TASSI, Agostino
Nato a Roma da Domenico, di professione pellicciaio, e dalla moglie Angela Cenzini di Perugia, fu battezzato al fonte di S. Pietro il 3 agosto 1578. Il vero cognome del padre, anch’egli soprannominato Tassi, era forse Conzori, certamente non Buonamici come riferito da Giovan Battista Passeri (Cavazzini, 1998, p. 172). Intorno al 1594 si trasferì a Firenze, dove non si sono trovate tracce della sua presenza, nonostante affermasse di avere lavorato quattordici anni per la corte medicea. Fu sicuramente a contatto con il mondo delle produzioni sceniche e architetture effimere fiorentine, rappresentato da Bernardo Buontalenti, Giulio Parigi e Remigio Cantagallina, ma l’unico rapporto di apprendistato documentabile, che forse si svolse a Livorno, è quello con il poco noto Lorenzo Franchini, iscritto all’Accademia del disegno fiorentina fino al 1593 (Paliaga, 2004, p. 89). Tra il 1598 e il 1599 tornò a Roma per qualche mese, presumibilmente lavorando in questa occasione con il pittore fiammingo Paul Bril, di cui fu allievo secondo varie fonti (Cavazzini, 1998, p. 173; Soprani, 1674, 1768).
Probabilmente in seguito alla condanna per una rissa, scontata in parte sulle galere granducali, fu relegato a Livorno, dove si poteva vivere in condizioni di libertà o semilibertà purché si partecipasse ai lavori voluti dai Medici, che intendevano trasformare la città in un grande porto (Passeri, ante 1679, 1995, p. 118). Affermò invece di avere intrapreso viaggi per mare «per vedere il mondo» (Cavazzini, 1998, p. 206). A Livorno affrescò un lungo fregio nel coro del duomo (1602), le facciate di molte case nella via Ferdinanda e quella della chiesa di S. Giulia (1603; Paliaga, 2004, p. 95). Gran parte di queste decorazioni, ora perdute, erano a chiaroscuro e rappresentavano soggetti legati al mare, in particolare le vittorie navali dei cavalieri di S. Stefano contro i corsari turchi, una scelta inusuale per quegli anni. Le sue abilità quadraturistiche in queste opere pare fossero già notevoli.
Nel 1603 sposò Maria Connodoli, la quale nel 1610 fuggì con un mercante lucchese. Sempre a Livorno strinse un solido rapporto con il governatore della città, Lorenzo Usimbardi, che lo aiutò in seguito nelle sue traversie giudiziarie. Nell’agosto del 1605 e nell’aprile del 1606 era a Genova, dove si recò con il pittore senese Ventura Salimbeni e con Filippo Franchini, figlio del suo maestro Lorenzo (V. Belloni, Scritti e cose di arte genovese, Genova 1988, p. 14; Cavazzini, 1998, p. 205). Gli affreschi genovesi sono tutti perduti, compreso il casino delle Muse nella villa di Orazio di Negro a Fassolo, decorato con «amene vedute di mare e alberi fronzuti» (Soprani, 1674, 1768). Franchini sposò poi Costanza Connodoli, sorella di Maria, diventando così suo cognato. Ritornato a Livorno, nel 1608 Tassi prese parte insieme a Filippo Paladini e a Remigio Cantagallina alle decorazioni effimere eseguite in occasione del matrimonio tra Cosimo II de’ Medici e Maria Maddalena d’Austria.
Di questo decennio e oltre di attività sopravvive ben poco: al British Museum e al Victoria and Albert Museum di Londra sono conservati alcuni disegni di figura, i cui minuscoli personaggi fanno presagire quelli di Claude Lorrain, suo allievo a Roma prima del 1625. Sempre entro il 1610 vanno collocati alcuni disegni rappresentanti l’arsenale di Livorno, tra cui quello della Nasjonalgalleriet a Oslo. Sono di Tassi anche il disegno di un cantiere navale nell’album di Claude Lorrain a Pasadena, Norton Simon Museum, e il relativo dipinto, noto solo da una fotografia (Paliaga, 2006; P. Cavazzini, in Agostino Tassi, 2008, pp. 25-30).
