Vedi AGRIGENTO dell'anno: 1958 - 1973 - 1994
AGRIGENTO (v. vol. I, p. 148 e s 1970, p. 18)
p. 148 e s 1970, p. 18). Periodo arcaico e classico. - In questi ultimi decenni il quadro topografìco-monumentale della città si è senz’altro arricchito, anche se sul piano della conoscenza dell’urbanistica del periodo arcaico la ricerca sistematica rimane pur sempre avviata e procede con cauta lentezza nel caso dell’abitato che, per essere disteso e celato sotto il rinnovato impianto romano, presenta non poche difficoltà di scavo e di lettura.
Alcuni dati portano a collocare il primo impianto ortogonale alla fine del VI sec. a.c. Nell’esteso fascio di strade regolarmente organizzate dell’A. romana - rivelata anche dalla fotografia aerea - si sono individuati due punti fermi nell’organizzazione urbana arcaica: la platèia E-О, la più meridionale della serie conosciuta dell’impianto ellenistico-romano, che doveva essere un’arteria im- portante in quanto, collegando la porta II di Gela con la porta V, metteva in comunicazione la parte orientale della città con la zona sacra della collina; e lo stenopòs 3 (della serie dei quattro stenopòi messi in luce in località s. Nicola) che collegava la parte centrale della valle, dove si sviluppava l’abitato, e la platèia sopra descritta, e quindi la zona sacra dei santuari.
Tra la fine del VI e il v sec. a.c. l’area sacra della «Collina» tra porta IV e porta V riceve una preordinata sistemazione, nonché carattere monumentale: il grande piazzale vicino alla porta V su cui prospettava un sacello tripartito costruito intorno al terzo quarto del VI sec. a.c. - precedente e non ancora allineato al tracciato delle strade - viene pavimentato e definito a N da una sala rettangolare о lische, e a E e NE da una grande stoà a L, і cui due bracci sono rispettivamente allineati lungo la platèia E-О, che entrando dalla porta V margina l’area del Tempio di Zeus, e lungo lo stenopòs più occidentale della serie delle tre strade N-S, larghe m 5, che si dipartono dalla linea delle mura e incrociano la platèia suddetta; sì che tale settore della collina sacra assume un assetto regolare, in cui il Tempio di Zeus, risultando inserito, rivela la sua posteriorità. Nell’area tra gli stenopòi sorgono alcuni edifici regolarmente allineati: botteghe aperte sulla strada e locali di abitazione per gli addetti ai servizi del santuario, le cui strutture, tuttavia, possono essere state modificate nei secoli V e IV. Gli stenopòi sono a una distanza regolare di m 35 (come sull’acropoli di Gela), e determinano isolati della stessa larghezza e di lunghezza variabile secondo il profilo sfuggente del ciglio della collina. Le abitazioni sono caratterizzate dalla presenza di un cortile a L con ambienti intorno e un vano bottega accessibile dal piazzale.
Una tale organizzazione regolare non ricorre in quella parte della collina sacra a О della porta V: infatti tra questa e il muro del témenos occidentale è il santuario ctonio scavato dal Marconi, in cui si affollano, a partire dalla metà del VI sec. a.c., altari circolari e quadrati, recinti e sacelli variamente disposti. Inoltre all’estremità occidentale del crinale, sul terrazzo che si affaccia nella valletta della Colimbetra, al di là del muro del témenos citato, l’area sacra comprende donan di varî tipi (struttura rettilinea, a piattaforma rettangolare, a settore di cerchio) e un òikos a pianta trasversale (successivamente modificato).
Nel territorio immediatamente extra moenia, sulla spianata di un poggio prospiciente il tratto SO della Collina dei Templi, sono stati messi in luce і resti di un santuario greco-indigeno, a forma di recinto rettangolare di m 26,50 X 7,50, in conci di arenaria, con testimonianze di vita dalla seconda metà del VI alla fine del V sec. a.c., conservante, all’interno, un pìthos di fabbricazione indigena con motivi incisi della cultura di Polizzello, trovato ripieno di un deposito di materiale bronzeo (aes rude, oggetti non più in uso) con probabile valore monetale: interessante testimonianza di luoghi di culto nel territorio extra moenia come punto di incontro tra greci e indigeni.
