Segre, 1996, p. 802 n.; Leoni, 2000, p. 294). Antichi biografi (Franchini, 1693, ripreso da Palatucci, 1946) scrivono poi che Righini partecipò al Concilio di Trento, ma la notizia, per quanto è dato di sapere, non ha riscontri.
Uomo che amava le lettere e l’amicizia di umanisti e scrittori, fu forse in rapporti con Bernardino Tomitano, Celio Calcagnini, Lilio Gregorio Giraldi, Antonio Musa Brasavola e Giovanni Battista Pigna. Pietro Aretino, da Venezia, gli indirizzò un’epistola per raccomandargli un parente (ottobre 1553, in P. Aretino, Il sesto delle scritte lettere..., 1556, pp. 348 s.). Un legame più forte sembra esserci stato con Gasparo Sardi, storico di corte, che poté pubblicare piuttosto tardi le sue Historie Ferraresi (e in volgare) dopo ripetuti attacchi che culminarono in una lettera di Bartolomeo Ricci sulla corretta lezione latina del termine estense. Come mostra la raccolta di lettere contro Ricci, Sardi chiamò in sua difesa, tra gli altri, Righini, per il quale ebbe parole di affetto in una lettera del gennaio del 1548 (G. Sardi, Epistolarum liber, 1549, pp. 15-17). Righini è citato anche nelle lettere a Vincenzo Maggi (p. 18) e a Francesco Robortello (p. 24).
Con Alfonso II (1559-97) divenne elemosiniere e confessore ducale, come il confratello Giulio Pruniani (Marzola, 1978, pp. 171 s.), e proseguì l’attività di predicatore ricoprendo diverse cariche per il convento ferrarese di S. Francesco e per l’Ordine, tra cui quelle di priore, provinciale (già eletto nel 1532 e altre volte dopo tale data), procuratore generale (veste in cui è attestato nel 1560), visitatore e commissario generale per l’Italia.
I terremoti che interessarono Ferrara nel 1570 (protrattisi fino al 1574) videro impegnato Righini su un doppio fronte: quello della riflessione e quello del restauro. Giovanni Giacinto Sbaraglia (1806, p. 103) riferisce, infatti, che avrebbe stilato in quell’occasione uno scritto De terraemotu Ferrariensi rimasto inedito tra le carte del convento. Di certo Righini compare nel dialogo Del terremoto (1571) di Giacomo A. Buoni, dedicato al segretario ducale Pigna e al nodo dell’origine dei terremoti, discusso dall’autore, da Alessandro Sardi e da Benedetto Manzoli, segretario del cardinale d’Este.
I protagonisti, tuttavia, desiderano chiudere la conversazione interpellando il teologo, ormai ottantenne (c. 2v). Così Righini compare nella IV giornata (cc. 49r-63v) e Sardi, vedendolo, dichiara che il suo dolore «per gli danni, che ha patito questa venerabil Chiesa di San Francesco» deve essere stato grande, tanto che per il restauro egli «havea già speso più di quattro mila scudi, anzi tutto quello che di limosine» era riuscito a raccogliere nel corso della carriera di predicatore, «non per thesaurizzare [...], ma per ornarne il tempio di Dio et la sua religione». Righini ospita i tre uomini nella parte integra del convento e li esorta a leggere una quaestio di Francesco Giorgio Veneto (Zorzi), dai Problemata in Scripturam Sacram (Venetiis 1536, t. VI, n. 279, c. 385rv), in cui quel teologo aveva confutato le tesi peripatetiche sui terremoti. I fenomeni estremi e i prodigi, come il flusso e riflusso delle maree, fa osservare Righini, sono segni di Dio. Citando Flavio Giuseppe e la tradizione ermetica, puntualizza che le ragioni naturali non bastano a spiegare un fenomeno come quello accaduto a Ferrara: «con i theologi christiani da Dio illuminati» bisogna pensare che i terremoti e i diluvi sono «voci di Dio con le quali egli paternamente et amorevolmente chiama i soldati sbandati à raccolta, et quelli che sono in pericolo di morte, acciò che si salvino sotto la insegna di Gesù Christo nostro capitano» (G.A. Buoni, Del terremoto, cit., c. 50v). Righini elenca e commenta esempi scritturali di catastrofi divine, nega che le figure astrologiche possano evitare un sisma e invita i ferraresi a convertirsi, così come fa Buoni, che accusa la città di essere incline al vizio della sodomia (c. 56r).