Dopo la morte del granduca Ferdinando I, Tassi partì per Roma, dove giunse nel luglio del 1610, a quasi 32 anni. Da questo periodo la documentazione sul pittore, coinvolto in numerose vicende giudiziarie, è sterminata, anche se relativamente poco utile a mettere punti fermi nella sua cronologia (Bertolotti, 1876; Artemisia Gentileschi, 1981; Cavazzini, 1998, pp. 201-229; Ead., 2001b). Il legame con i Medici è ancora evidente nella prima commissione romana, il perduto fregio a palazzo Firenze rappresentante le imprese marittime di Ferdinando I, che fu eseguito nel 1610 sotto la direzione di Ludovico Cigoli. Accusato di incesto con la cognata Costanza, Tassi fu rapidamente assolto. Nel marzo 1611 era già al servizio di papa Paolo V Borghese, per il quale dipinse il soffitto della vecchia sala regia nel palazzo del Quirinale insieme a Orazio Gentileschi. Le committenze Borghese a fianco di Gentileschi si moltiplicarono rapidamente, ma di esse rimane solamente il casino delle Muse poi Pallavicini. L’architettura dipinta da Tassi nella volta ricrea in maniera del tutto convincente una loggia popolata da figure, mentre i suoi paesaggi nelle lunette sottostanti mostrano un’evidente derivazione da quelli di Brill nel casino accanto, eseguiti quasi contemporaneamente. La collaborazione tra Tassi e Gentileschi s’interruppe bruscamente nel marzo 1612, quando il secondo denunciò l’amico per la violenza compiuta ai danni della figlia Artemisia nel maggio 1611. Con la promessa di matrimonio che non mantenne mai, Tassi convinse la giovane ad acconsentire a una lunga relazione amorosa. Ritenuto colpevole di «stupro di vergine», fu condannato all’esilio da Roma per cinque anni, anche se lasciò la città solo nell’aprile 1613, in seguito a una nuova condanna per rissa che avrebbe dovuto allontanarlo da tutti gli stati papali per un quinquennio (Artemisia Gentileschi, 1981; Cavazzini, 2001b, pp. 443 s.). Si rifugiò in realtà vicino a Roma, a Bagnaia, dove assunse la direzione dei lavori, che era stata in precedenza del Cavalier d’Arpino, per il cardinale Alessandro Peretti Montalto nel casino nuovo di villa Lante. Rimase a Bagnaia fino al settembre del 1615, intervenendo in parte su stanze concepite dal cavaliere. Nella loggia, oggi molto danneggiata, riuscì a dilatare uno spazio di dimensioni modeste, triplicandone illusionisticamente la lunghezza e innalzandolo con l’aggiunta di alte voliere dipinte.
Senza avere completamente scontato la condanna all’esilio, Tassi ritornò a Roma già alla fine del 1615, presumibilmente per esplicito volere del papa, che apprezzava la sua abilità di quadraturista, unica nella Roma di quegli anni. Si stabilì nella parrocchia di S. Spirito in Sassia, all’inizio della salita del Gianicolo, dove abitava già ai tempi del processo per stupro. Nel palazzo del Quirinale intraprese nel 1616 la decorazione dell’enorme nuova sala regia, terminata in circa un anno in collaborazione con Giovanni Lanfranco, Carlo Saraceni e numerosi aiuti. Gli spettano l’ideazione del sistema decorativo e l’esecuzione della parete interna della sala (R. Vodret, in Agostino Tassi, 2008, pp. 127-149). Nella stanza accanto dipinse un fregio con le Storie di s. Paolo, soggetto scelto in omaggio al papa Paolo V, che gli fu saldato nell’ottobre del 1617. Come in varie sue opere su tela di questa data, vi si notano elementi alla Adam Elsheimer dovuti, più che a contatti personali, alla conoscenza di vari dipinti del collega tedesco. Intorno al 1618 Tassi, che a quest’epoca si era trasferito a via della Lungara, dipinse la cappella del Rosario in S. Onofrio al Gianicolo, di cui sono rimaste due Sibille nella lunetta sopra l’ingresso.
