AGRIFOGLIO (lat. scient. Ilex aquifolium L.; fr. houx; sp. acebo; ted. Stechpalme; ingl. holly)
Albero poligamo-dioico, della famiglia delle Aquifoliacee, di 7 ad 8 metri di altezza, a tronco diritto e rami eretto-patenti, con scorza liscia e verde: le foghe sono alterne, persistenti, lisce, coriacee, ovali, acute, a margine cartilagineo senza stipole. I fiori sono piccoli, bianchi, o un poco rosei, aggruppati in brevi cime ascellari, compatte: hanno calice gamosepalo a 4 divisioni, corolla alquanto gamopetala, a 4 petali, stami 4 liberi, e pistillo unico con ovario a 4 logge, stilo nullo e stimma a 4 lobi. Il frutto è una drupa polposa, globosa, della grossezza di un buon pisello, colorata a maturità in rosso vivo, e di sapore dolciastro, poco gradevole: contiene 4 nucule monosperme. Cresce comune nei boschi elevati di tutta Europa, ed anche dell'Italia continentale ed insulare, ove, fra la fitta vegetazione di alberi a foglia caduca, è uno dei pochi che conserva le foglie in tempo d'inverno. Si osserva che nelle piante giovani e nei rami bassi, non oltre i due metri di altezza, le foglie sono tutte validamente dentato-spinose lungo il margine, mentre le foglie dei rami più alti, e della chioma dell'albero sono costantemente tutte intere ed inermi: questa eterofillia, che si ripete in altre piante arborescenti, ad esempio nella Quercus ilex, nell'Olmediella, nella Brexia, nell'Osmanthus ecc., conferma che la spinosità delle foglie ha lo scopo di difendere la pianta dai grossi mammiferi erbivori: infatti, ove essi non possono arrivare, le foglie restano inermi. L'agrifoglio contiene un principio amaro, non ancora ben noto, l'ilicina, già proposto come succedaneo della chinina, ed una materia colorante gialla, solubile nell'acqua bollente e nell'alcool; i frutti, massime non maturi, sono purgativi ed emetici; dicesi che, ingeriti in quantità, assieme ai semi, possano riuscire mortali. Il legno dell'agrifoglio è bianco, assai duro e pesante, suscettibile di prendere una bella pulitura, e può facilmente essere colorato in nero, in modo da non potersi distinguere dal vero ebano. Dalla scorza poi si estrae il vischio, utilizzato dagli uccellatori: a tale scopo la scorza stessa viene fortemente pestata in un mortaio, fino a ridurla a una sorta di pasta, poi viene lasciata a rammollire, sulla terra umida, per una quindicina di giorni: in seguito si lava a lungo in abbondante acqua, per togliere tutte le parti fibrose, e si conserva in vasi chiusi, dopo avervi aggiunto e mescolato una piccola quantità di olio.