SCILLA, Agostino
– Nacque a Messina il 10 agosto 1629 (Susinno, 1724, 1960, p. 234). Pittore, scienziato naturalista, collezionista di monete e di disegni, nel suo Autoritratto (Boston, Museum of fine arts) è raffigurato con i pennelli, la tavolozza dei colori e un libro che verosimilmente allude al suo trattato sulla vera natura dei fossili (Martinelli, 1978, p. 600).
Della sua famiglia di origine si conoscono i nomi del padre, Giovanni, notaio, e di due fratelli: il maggiore, Placido, forse un ecclesiastico (Hyerace, 2007, pp. 156-158), e Giacinto, anch’egli pittore, specialista di nature morte (Susinno, 1724, 1960, p. 244).
Per la ricostruzione della sua attività rilevante è il breve profilo di Nicola Pio (1724, 1977), basato su informazioni fornitegli da Saverio Scilla, figlio di Agostino, residente a Roma, pittore e autore del ritratto a matita del padre, oggi nel National Swedish art museum di Stoccolma (V. Clark, The portraits of artists drawn for Nicola Pio, in Master Drawings, V (1967), p. 22; Hyerace, 2007, p. 167), che accompagnava la biografia. Imprescindibile è la circostanziata vita di Francesco Susinno (1724, 1960, pp. 234-243), che ha fatto supporre un rapporto con i figli Saverio e Giuseppe, gesuita vivente a Messina (Hyerace, 2007, p. 165). Alle notizie del Susinno hanno attinto le successive fonti messinesi (Gallo, 1882; Hackert - Grano, 1792, 2000; Grosso Cacopardo, 1821).
A detta di Susinno (1724, 1960, p. 234), dopo gli studi letterari Scilla «diessi interamente a quelli della pittura» sotto la guida del classicista Antonino Barbalonga, già allievo in Roma del Domenichino. Morto il padre (1646), seguendo la strada già battuta da Barbalonga, si trasferì nella città papale, dove rimase per cinque anni, entrando, quindi non a caso, nella bottega di Andrea Sacchi. Notizie, queste, confermate, almeno per quanto riguarda i tempi, dalle carte di un processo del 1646, a carico del fratello Placido, nelle quali è registrata la sua presenza a Roma, e da una nota manoscritta di padre Sebastiano Resta, vergata sulla scorta di notizie di prima mano, su un’edizione dell’Abecedario di Pellegrino Antonio Orlandi (Hyerace, 2007, p. 159).
Nel 1651 Agostino rientrò a Messina, ove contrasse matrimonio con Placenzia Condorelli (Mongitore, ante 1743, 1977, p. 139), dalla quale ebbe, oltre ai già ricordati Giuseppe e Saverio, altri quattro figli: Flavia, Giovanni (medico), Carlo (giureconsulto) e Francesco (abate; Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana, ms. VII.F.6-8 C M: G. Ragusa, Siciliae bibliotheca..., [prima metà XVIII sec.]; Di Bella, 1998, pp. 35 s.). A Messina diede inizio a una brillante carriera, lavorando a opere pubbliche e private anche fuori della sua città, per la maggior parte, ormai, disperse o distrutte dai terremoti del 1783 e del 1908.
Ben presto entrò in contatto, ponendo le basi di un duraturo rapporto, con il principe Antonio Ruffo, il quale, intorno alla metà del sesto decennio del secolo, gli commissionò la decorazione del soffitto di una sala del suo palazzo al Regio Campo (distrutto dal terremoto del 1783) e poi nel 1673 il proprio ritratto e altri dipinti anch’essi perduti (Ruffo, 1916). Nel contempo si legò con il marchese Carlo di Gregorio, fondatore della locale Accademia della Fucina, della quale Scilla fu sodale con il nome di «Scolorito», adottando come impresa un pane di biacca (Susinno, 1724, 1960, p. 236). A di Gregorio dedicò uno studio sopra i pezzi più importanti della collezione numismatica dello stesso marchese, De’ discorsi sopra alcune medaglie delle siciliane città, «opera eruditissima» che Susinno (1724, 1960, p. 241) vide a Roma in casa Scilla, rimasta incompleta a causa della «guerra di Messina», e ritrovata in collezione privata romana (Hyerace, 2001a, p. 55).