Già dall’arrivo a Roma si esercitò in tutte le declinazioni della pittura di paesaggio, vedute, scene costiere, rappresentazioni di eventi contemporanei, capricci architettonici, incendi, notturni e tempeste di mare, soggetti che non avevano ancora raggiunto a Roma una grande fortuna. Popolate da svelte figurine dalle pose manierate, le tele sono facilmente riconoscibili, ma di difficile datazione. Affiancato da numerosi collaboratori, Tassi produsse dipinti di qualità disforme per tutto l’arco della carriera, a volte ripetitivi nonostante fosse dotato di enorme fantasia e capacità inventiva. Erano destinati sia a committenti privati che al mercato, in cui per altro era egli stesso molto attivo. Tra le sue prime opere romane si ricordano l’Arrivo della Regina di Saba nei domini di Re Salomone a Burghley House, la Veduta del Campidoglio (Firenze, collezione privata) e la Negazione di s. Pietro (Roma, collezione privata). Verso la fine della seconda decade del Seicento si segnalano La marina con personaggi intorno a un fuoco (o Gli Argonauti, Roma, collezione privata) e il Paesaggio con danza campestre nel Castello Reale di Varsavia, un soggetto inusuale per la data, che ispirò in seguito Claude Lorrain (Agostino Tassi, 2008, pp. 43, 48, 172-175, 180).
Dal settembre 1619 Tassi fu nuovamente in prigione, forse non di continuo, imputato di vari crimini, il più grave dei quali era l’incesto con la cognata Costanza, e fu scarcerato definitivamente nel marzo 1620. Riuscì infatti a dimostrare che le deposizioni contro di lui erano false e organizzate da suoi nemici, i quali cercarono di ucciderlo appena liberato. Fingendosi morto, scampò all’attentato senza riportare ferite rilevanti (Passeri, ante 1679, 1995, p. 125; Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Processi, 162, cc. 52-63, 733-781). In questo periodo diede inizio al grande cantiere di palazzo Lancellotti, che lo tenne impegnato a fasi alterne per quasi un decennio (Cavazzini, 1998). Iniziò dalla sala dei Palafrenieri, pensata forse in funzione di rappresentazioni teatrali, in cui le pareti vengono completamente negate da un porticato a due piani che si apre su ampie vedute di mare e sulla campagna romana. Gli schemi di paesaggio, ancora brilliani, sono animati da una nuova luce mattutina che deriva dai contatti con Goffredo Wals, Filippo Napoletano, Cornelis van Poelenburgh e Bartholomeus Breenberg. Nello stesso palazzo Tassi decorò alcune volte a pianterreno, in particolare la stanza di Rinaldo e Armida e quella della Vera Nobiltà, entrambe in collaborazione con il Guercino, presumibilmente nel 1621, e quella della Generosità, insieme a Lanfranco, intorno al 1624-25. Forse a questa data, o qualche anno più tardi, affrescò il poetico fregio di paesaggi e scene marine nel salone da ballo, che Lorrain deve avere visto e a cui potrebbe avere collaborato. Sempre con il Guercino nel 1621, Tassi dipinse le volte nelle stanze dell’Aurora e della Fama nel casino dell’Aurora Ludovisi.
Per avere aggredito una prostituta e minacciato la serva che aveva testimoniato contro di lui, Tassi nel 1622 fu condannato agli arresti domiciliari nel palazzo di monsignor Costanzo Patrizi (ora Costaguti), dove dipinse un fregio di paesaggio e la volta del Carro del Sole insieme al Domenichino (Archivio di Stato di Roma, Tribunale Criminale del Governatore, Processi, 181, cc. 407-413; A. Pedrocchi, in Agostino Tassi, 2008, pp. 151-161). Tormentato dagli attacchi artritici, affidò al fedele cognato Franchini l’architettura illusionistica della volta dipinta dal Guercino con Rinaldo rapito da Armida (Cavazzini, 1998, pp. 86 s.). Scacciato dal palazzo per avervi ospitato la prostituta che aveva aggredito in precedenza, all’inizio del 1623 dipinse per il cardinal nipote Ludovico Ludovisi la volta di un salotto in quello che ora è palazzo Chigi Odescalchi. Nel soffitto, quattro oculi a trompe-l’œil si aprono su uno sfondo di cielo alla maniera dei fratelli Alberti, mentre nelle lunette sottostanti si distendono quattro sereni paesaggi marini con scene di pesca (pp. 67-73). Prima del 1625 affrescò a palazzo Taverna, per il cardinal Maurizio di Savoia, una sala dipinta a colonnati, perduta, presumibilmente sul modello della sala dei Palafrenieri a palazzo Lancellotti.