Periodo ellenistico. - Nel periodo ellenistico, a partire dalla seconda metà del IV sec. a.c. la Collina dei Templi mostra non poche testimonianze di vita: un’edicola all’estremita О dell’area, già caratterizzata da donarı; probabilmente il tempio L con altare, parallelo al c.d. Tempio dei Dioscuri (abbassando la datazione del Marconi); una nuova sistemazione dell’area S-SE del Tempio di Zeus, con la costruzione di un grande edificio a cameroni, di incerta interpretazione, pratico-utilitaria quale luogo di deposito o sacrale; in quest’ultimo caso connesso con una vasca e un sacello bipartito a SE del grande tempio. Ma è soprattutto acquisizione recente di notevole rilievo la scoperta del grande Santuario di Asclepio, nei terreni extra-moenia a s della collina: un esteso piazzale limitato sui lati N e О da porticati, cameroni, pozzi e cisterne, entro il quale il tempio già noto, la cui datazione va posta nella seconda metà del IV sec. a.c., assume significativa collocazione.
La Rupe Atenea, la collina che costituiva a NE il limite dell’area urbana e che fa sistema con la collina detta di Girgenti almeno sino al V sec. a.c., assume nuova caratterizzazione a partire dalla seconda metà del IV sec. a.c. e sino al termine della prima guerra punica, con un’accentuazione del suo carattere militare (torrioni di avvistamento) e con impianto di quartieri artigianali tra cui, recentemente scavato, un edificio nella parte sommitale; nella parte bassa, sulle pendici SE, in prossimità della porta II, si trova un complesso con spiccati elementi tecnici e costruttivi di tipo punico.
Certo è che nel periodo Ellenistico l’organizzazione urbana ci appare con una funzionale articolazione in cinque terrazzamenti, il primo e più meridionale caratterizzato dall’agorà inferiore, il secondo dall’agorà superiore con il ginnasio, il quarto dal quartiere residenziale e dagli edifici politico-amministrativi con l’ekklesiastèrion e il bouleuterion·, e il terzo e il quinto riservato ai quartieri popolari e artigianali.
L’emergere di grandi edifici pubblici civici su quelli sacri conferisce anche ad A. un nuovo particolare accento per quanto riguarda l’aspetto monumentale della città nonché la funzione di questi edifici nell’insieme urbano.
Degli edifìci pubblici di età ellenistica conosciamo, oggi, l’ekklesiastèrion in contrada S. Nicola e, a breve distanza, il bouleutèrion.
L’ekklesiastèrion è una cavea ricavata in massima parte nel banco di roccia a dolce declivio ai piedi di un santuario ellenistico; la sua costruzione geometrica è quella di un semicerchio le cui estremità sono prolungate, con lo stesso raggio dell’orchestra, sino a ottenere 3/4 dell’intera circonferenza. La cavea, di un diametro massimo di 48 m, copriva un’area capace di accogliere comodamente c. a. 3000 persone; la tecnica dei gradini, in numero di 20, consiste in una serie di tagli concentrici nel banco roccioso a formare dei «costoloni» leggermente sagomati nella parte frontale. Il settore centrale e quello orientale della gradinata sono attraversati radialmente da tre grandi cunette per il deflusso delle acque nell’euripo che corre in basso intorno a una «orchestra» circolare.
Nel II sec. a.c. l’ekklesiastèrion risulta abbandonato e ricoperto dal riporto arenario di un nuovo piazzale su cui viene eretto un tempietto prostilo con altare davanti alla facciata (il c.d. Oratorio di Falaride, una volta ritenuto tomba monumentale all’interno della città), che venne a costituire la monumentalizzazione del precedente santuario greco connesso con l’ekklesiastèrion.