Nell’ambito dell’Accademia, tra gli anni Trenta e Settanta, Scilla strinse rapporti di amicizia e di stima, fondamentali per la sua formazione scientifica, con Pietro Castelli, Giovan Alfonso Borelli, Marcello Malpighi e Carlo Fracassati, tutti professori nell’Ateneo peloritano e tutti galileiani con diverse sfumature, promotori dell’enorme svecchiamento, non soltanto locale, della cultura accademica (Di Geronimo, 2014, pp. 17-24). Per un’introvabile opera di Castelli sugli insetti, rimasta manoscritta, Scilla avrebbe miniato «infinite figure» (Gallo, 1882, p. 60).
La più antica opera al momento nota del pittore è il Martirio di s. Agata della chiesa del Collegio di Caltanissetta, datata 1654 e caratterizzata da influenze classiciste e dall’attenzione alla pittura di Pietro Novelli.
Tra il febbraio e l’ottobre del 1658 Scilla eseguì gli affreschi della volta della cappella del Sacramento del duomo di Siracusa (Agnello, 1927; Nocera, 1928), commissionatigli dal vescovo Giovanni Antonio Capobianco, prima grande impresa decorativa eseguita fuori dalla sua città, e l’unica superstite di questo genere. Essi raffigurano storie dell’Antico Testamento alludenti al mistero dell’Eucarestia e denunciano una familiarità, oltre che con le opere romane di Sacchi, anche con quelle di Domenichino e di Giovanni Lanfranco (Hyerace, 1996, pp. 70-72).
Successivo è il S. Benedetto che ordina di distruggere gli idoli del Museo regionale di Messina e già nella chiesa di S. Paolo delle Monache, che, per la qualità pittorica e per i più diretti richiami a opere di Sacchi, ha fatto supporre una nuova presa di contatto del pittore con Roma – dove egli è ricordato nel maggio del 1662 (G. Lipari, Il carteggio Ventimiglia-Allacci: una vicenda editoriale del ’600, Messina 1990, pp. 144 s.).
L’opera è databile alla metà degli anni Sessanta (Hyerace, 2001b, p. 44). Per precisi confronti di ordine formale e stilistico, a essa si legano I quattro Dottori della Chiesa dello stesso museo messinese, dove, accanto alle derivazioni sacchiane, è presente una componente naturalistica (Hyerace, 1999, p. 205).
L’adesione alla cultura classicista non impedì a Scilla di mantenere un legame con quella naturalistica e luministica propria della pittura meridionale. A tal proposito lo stesso Susinno (1724, 1960, p. 236) puntualizzava che Scilla fu grande imitatore del Ribera, e «da ciò ne seguì» la specializzazione «in far teste di vecchioni» e «filosofi e santi a mezza figura»; ciò è dimostrato da opere come Epicuro (di cui si conoscono diverse varianti), Tolomeo, S. Ambrogio, Archita di Taranto (Hyerace, 1999, pp. 200-206; Id., 2007, p. 159; Salomon - Langdon, 2010; Cifani, 2014).
Delle opere eseguite per le chiese di Messina sopravvivono poche testimonianze. Tra quelle oggi al Museo regionale di Messina si ricordano la S. Orsola (in collaborazione con Giovanni Fulco e Antonio Catalano il Giovane) già nell’omonima chiesa; la Vergine, s. Giovanni e la Maddalena ai piedi della croce, di forte impianto classicista, e la novellesca Immacolata con il Padre Eterno (replicata con l’intervento di aiuti per la chiesa siracusana del monastero di S. Maria della Concezione), provenienti dalla chiesa di S. Chiara; il teatrale S. Ilarione morente, già in S. Giocchino; la barocca Madonna con Bambino e s. Gaetano, già nella chiesa della Ss. Annunziata dei Teatini, firmata e datata 1671. Dello stesso anno è Epicarmo incoronato da Talia della Galleria regionale della Sicilia a Palermo. Agli anni messinesi apparteneva anche la Maddalena penitente per la Certosa di Serra San Bruno in Calabria, distrutta dal terremoto del 1783 e nota attraverso un disegno in origine allegato al manoscritto delle Vite di Nicola Pio e oggi a Parigi nel Département des arts graphiques del Louvre (Hyerace, 2001b, pp. 85 s.).