Dall’estate del 1625 e per più di un anno, fu impegnato a Monte Magnanapoli nella villa Aldobrandini eseguendo e facendo eseguire affreschi e indorature, solo queste ultime sopravvissute (L. Lorizzo, Villa Aldobrandini a Monte Magnanapoli…, in Giardini storici. Artificiose nature a Roma e nel Lazio, a cura di C. Mazzetti di Pietralata, Roma 2009, pp. 259-272). A questa data abitava in zona, nella parrocchia di S. Maria in Via, non lontano dalla strada del collegio dei Maroniti, dove viveva Nicolas Poussin, con il quale fu certamente in rapporto. Dipinse inoltre nel casale dei Mellini a Monte Mario decorazioni che non sono state rintracciate (F. Nicolai, La committenza del cardinale Giovanni Garzia Mellini a Roma…, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, LIX (2004), pp. 201-208).
Per tutti gli anni Venti del Seicento nell’opera del Tassi continuarono a dominare i soggetti marittimi e fluviali, che spesso acquistavano una dimensione narrativa tramite il ricorso a fonti storiche, mitologiche, epiche e bibliche, ed erano in genere eseguiti con una pennellata più fluida rispetto al periodo precedente. Intorno al 1625 va datato il Paesaggio con scena di stregoneria alla Walters Art Gallery di Baltimora, eseguito per il cardinale Scipione Borghese, che contiene espliciti richiami alla Melissa di Dosso Dossi, di proprietà del cardinale. L’interesse per i capricci architettonici s’intensificò durante questa decade, nei cui anni tardi la dimensione fantastica, sempre presente in Agostino, si accentuò, in parte seguendo l’esempio di Francois di Nomé, ad esempio in vari Capricci architettonici con porto mediterraneo (Francia, collezione privata; Inghilterra, collezione privata: Agostino Tassi, 2008, pp. 73, 204 s.). Tassi eseguì anche tele dove la natura morta era preponderante, uno di armature per il cardinale Michelangelo Tonti, e due paesaggi con serpi e conchiglie per Cosimo II de’ Medici (G. Corti, Il ‘registro de’ mandati’ dell’ambasciatore granducale Piero Guicciardini…, in Paragone, XL (1989), 473, p. 143; G. Sapori, Profilo di Fausto Poli ‘sovrintendente alle arti’ nella casa Barberini, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, XXIX (2006 [2011]), pp. 195-204).
Nei tardi anni Trenta smise di dipingere ad affresco a causa dell’artrite; la sua immaginazione si incupì, e scene di stregoneria, incendi e tempeste divennero più frequenti. Va ricordata la Galleria al Museo civico di Prato, un dipinto autocelebrativo che afferma la superiorità della pittura di paesaggio su quella di storia, in cui è riprodotta una piccola raccolta di tele del suo ultimo periodo (Agostino Tassi, 2008, pp. 86 s., 218 s.). È in straordinario anticipo sulle famose Gallerie di Giovan Paolo Pannini, così come l’Arsenale (circa 1639) sembra presagire le Prigioni di Giovan Battista Piranesi (Damian, 2010). La cronologia delle tele degli ultimi quindici anni è particolarmente incerta: datate sono solamente quelle dell’Ingresso di Taddeo Barberini dalla porta del Popolo (Roma, Unicredit) e dell’Incoronazione di Taddeo Barberini a prefetto di Roma, eseguite nel 1632-33 (Roma, palazzo Braschi). Dai primi anni Trenta i contatti con Andrea Sacchi, la cui accademia era frequentata dai suoi collaboratori, trasformò le tipiche figurine allungate e manierate di Tassi in personaggi dalle forme più solide e classicheggianti, dalle fisionomie che ricordano Angelo Caroselli.