Sul versante opposto dello stesso poggetto è sistemato il bouleutèrion. Così come con l’ekklesiastèrion si era resa necessaria un’opera di katatomè per la creazione del terrazzo, anche per il bouleutèrion venne creato, sulle rovine di un precedente santuario arcaico, un unico esteso terrazzo elevando il piano di calpestio e realizzando un poderoso sistema di struttura a L in enormi conci squadrati con camere destinate a ripartire la spinta della notevole massa di terreno di riporto, con una fronte decorata e leggera bugna. Su tale terrazzo, appoggiato al lieve pendio di un riempimento artificiale di sabbione arenario e pietrame, è sistemata la gradinata del bouleutèrion con sei ordini di sedili in pietra, attraversata da 4 scalette radiali con ambulacro intorno all’orchestra: il tutto è inserito in una struttura rettangolare di m 20,50 X 12,50 originariamente coperta, come denunciano anche і resti di due colonne in situ. Del bouleutèrion, il cui impianto si può collocare nel IV-III a.c. è stata distinta anche una fase romana con trasformazione in odeum.
Anche le necropoli, sistematicamente esplorate, concorrono a definire il quadro storico della città. La necropoli SO, la più estesa, seppur saccheggiata nel secolo scorso, in una recente ricerca ha rivelato larghe testimonianze di carattere struttivo, architettonico, di usanze funerarie, di materiale di corredo.
Periodo romano. - L’esemplificazione migliore dell’abitato romano si ha in prossimità dell’area pubblica sopra descritta, in località s. Nicola. Le parti sono concepite e articolate in un sistema di isolati, lunghi c.a 300 m, ampi c.a un actus e attestati sul decumanus maximus, largo m II (oggi ricalcato dalla strada nazionale per la marina), disposti e inseriti in un tracciato regolare di strade, i cardines, larghi c.a 5 m, che si succedono a una distanza assiale di m 40. Le abitazioni scoperte sono in numero di 20, ordinate e disposte a terrazze: case con ampio peristilio di tipo ellenistico, case di tipo pompeiano con atrio compluviato e peristilio a ridosso del tablinum, case con corridoio di disimpegno, case con porticus fenestrata. I pavimenti vanno dal fine tessellato di età repubblicana ai bei tappeti policromi con motivi fitomorfi e zoomorfi di II-III sec. d.C.
La necropoli romana in contrada S. Gregorio, a S della Collina dei Templi, presenta una serie di recinti sepolcrali, all’interno dei quali è un numero, talora notevole, di tombe a fossa, a sarcofago e, in taluni casi, anche edicole; essa è cronologicamente estesa dal periodo giulio-claudio a quello degli Antonini, allorché si ha una «monumentalizzazione» con mausolei a tempietto prostilo e con mau- solei a più piani con camera chiusa, tempietto e obelisco terminale, tipo a cui è stata recentemente гісопdotta anche la c.d. Tomba di Terone, emergente nella zona.
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Topografia e urbanistica: E. De Miro, Il quartiere ellenistico romano di Agrigento, in RendLinc, s. VIII, XII, 1957, p. 135 ss.; J. A. de Waele, Akragas Greca, Gravenhage 1971; R. Martin, P. Pelagatti, G. Vallet, G. Voza, Le città greche, in E. Gabba, G. Vallet (ed.), La Sicilia antica, I, 3, Napoli 1980, p. 485 ss.; E. De Miro, Urbanistica e architettura in Agrigento, in CronAStorArt, XIX, 1980; id., Agrigento. La valle dei Templi, Novara 1983; E. De Miro, V. Tusa, La Sicilia occidentale, Roma 1983, p. III ss.; F. Coarelli, M. Torelli, Sicilia (Guide archeologiche Laterza, 13), Roma-Bari 1984, p. 129 ss.