Nel 1670, con l’indicazione di una falsa genesi napoletana (G. Lipari, Il falso editoriale a Messina nel Seicento, Messina 2001, pp. 39 s.; Hyerace, 2007, p. 167), fu stampata a Messina l’opera scientifica di Scilla La vana speculazione disingannata dal senso. Lettera risponsiva circa i corpi marini che petrificati si trovano in varij luoghi terrestri. Con essa Agostino si rivela fondatore della moderna paleontologia, facendo risaltare, con metodo galileiano, errori e pregiudizi di tanti autori che l’hanno preceduto o a lui contemporanei, e rivelando la vera natura dei fossili, cioè il loro essere resti di animali vissuti in epoche remote (Di Geronimo, 2014). Per avvalorare la sua tesi, Scilla corredò l’opera con ventotto incisioni eseguite a Roma da Pietro Santi Bartoli (Pio, 1724, 1977, p. 128; Carpita, 2006) nel corso del 1671 (Hyerace, 2007, p. 167), tutte tratte da suoi disegni. Di questi sono note due serie, una a matita, acquistata in epoca imprecisata da John Woodward, e oggi a Cambridge nel Sedgwick Museum of earth sciences, e l’altra a penna nella British Library di Londra (Di Bella, 2001; Di Geronimo, 2014, pp. 96-101).
Gli studi naturalistici dovettero essere determinanti anche per l’avvicinamento di Agostino alla pittura di natura morta, genere che praticò con grande successo. Ne sono testimonianza due esemplari di collezione privata lombarda databili al periodo messinese (Marini, 1990). In essi è evidente l’influenza di Giovan Battista e di Giuseppe Recco, che Scilla aveva probabilmente conosciuto nella quadreria Ruffo o a Napoli. All’ultimo decennio del secolo risalgono invece la Figura maschile e pesci e la Figura maschile e frutta, di collezione privata, già appartenute al cardinale Giovan Battista Spinola di Luccoli, committente romano di Scilla, e altre tre nature morte di cui due nell’Accademia di S. Luca e una nella Galleria Corsini a Roma (Di Penta, 2008).
Questo gruppo di opere risente dei modelli di Michelangelo Cerquozzi, Michelangelo Pace, Abraham Brueghel e Giovanni Battista Ruoppolo, ma da essi si distingue per un senso straordinario di fisicità che denuncia l’occhio del naturalista che indaga attentamente quanto raffigurato.
Nel marzo del 1678, a conclusione della rivolta scoppiata a Messina, Scilla abbandonò la città con tutta la famiglia per sfuggire alla repressione spagnola (G. Arenaprimo, Gli esuli messinesi del 1678-79. Notizie e documenti, Messina 1905, pp. 49 s.). Dopo un brevissimo soggiorno in Francia, comprovato da un dipinto con la Conversione della Maddalena oggi nella parrocchiale di Floriac (Rosenberg, 1985-1986 [1986]), si stabilì definitivamente a Roma, dove il 1° ottobre del 1679 fu ammesso nell’Accademia di S. Luca (Hyerace, 2007, pp. 161, 167), e in occasione della proclamazione ufficiale (15 settembre 1680) donò una mezza figura di S. Girolamo, ancora in loco, dove è palese l’adeguamento ai moduli barocchi romani e in particolar modo al fare di Giacinto Brandi (Hyerace, 1999, p. 203). Nello stesso anno firmò e datò la grande tela, con tema analogo all’opera di Floriac, per la chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo di Fano (Susinno, 1724, 1960; Pio, 1724, 1977, p. 129, Pascoli, 1730, 1992, p. 498) ed oggi nella chiesa di S. Quintino a Valmondois in Francia (Macé de Lépinay, 1993). Nel dicembre del 1679 morì a Roma Giovanni Alfonso Borelli, e Scilla omaggiò l’amico degli anni messinesi con il piccolo ritratto posto sulla lastra funeraria parietale dello scienziato nella chiesa di S. Pantaleo (Hyerace, 2007, pp. 160 s.).