Nulla è rimasto delle numerose stanze decorate in Vaticano nell’appartamento di Urbano VIII a partire dal 1629, e la sua opera a palazzo Borghese, dove lavorò dal 1631, è difficilmente riconoscibile (E. Fumagalli, Palazzo Borghese. Committenza e decorazione privata, Roma 1994, pp. 64-68). Un processo del 1635 documenta la sua attività a palazzo Pamphilj nella stanza di Mosè, in collaborazione con Caroselli, con cui lavorava già da alcuni anni, e con Francesco Lauri, fratello maggiore del più famoso Filippo. La stanza fu dipinta per Giovanni Battista Pamphilj, il futuro Innocenzo X, che ammirava la sua opera pur ritenendolo uno «sciagurato» (Passeri, ante 1679, 1995, p. 128). Non è chiara la genesi della stanza della Marine nello stesso palazzo, apparentemente costruita solo a metà degli anni Trenta, la cui decorazione pittorica è riconducibile stilisticamente a opere di Tassi del 1616-18 (Agostino Tassi, 2008, pp. 78-81).
Nel 1630 Tassi abitava a via di Ripetta; nel 1632 era in affitto in una lussuosa dimora a via del Corso nel pressi di piazza del Popolo, dove visse a lungo con l’amante Ludovica Lauri, figlia dell’incisore romano Giacomo, con la quale ebbe vari figli illegittimi, Antonio, Andrea, Alfonso e Cecilia, ancora in vita alla morte della madre. Dopo il 1637 trascorse qualche anno a Tivoli, dove aveva acquistato terreni, per poi tornare a Roma entro il 1642, inizialmente di nuovo a via di Ripetta. Tornò infine nella casa nei pressi di piazza del Popolo, dove morì nel gennaio del 1644. Non avendo eredi legittimi, la sua eredità sarebbe spettata alla Camera apostolica, ma l’amante, con il suo beneplacito, riuscì a impossessarsi della maggior parte dei suoi averi. La causa che ne seguì e l’inventario dei beni rimasti in casa alla sua morte forniscono le ultime notizie sulla sua attività (Agostino Tassi, 2008, pp. 89 s.).
G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-1621), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 252 s.; R. Soprani, Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi (1674), a cura di G. Ratti, Genova 1768, p. 457; G. Passeri, Die Künstlerbiographien (ante 1679), a cura di J. Hess, Worms 1995, pp. 117-129; A. Bertolotti, A. T., suoi scolari e compagni pittori in Roma, in Giornale di erudizione artistica, V (1876), pp. 193-223; T. Pugliatti, A. T. tra conformismo e libertà, Roma 1978; Artemisia Gentileschi / A. T. Atti di un processo per stupro, a cura di E. Menzio, Milano 1981; T. Pugliatti, Chiarimenti e nuove attribuzioni ad A. T., in Quaderni dell’Istituto di Storia Medievale e Moderna. Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina, XII (1988), pp. 33-43; P. Cavazzini, Palazzo Lancellotti ai Coronari. Cantiere di A. T., Roma 1998; Ead., Artemisia in her Father’s House, in Orazio and Artemisia Gentileschi (catal., Roma-New York-Saint Louis), a cura di K. Christiansen - J. Mann, New York-New Haven 2001a, pp. 283-295; P. Cavazzini, ibid., 2001b, pp. 432-444; F. Paliaga, Immagini del potere e spettacolo nella Toscana medicea: i dipinti delle facciate delle case di Livorno nel Seicento, in Nuovi studi livornesi, XI (2004), pp. 83-99; Id., Livorno nel Seicento: il porto, le navi, il mare. I disegni degli artisti toscani e i dipinti di Pietro Ciafferi, Pisa 2006, pp. 16-19; A. T. (1578-1644). Un paesaggista tra immaginario e realtà (catal.), a cura di P. Cavazzini, Roma 2008; V. Damian, Paysages et nocturnes d’A. T. Deux tableaux inédits de Cornelis C. van Haarlem et Giulio Cesare Procaccini, Paris 2010, pp. 46-51; P. Cavazzini, Agostino Tassi. Paesaggio con venditore di cocomeri, in Quaderni del Barocco, 2015, n. 23, in rete.