TOMMASI, Agostino
– Nacque a Napoli il 12 agosto 1769 dal medico Felice Pasquale, originario di Calimera (Lecce), e da Teresa Gamboni.
Il 2 aprile 1791, a ventidue anni, conseguì la laurea in teologia presso il collegio dei teologi dell’Università di Napoli, e due anni dopo, il 16 marzo 1793, venne ordinato sacerdote. Il 9 maggio 1809 era tra i maestri partecipanti del collegio dei teologi (di cui divenne decano il 3 luglio 1817). Ricoprì anche le cariche di rettore della chiesa dello Spirito Santo in Napoli, di preside e priore di S. Michele (Aversa), di abate di S. Carlo (Lecce) e fu designato dal sovrano Ferdinando I di Borbone alla sovrintendenza degli scavi di antichità per la Terra di Lavoro e il Principato Citra.
Il 20 marzo 1818, all’età di 49 anni, Tommasi fu nominato vescovo di Aversa; il successivo 6 aprile prese possesso della diocesi per procura data al vicario capitolare Angelo Maria de Fulgore; il 12 aprile venne consacrato a Roma dal cardinale Bartolomeo Pacca; il 24 aprile gli venne conferito il titolo di assistente al soglio pontificio; il 7 giugno fece ingresso solenne in Aversa, chiudendo, per la storia della diocesi, il lungo periodo delle reggenze per sede vacante (ben tre, dal 1814 al 1818), seguite alla morte, avvenuta il 3 agosto 1814, del vescovo Gennaro Maria De Guevara Suardo.
Sulla nomina di Tommasi a vescovo di Aversa vennero avanzate riserve e insinuazioni per il fatto che sarebbe stata disposta dal sovrano borbonico per l’influenza del fratello maggiore, Donato, che dopo precedenti importanti incarichi, nel periodo della seconda restaurazione borbonica, aveva fatto parte, con Luigi de’ Medici, del governo costituito il 4 giugno 1815, in qualità di ministro sia degli Affari interni sia della Giustizia e del Culto, divenendo, il 27 marzo 1817, ministro della Cancelleria generale. I fautori del vescovo sostenevano, invece, che la nomina era giustificata dai meriti personali e non parentali di Tommasi, in quanto il re Ferdinando I, al fine di fugare ogni ombra di favoritismo, avrebbe richiesto informazioni segrete a persone probe, le cui concordi deposizioni avevano indotto il monarca alla designazione.
Si trattava di una prassi consolidata, in virtù della quale il sovrano si avvaleva dei pareri di alcuni alti prelati regnicoli (il cardinale arcivescovo di Napoli e gli arcivescovi di Salerno, Sorrento, Bari, Benevento), con la facoltà di proporre una mappa dei soggetti idonei alla carica. Tra questi il sovrano, all’interno del moderato giurisdizionalismo avviato in seguito al concordato del 1818 tra il Regno delle Due Sicilie e la S. Sede, con un personale intervento, designava i promovendi alla carica vescovile, i cui nominativi (riferiti alla totalità delle sedi vescovili, sia di regio patronato, sia di collazione pontificia) erano poi comunicati al papa (Pellegrino, 2011).
Con la trasformazione dei vescovi in alti funzionari della monarchia era anche necessario assicurare un’adeguata rendita (non inferiore a duemila ducati all’anno); e, in tale ottica, si dispose che a Tommasi fosse riservata, a norma dell’art. 17 del concordato del 1818, fino alla terza parte delle rendite della mensa vescovile di Aversa, detratti i pubblici oneri, con la riserva delle pensioni, dopo aver ottenuto dalla S. Sede le relative bolle apostoliche (Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 52, c. 70).
L’azione pastorale di Tommasi nella diocesi, dove fece il suo ingresso il 7 giugno 1818, fu improntata a una rigida severità morale nei confronti di una parte del clero e della popolazione diocesana. Particolare cura venne rivolta, durante il suo episcopato, al seminario e alla buona amministrazione degli enti religiosi (S. Gennaro dei Cavalcanti, conservatorio dello Spirito Santo, monastero dei Ss. Pietro e Paolo, ospizio dei Convalescenti, monastero di Costantinopoli, conservatorio di S. Eligio); alla difesa, con ogni mezzo, delle rendite e dei diritti della mensa episcopale; alla beneficenza e all’assistenza (asilo, orfanotrofio, aiuti agli indigenti, famiglie e anziani).
A segnare il suo episcopato molto contribuirono gli avvenimenti politici del 1820-21. In particolare, per la presenza, in Aversa, di cinque vendite carbonare (I veri Liberali, La Vigilanza nelle Foreste, I Figli di Taburno, I Veri figli di Marte, la Selva nera, quest’ultima diffusa all’interno dello stesso seminario), scoppiò una ribellione armata che, nel luglio del 1820, portò all’occupazione di Aversa. In tale circostanza, Tommasi stava per essere arrestato e, per cautela, abbandonò la diocesi nell’agosto (affidata al canonico Pelliccia che, da vicario, svolse le cure pastorali) per rifugiarsi in Napoli (presso la casa dei verginisti di s. Vincenzo de’ Paoli), scatenando la dura reazione degli avversari del vescovo, annidati nello stesso seminario, dove quaranta seminaristi, nel mese di settembre, si rivolsero alla Selva nera per scacciare i fedeli al vescovo (il rettore e altri sette seminaristi).