Nell’ambito dell’Accademia di S. Luca gli furono affidate, tra il 1681 e il 1688, cariche importanti come quella di deputato, di camerlengo, di stimatore di pittura e di censore (Hyerace, 2007, p. 161). Nel 1680 fu ammesso nella Compagnia di S. Giuseppe di Terra Santa (V. Tiberia, La Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta da Gregorio XV a Innocenzo XII, Lecce 2005, p. 99).
Nella città papale Scilla trasferì anche le sue raccolte di fossili, monete, medaglie, anticaglie e disegni, che successivamente ampliò formando nella sua abitazione in palazzo Montecatini una Wunderkammer molto apprezzata da intenditori come Jean Vaillant (Hyerace, 2001a, pp. 55-59; Di Bella, 2001) e in particolare da Giovanni Pietro Bellori (Carpita, 2006, pp. 355 s.).
A detta di Susinno, durante l’esilio romano Scilla fu molto accorto a non suscitare l’ostilità e l’invidia dei colleghi. Di fatto, Susinno (1724, 1960, p. 242), Pio (1724, 1977, p. 129) e Lione Pascoli (1730, 1992, p. 498) ricordano solo due opere pubbliche del pittore: la citata tela per Fano, oggi a Valmondois, e la marattesca Madonna del Rosario (1685-86) della collegiata di Valmontone, commissionatagli da Giovan Battista Pamphili Aldobrandini (Serafinelli, 2012). La pala ha costituito un sicuro punto di riferimento per la restituzione al pittore di due Sacre Famiglie (Schleier, 2009 [2010]), e di una Maddalena in adorazione del Crocifisso (Petrucci, 2012, p. 156), tutte transitate sul mercato antiquario.
Cospicua fu, invece, l’attività per privati, come attestano alcuni inventari coevi di collezioni di principi e cardinali, che indicano opere per la maggior parte ancora da rintracciare, e Susinno, che ricordava quadri di Scilla presso i cardinali Renato Imperiali, Lorenzo Corsini e Giovan Battista Spinola (Susinno, 1724, 1960, p. 242). Altre opere erano presenti in prestigiose collezioni come la Colonna, la Del Carpio e la Sforza Cesarini (Hyerace, 2007, pp. 161 s.). È verosimile che da queste raccolte provengano lo Studio di due teste e un S. Girolamo di ubicazione sconosciuta (Petrucci, 2012, p. 156) e il S. Paolo primo eremita del Collegio del Preziosissimo Sangue di Albano (U.V. Fischer Pace, Disegni del Seicento romano [catal.], Firenze 1997, pp. 212 s.). In possesso del medaglista Giovanni Martino Hamerani erano l’Estate e l’Inverno (L. Simonato, Giovanni Martino Hamerani, artista e collezionista, in Le arti a dialogo. Medaglie e medaglisti tra Quattro e Settecento, a cura di L. Simonato, Pisa 2014, pp. 244-249, 298) oggi nella collezione Leicester a Holkham Hall (Hyerace, 2007, pp. 164, 168 nota 71). Tra i committenti di Scilla figurano anche nomi stranieri come quello di John Cecil conte di Exeter, che nel 1684 acquistò l’Arianna abbandonata da Teseo per la sua residenza di Burghley House, ancora in loco (pp. 162 s.). Nel 1687 Vittorio Amedeo II di Savoia gli commissionò le due tele con la Fortezza e la Giustizia (Susinno, 1724, 1960, p. 239; Hyerace, 2007, p. 163) che assieme ad altre due con la Fede e con la Carità di Daniel Seiter dovevano accompagnare il quadro centrale con il Trionfo della Fede sull’Eresia di Giacinto Brandi per il soffitto della sala delle cameriste del Palazzo Reale di Torino (A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, III, Torino 1968, pp. 976 s.; Serafinelli, 2012, p. 410 nota 60). Ancora a Torino, in palazzo Graneri della Rocca, si conservano quattro ritratti immaginari di filosofi (Cifani - Monetti, 2012); nulla si conosce di un Anfione già in palazzo Provana, divenuto poi palazzo Falletti di Barolo (A. Griseri, Dalla reggenza a Vittorio Amedeo II. Le arti per il titolo regio, in Storia di Torino, IV, a cura di G. Ricuperati, Torino 2002, p. 99 nota 9).
