TESAURO, Agostino
– Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo pittore attivo a Napoli nella prima metà del Cinquecento.
I più antichi documenti noti che lo riguardano danno conto di un pittore già inserito nel clima artistico e culturale partenopeo e in rapporto con maestri forestieri e locali. Se il primo, datato 9 gennaio 1501 e in cui Tesauro viene indicato come nativo di Giffoni (Salerno), è relativo a un suo impegno con Lazzaro de Palma per dipingere una pala del valore di 200 ducati per S. Gregorio Armeno, il secondo, datato 2 febbraio 1511, lo vede testimone con Giovanni Mormando per un ornamento realizzato dal grande scultore Giovanni da Nola per un quadro del bolognese Antonio Rimpatta in S. Pietro ad Aram (D’Aniello, 1986, p. 270; Giusti - Leone de Castris, 1988, pp. 187, 202 nota 1).
Al 1517-18 risale la tavola centinata per la cappella di S. Maria della Peschiera a San Cesareo (frazione di Cava dei Tirreni), il cui rinvenimento ha restituito un fondamentale appiglio cronologico per ricostruire il percorso professionale del pittore (Kalby, 1973; D’Aniello, 1986, pp. 142 s., n. 25). Commissionato l’11 dicembre 1517 e raffigurante una Madonna delle grazie tra i ss. Andrea e Lucia e Storie della Passione di Cristo nella predella, il dipinto ha come probabile modello la Madonna del suffragio (1517) dello spagnolo Pedro Machuca, oggi al Museo del Prado, ma presenta «una relazione molto più semplificata di piani fra alto e basso, avanti e indietro, immaginando la visione di cielo e purgatorio stesa come un arazzetto ben teso dietro a un gradino assai prossimo dove restano – stanti e impacciati – i ss. Andrea e Lucia» (Giusti - Leone de Castris, 1988, p. 187). In esso sono stati inoltre ravvisati influssi di Luca Signorelli «nell’efficacissimo brano delle anime purganti» (D’Aniello, 1986, p. 270). Ruotano attorno al dipinto di Cava dei Tirreni la pur in parte ridipinta Madonna col Bambino del Musée Grobet-Labadie a Marsiglia, la Madonna col Bambino e angeli con gli strumenti della Passione dei Ss. Marcellino e Festo a Napoli e la Madonna col Bambino, s. Giovannino e angeli in S. Domenico Maggiore sempre a Napoli, opere caratterizzate da un evidente arcaismo (come dimostrano le stelline dorate o il fondo oro inciso e punzonato) e in debito con la maniera raffaellesca di Machuca, che proprio in questi anni sarebbe stato impiegato dal Sanzio nelle logge Vaticane (Giusti - Leone de Castris, 1988, p. 187).
Di poco successivo è il ciclo a fresco della cappella Tocco nel duomo di Napoli, verosimilmente commissionato dal protonotario apostolico Giovan Giacomo di Tocco (lì sepolto in una tomba datata 1520) e dal cui restauro eseguito tra il 1980 e il 1984 – che lo ha liberato dalle pesanti ridipinture settecentesche di Filippo Andreoli – è riemersa la piena autografia di Tesauro. Si tratta di diciotto Storie di s. Aspreno sulle pareti e in origine sette riquadri sullo zoccolo, di cui superstiti S. Atanasio (o S. Aspreno), i Tre arcangeli, S. Girolamo nel deserto e due Putti che incorniciano una porta, mentre la volta presenta entro ciascuna vela un clipeo contenente un Santo affiancato o da putti o da motivi a grottesche (ibid., p. 190). Quel che emerge da questa decorazione, e che induce a ritenere l’artista ormai pienamente maturo, è la sua assoluta padronanza della tecnica dell’affresco, come dimostrano la disinvoltura e la rapidità con cui sono stati stesi i colori, i rari pentimenti e ritocchi a secco. Come è stato osservato, il ciclo esibisce appieno la cultura artistica di Tesauro e il suo ricercato e anticlassico eclettismo, presentando nella volta «elementi pseudo-bramantiniani» e citazioni da Amico Aspertini o dal Sodoma negli «oculi strombati da cui si affacciano teste di vecchi fortemente caratterizzate [...], quadraturismi, ingigantimenti e rovesciamenti prospettici accordati alla accentuata visione dal basso, fisionomie membrute e piani semplificati, riquadrature e stereometrie semplificate nelle architetture, fondali montagnosi e striati», pur senza tralasciare puntuali riferimenti ai coevi cantieri decorativi romani e soprattutto a quella vera e propria Babele stilistica costituita dalle Logge di Leone X (ibid.). Non mancano, peraltro, suggestioni stilistiche e iconografiche dalla coeva grafica d’Oltralpe (Albrecht Dürer e Luca di Leida su tutti) e dalla pittura fiamminga del Quattrocento, oltre che dal solito imprescindibile modello del toledano Machuca, a dimostrazione di come il pittore campano fosse dotato all’epoca di un arsenale artistico multiforme.