Dal suo esilio napoletano, Tommasi non fece mancare alla diocesi la sua guida pastorale, intervenendo, anche, su alcuni provvedimenti emanati, durante il cosiddetto nonimestre (7 luglio 1820-7 marzo 1821), dalle autorità costituzionali del Regno. In particolare, il 7 febbraio 1821, Tommasi contestò, con una sua Risposta, la ministeriale del procuratore generale della Suprema Corte di giustizia, Giacinto Troysi, diretta all’episcopato regnicolo, con cui si stabiliva che la materia settaria doveva essere solo temporale e, pertanto, non aveva alcuna efficacia la bolla di scomunica di Pio VII contro la carboneria. Nel merito di tale provvedimento, Tommasi ribadì che il papa, «vicario di Gesù Cristo in terra», aveva «la preminenza, ed il Primato e di Onore, e di Giurisdizione e sopra i Vescovi, e sopra tutta quant’è la Chiesa universale». La difesa del primato papale spinse Tommasi ad affermare, perentoriamente: «Il sostenere, e proteggere quel, che il Sommo Pontefice ha condannato, è un sostenere, e proteggere un enorme errore: il ricusare di ubbidirlo è già l’essere segregato dalla Chiesa di Dio». In conclusione, «la Religione, la coscienza, il carattere Vescovile, di cui sono divinamente fornito, ciò, che debbo alla Chiesa Universale, ed al mio gregge, tutto m’impone una legge di oppormi alla cennata sua Ministeriale. È questa una velenosa sorgente di massime dirette a voler annientare la Divina Potestà della S. Chiesa; ed ha recato danni gravissimi alle povere anime che conferma ne’ terribili errori» (Risposta di Monsignor Tommasi..., 1821).
La decisa opposizione di Tommasi («anche a costo del mio sangue») segnò la sua attività, quando, in seguito alla fine del regime costituzionale, il vescovo rientrò in sede con l’intento di rispettare il voto di «obbedienza e fedeltà» al sovrano borbonico, come stabilito dall’art. 29 del concordato del 1818, in virtù del quale tutti i vescovi del Regno dovevano promettere sia di non partecipare ad alcuna operazione che potesse nuocere alla «pubblica tranquillità», sia di rendere note eventuali trame che nella propria diocesi, o altrove, si ordissero «in danno dello Stato» (Maturi, 1929). Fedele a tale giuramento, Tommasi, anche per vendicarsi di essere stato costretto ad abbandonare la diocesi, dimostrò molta intransigenza verso coloro che avevano aderito alla carboneria.
La politica repressiva perseguita da Tommasi venne aspramente criticata da Pietro Colletta (1861): «In Aversa il vescovo Tommasi, ambizioso e caldo partigiano della tirannide, dimentico della carità del suo ministero, spiava i colpevoli di Stato; gli accusava, instigava il governo a punirli, e, dove bastasse l’autorità di prelato, li puniva» (p. 186).
Tra i ribelli, Tommasi punì severamente il canonico Mormile, aderente a una vendita carbonara moderata (Uomini liberi), sospendendolo a divinis e facendolo rinchiudere nel convento degli alcantarini di Piedimonte d’Alife. Nonostante l’intercessione del vicario Pelliccia, le precarie condizioni di salute di Mormile e le accorate lettere di quest’ultimo nelle quali si ribadiva l’obbedienza all’autorità vescovile, si ottenne solo il trasferimento presso il convento di Grumo. Alle richieste di grazia avanzate dai parenti del recluso il vescovo rispose con un atteggiamento intransigente, a tal punto da indurre un nipote di Mormile, Carmine, a preparare un attentato alla persona di Tommasi, che venne portato a compimento il 9 novembre 1821, nelle vicinanze della chiesa di S. Antonio. I funerali solenni del vescovo furono celebrati nella cattedrale di Aversa il 13 novembre, mentre l’esecuzione capitale dell’attentatore avvenne il 18 novembre.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Dataria Apostolica, Processus Datariae, 180, c. 66; Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 52, c. 70; Secretaria Brevium, 4629, c. 5; Archivio di Stato di Napoli, Segreteria e Ministero dell’Ecclesiastico, b. 3828; Legge che ordina la osservanza, ed esecuzione del Concordato conchiuso fra Sua Santità Pio VII Sommo Pontefice, e Sua Maestà Ferdinando I Re del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1818, p. 9; A. Tommasi, Risposta di Monsignor Tommasi vescovo di Aversa, rimessa nel dì 7 Febbrajo 1821 a S.E. il signor interino segretario di Stato, e ministro di Grazia e Giustizia ad una sua ministeriale del dì 3 del cennato mese, Napoli 1821, pp. 1-8.
Diario di Roma, Roma 1821, n. 94, p. 2; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, IV, l. X, Regno di Ferdinando I, 1821, Napoli 1861, p. 186; G. Parente, Origini e vicende ecclesiastiche della Città di Aversa. Frammenti storici, I-II, Napoli 1857-1858 (ed. anast., Aversa 1986); W. Maturi, Il Concordato del 1818 tra la Santa Sede e le Due Sicilie, Firenze 1929, pp. 154 s.; G. Capasso, Cultura e religiosità ad Aversa nei secoli XVIII-XIX-XX (contributo bio-bibliografico alla storia ecclesiastica meridionale), Napoli 1968, pp. 31-34; Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, VII, a cura di R. Ritzler - P. Sefrin, Patavii 1968, p. 100; F. Di Virgilio, La cattedra aversana, Aversa 1987, p. 141; B. Pellegrino, Leali o ribelli. La Chiesa del Sud e l’Unità d’Italia, Galatina 2011, pp. 15-18, 303-305.