Delle opere di Agostino lasciate in eredità al figlio Saverio (Di Bella, 1998, p. 47) rimane un Sacrificio di Polissena, in collezione privata (Hyerace, 2013, pp. 295-302).
Negli anni romani Scilla fornì disegni per incisioni a Benoît Farjat, ad Arnold van Westerhout e a Jacques Blondeau (Martinelli, 1978, pp. 602-604; Hyerace, 2001b, pp. 93-104). Altri suoi disegni sono conservati in collezioni pubbliche e private (Hyerace, 2001b, pp. 81-91).
Scilla morì a Roma il 31 maggio 1700 (Susinno, 1724, 1960, p. 243; Di Bella, 1998, p. 25, nota 11).
Il 12 marzo del 1702 il cardinale Giuseppe Renato Imperiali, accademico d’onore dell’Accademia di S. Luca, presentò un’istanza affinché venisse esposto il ritratto del pittore (ancora in loco), eseguito verosimilmente dal figlio Saverio (Hyerace, 2007, p. 160).
Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana Alberto Bombace, ms. VII.F.6- 8 C M: G. Ragusa, Siciliae bibliotheca recens, continens elogia Siculorum qui nostra vel nostrorum memoria literarum fama claruerunt ab anno 1500 ad annum 1700, distributa in centurias XX... (prima metà sec. XVIII), t. I, centuria I, c. 16, n. 14.
Roma sacra antica e moderna, figurata e divisa in tre parti..., a cura di G.B. Molo, III, Roma 1687, pp. 63 s.; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive de scriptoribus Siculis, I, Panormi 1708, p. 91; N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti (1724), a cura di C. Enggass - R. Enggass, Città del Vaticano 1977, pp. 128 s.; F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 234-244; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni (1730), a cura di A. Marabottini, Perugia 1992, pp. 497-500; A. Mongitore, Memorie dei pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani (ante 1743), a cura di E. Natoli, Palermo 1977, pp. 36-39 e 139; F. Hackert - G. Grano, Memorie de’ pittori messinesi (1792), a cura di G. Molonia, Messina 2000, pp. 120-126; G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII al secolo XIX, Messina 1821, pp. 139-147; C.D. Gallo, Gli Annali della Città di Messina, a cura di A. Vayola, IV, 1, Messina 1882, pp. 59 s.; G. La Corte Cailler, Lettere inedite su Agostino e Saverio Scilla, in Atti della R. Accademia Peloritana, IV (1899-1900), pp. 13-188; V. Ruffo, Galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina (con lettere di pittori ed altri documenti inediti), in Bollettino d’arte, X (1916), 1-2, pp. 25 s., 33, 3-4, p. 124, 5-6, p. 187, 9-10, pp. 307, 310, 312, 318 s., 11-12, pp. 377, 379; G. Agnello, Un ignoto frescante del Seicento: A. S., in Per l’arte sacra, IV (1927), 6, pp. 3-8; O. Nocera, Notizie sulla cappella del Sacramento, in La siciliana, febbraio 1928, pp. 21-26; V. Martinelli, A. S., pittore e scrittore messinese, esule a Roma, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, V, Milano 1978, pp. 595-605; N. Morello, La nascita della paleontologia nel Seicento: Colonna, Stenone, Scilla, Milano 1979, pp. 148-266; E. Natoli, Per A. S., in Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna. 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