Quanto ai restauri di S. Francesco, a cui accenna il dialogo, Righini donò del suo e raccolse in elemosine 18.000 scudi con cui fece riedificare il coro, la cappella maggiore, la sagrestia (dotandola di suppellettili), i pilastri portanti e il tetto. Commissionò anche ai pittori Niccolò Roselli e Domenico Mona diversi dipinti, tra cui un San Bonaventura nel cui volto, secondo gli antichi biografi, si fece ritrarre come teologo e committente.
Il legame con la corte e con Luigi d’Este, inoltre, lo portò a occuparsi del caso di Torquato Tasso. Come scrisse l’inviato ducale a Roma Evangelista Baroni al ministro Guido Coccapani, l’11 luglio 1577, «il Tasso se ne torna a Ferrara, con proposito di andare nel convento de’ frati di San Francesco, ed avere due frati […] in sua compagnia. Ma perché è solito di dire ogni cosa in confessione, e trascorre in un monte di pazzie, pare a Sua Altezza […] che quando i frati si contentino di star in sua compagnia, i quali però intende che siano deputati dal Padre Righino [forse priore], se ne contenterà […], per notare e riferire l’umore, se ben fosse come detto in confessione, sì come ha fatto anche il medesimo inquisitore, ammonendolo delle sue pazzie con qualche destrezza» (Solerti, 1895, II, p. 124). Coccapani, a sua volta, scrisse al duca per riferirgli che, scartate le alternative (affidarlo ai certosini o ai cappuccini), Tasso sarebbe stato ospitato nella «camera del Padre Righino», affiancato da due cantori «sotto la custodia o compagnia di maestro Giovanni Battista [Lugaresi]». Righini aveva accettato di sorvegliare Tasso «mosso dalla carità cristiana e dalla divozione» per il duca; ma se «farà atto […] di fuga o altra pazzia», precisò Coccapani, i frati «non lo vogliono in governo» (11 e 14 luglio, pp. 125 s.). E infatti Tasso, in preda a forti deliri, rimase a S. Francesco solo pochi giorni, durante i quali scrisse due lunghe lettere ad Alfonso II per implorare di lasciarlo parlare con l’inquisitore e dichiarare il piacere di stare in S. Francesco, maturando il proposito di farsi frate (T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, I, 1852, nn. 101 e 102, pp. 257-262). Il legame tra Tasso e Righini è attestato poi da alcuni sonetti che il poeta gli dedicò in quell’arco di tempo e al momento della morte (Come destrier che ritornò sovente; Benché la lunga etade i lumi esterni; Tu che devoto vieni, al sacro tempio). Inoltre nel dialogo Il forno, o della nobiltà, Righini è nominato da Tasso, con Francesco Panigarola, come uomo dotto ed eloquente.
Della sua attività di predicatore, in diverse città, sono testimonianza i centoventi Sermones per totam Quadragesimam (Patavii, Pasquato, 1572), che dedicò al cardinale d’Este. La raccolta fu ripubblicata in un volume più ampio di prediche apparso per la cura del frate Luigi Finardi, i Sermones per totum Aduentum ac Quadragesimam (Venetiis, Gobbi, 1581), con la stessa numerazione di pagina della prima edizione. A chiudere i Sermones era sempre una brevissima appendice Contra illos qui dicunt malos sacerdotes non possunt administrare Sanctissima sacramenta (cc. n. n.). Come si evince dalla raccolta, Righini discorse anche di temi delicati (come il limbo, la correctio fraterna e l’immacolata concezione di Maria, di cui era assertore) e attaccò senza eccessi controversistici le dottrine del fronte riformato, ma anche le opinioni dei ‘pelagiani’ (i seguaci di Siculo?), non concedendo troppo alla retorica fiorita che avrebbe trionfato pochi anni dopo con i sermoni di Cornelio Musso e Panigarola.