Affine alla decorazione della cappella Tocco appare quella nel coro della chiesa di S. Francesco a Eboli, dove Tesauro dovette avvalersi dell’intervento della bottega, e in cui ritornano le caratteristiche del ciclo napoletano sia nella volta, dominata da oculi al cui interno sono inserite figure di Profeti, sia nelle pareti sottostanti con Storie di s. Giorgio, s. Biagio e s. Erasmo e un’Incoronazione della Vergine (ibid., pp. 192 s.). Come nella pala di Cava dei Tirreni, anche in quest’opera non mancano riferimenti alla maniera di Signorelli e alla sua cappella di S. Brizio nel duomo di Orvieto, ma anche ai modi del Pinturicchio e dell’ultimo Perugino (D’Aniello, 1986, p. 272). A questa fase risalgono con ogni probabilità anche la decorazione a fresco del vestibolo di S. Gennaro extra moenia (Gli affreschi di San Gennaro extra moenia, 2015), con il notevole Dio Padre benedicente affacciato dall’oculo al centro della volta, lo Sposalizio mistico di s. Caterina d’Alessandria della Trinità dei Pellegrini, contrassegnato dalla stessa rapidità esecutiva della cappella Tocco, e il polittico nel Museo di Capodimonte, commissionato da Iacopo de’ Riccardi, datato 1521, e raffigurante nei tre scomparti in alto una Crocifissione tra le ss. Venera e Apollonia, nei tre al centro una Madonna col Bambino tra i ss. Leonardo e Donato e nella predella Cristo tra gli apostoli (Leone de Castris, 1999, pp. 232-234, n. 223). Ricca di pathos nel registro superiore e nella predella, quest’opera – al pari di una Pietà a Zagabria, Strossmayerova Galerija – precorre i lavori eseguiti da Tesauro dopo il 1527, anno dell’approdo a Napoli di Polidoro da Caravaggio in fuga dagli orrori del sacco di Roma. Frutto del contatto con l’artista lombardo, ma ancora memore della lezione di Machuca, è il trittico con l’Adorazione dei magi tra i ss. Giovanni Battista e Maria Maddalena a Capodimonte (ibid., p. 234, n. 224; Giusti - Leone de Castris, 1988, p. 196).
Gli ultimi documenti relativi a Tesauro datano al 1541, quando egli figura come console nella corporazione dei pittori, indoratori, miniatori, rotellari e cartari insieme con i colleghi Marco Cardisco, Antonino de Rogerio, Angelo de Egyptio, Matteo de Lama, Paschale de Fucito, Mazzeo de Ampora, Mattia de Amato e tredici pittori di carte da gioco, e al 15 agosto 1546, quando fu tenuto a consegnare due ducati per il censo annuale alla Compagnia della disciplina della Pace presso l’Annunziata, denaro detratto da un credito per alcuni dipinti eseguiti per la medesima confraternita (D’Aniello, 1986, p. 270; Giusti - Leone de Castris, 1988, pp. 202 nota 1, 204 nota 33).
Fonti e Bibl.: L.G. Kalby, L’arrivo della maniera a Napoli e A. T., in Bollettino di Storia dell’arte del Centro studi per i nuclei antichi e documenti artistici della Campania meridionale. Salerno, Avellino, Benevento, I (1973), pp. 29-38; A. D’Aniello, A. T., in Andrea da Salerno nel Rinascimento meridionale (catal., Padula), a cura di G. Previtali, Firenze 1986, pp. 270-273; Ead., ibid., pp. 142 s., n. 25; P. Giusti - P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1510-1540: forastieri e regnicoli, Napoli 1988, pp. 187, 190, 192 s., 196, 202 nota 1, 204 nota 33; P. Leone de Castris, Museo e Gallerie nazionali di Capodimonte. Dipinti dal XIII al XVI secolo, Napoli 1999, pp. 232-234, nn. 223-224; Gli affreschi di San Gennaro extra moenia. Un enigma da sciogliere, a cura di M. Liberato, Campobasso 2015.