Alla sua morte, avvenuta a Ferrara il 25 settembre 1583, per volontà di Lugaresi, suo allievo, i frati del convento lo onorarono con una lapide posta nella chiesa di S. Francesco da lui fatta restaurare (Wadding et al., 1934, p. 436). Una seconda lapide in sua memoria, più breve, fu posta nel presbiterio nel 1772 (p. 437).
Alessandro Sardi lo ricordò nella dedica al decano del vescovato di Ferrara Pellegrino Riccardi che apre il De Christi saluatoris humanitate liber (Bononiae, Bonardo, 1586), una silloge di passi di Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno disposti secondo il racconto della vita di Cristo nel Nuovo Testamento che disse ispirata dalle lezioni di Righini, «omni doctrina et elegantia ornatissimo» (pp. 3 s.).
Fonti e Bibl.: G. Sardi, Epistolarum liber, Florentiae 1549, pp. 15-18, 24; P. Aretino, Il sesto delle scritte lettere volume, in Vinegia 1556, pp. 348 s.; G.A. Buoni, Del terremoto, Modena 1571, cc. 49v-57r; P. Ridolfi, Historiarum Seraphicae Religionis libri tres, Venetijs 1586, cc. 268v, 310rv; A. Sardi, De Christi saluatoris humanitate liber, Bononiae 1586, pp. 3 s.; M.A. Guarini, Compendio historico […] delle Chiese e luoghi pij […] di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 232, 234, 290; B. Pucci, Della nuova idea di lettere, Venezia 1621, pp. 40 s.; Id., Le lagrime et altre poesie spirituali, Venezia 1621, pp. 30-32; F. Borsetti, Historia Almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrariae 1735, pp. 394 s.; T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1852, pp. 257-262; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secoli XV e XVI, Lucca 1900, pp. 120 s., 130 s., 144 s., 154 s.
A. Superbi, Apparato de gli huomini illustri della città di Ferrara, Ferrara 1620, pp. 33 s.; L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum, Romae 1650, pp. 43 s.; G. Franchini, Bibliosofia e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali, Modena 1693, pp. 15-22; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Romae 1806, pp. 103 s.; L.N. Cittadella, Memorie storico-monumentali-artistiche del tempio di San Francesco in Ferrara, Ferrara 1860, pp. 14, 43, 47, 66, 74, 79; A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, I-III, Torino-Roma 1895, I, p. 265, II, pp. 124-126; L. Wadding et al., Annales Minorum, XXI, Ad Claras Aquas 1934, pp. 435-437 (cc. 415-417); G. Palatucci, I Frati Minori Conventuali, in Il contributo degli Ordini religiosi al Concilio di Trento, a cura di P. Cherubelli, Firenze 1946, pp. 97-132 (in partic. pp. 114 s.); T. Lombardi, I francescani a Ferrara, I, Bologna 1974, pp. 47 s., 56, 67, 79, 83, 108, 132 s.; M. Marzola, Per la storia della Chiesa ferrarese nel secolo XVI (1497-1590), I, Torino 1978, pp. 171 s., 503 s., 566; R. Segre, La formazione di una comunità marrana: i portoghesi a Ferrara, in Storia d’Italia. Annali 11. Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, I, Torino 1996, pp. 781-841 (in partic. p. 802 n.); L. Chiappini, La Chiesa di Ferrara fra Umanesimo e Riforme (secc. XV e XVI). Il Cinquecento, in La Chiesa di Ferrara nella storia della città e del suo territorio. Secoli XV-XX, a cura di A. Samaritani, Ferrara 1997, pp. 39-77 (in partic. p. 74); A. Leoni, Gli ebrei a Ferrara nel XVI secolo, in Storia di Ferrara, VI, Il Rinascimento, a cura di A. Prosperi, Ferrara 2000, pp. 277-311 (in partic. pp. 294, 310); T. Tasso, Edizione nazionale delle Opere, IV, 3, a cura di F. Gavazzeni - V. Martignone, Genova 2006, pp. 159, 191; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo et al., I, Roma 2011, p. 966.