Architettura: E. De Miro, Scavi nell’area a Sud del Tempio di Giove, in MonAnt, XLVII, 1963, p. 81 ss.; G. Zuntz, Osservazioni sul Santuario rupestre presso S. Biagio, Agrigento, in Klearchos, V, 1963, p. 114 ss.; E. De Miro, Terracotte architettoniche agrigentine, in CronAStorArt, IV, 1965, p. 39 ss.; P. Griffo, Il Telamone del Tempio di Zeus Olympios, in BdA, LI, 1966, p. 92 ss.; E. De Miro, L’ekklesiasterion in Contrada S. Nicola di Agrigento, in Palladio, XVII, 1967, p. 164 ss.; J. A. de Waele, De daterung van het Hewkleion te Akragas, in Handeligen va het dertigste Nederlands Filologen-congres, Groninga 1968, p. 150 ss.; E. De Miro, Nuovo frammento di Telamone del Tempio di Zeus in Agrigento e nuova ipotesi ricostruttiva, in CronAStorArt, VIII, 1969, p. 47 ss.; id., Recenti scavi nell’area del Santuario delle divinità ctonie in Agrigento, in SicA, II, 5, 1969, p. 4 ss.; G. Fiorentini, Il santuario extraurbano di S. Anna presso Agrigento, in CronAStorArt, VIII, 1969, p. 63 ss.; W. Alzinger, Raps, Eber und der Concordia Tempel in Akragas, in ZPE, XIV, 1974, p. 215 ss.; E. De Miro, Influenze cretesi nei santuari ctoni dell’area geloo-agrigentina, in CronAStorArt, XIII, 1974, p. 202 ss.; M. Bell, Stylobate and Roof in the Olympieion at Akragas, in AJA, LXXXIV, 1980, p. 359 ss.; E. De Miro, La casa greca in Sicilia. Testimonianze nella Sicilia centrale dal VI al III sec. a.c., in Φιλιας χαριν. Miscellanea di studi classici in onore di E. Manni, II, Roma 1980, p. 707 ss.; D. Pancucci, I Temenoi (sic) del Santuario delle divinità ctonie ad Agrigento, ibid., V, p. 1663 ss.; J. A. de Waele, Das Fekheiligtum unter S. Biagio in Agrigento, in BABesch, LV, 1980, p. 191 SS.; id., Der Entwurf der dorischen Tempel von Akragas, in AA, 1980, p. 180 ss.; P. Griffo, Note sul Tempio di Zeus Olimpico di Agrigento, in Απαρχαι. Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in onore di p. E. Arias, I, Pisa 1982, pp. 253 ss.; J. A. de Waele, I frontoni dell’Olympion agrigentino, ibid., pp. 271-278; A. Siracusano, Il santuario rupestre di Agrigento in località S. Biagio (σικελικα, serie archeologica, 2), Roma 1983; E. De Miro, Il Bouleuterion di Agrigento, in Quaderni dell’Istituto di Archeologia. Facoltà di Lettere dell’Università di Messina, I, 1985-1986, p. 7 ss.; id., Architettura civile in Agrigento ellenistico-romana e rapporti con l’Anatolia, ibid., III, 1988, pp. 63-72.
Arti figurative: E. De Miro, Il «guerriero» di Agrigento e la scultura di stile severo in Sicilia, in CronAStorArt, VII, 1968, p. 143 ss.; H. R. Holloway, Influences and Styles in the Late Archaic and Early Classical Greek Sculpture of Sicily and Magna Grecia, Lovanio 1977; G. Voza, Cultura artistica fino al V sec. a.c., in E. Gabba, G. Vallet (ed.), La Sicilia antica, II, i, Napoli 1980, p. 103 ss.; G. Rizza, E. De Miro, Le arti figurative dalle origini al V sec. a.c., in G. Pugliese Carratelli (ed.), Sikanie. Storia e civiltà della Sicilia greca, Milano 1985, p. 125 ss.
(E. De Miro)
Periodo paleocristiano e bizantino. - L’importanza di A. in età paleocristiana è testimoniata dai resti archeologici e monumentali che permettono di collocare la città in una posizione di rilievo nella storia della Sicilia tardoantica.
La penetrazione del Cristianesimo nell’entroterra dell’isola seguì le direttrici delle principali vie di comunicazione, da Catania a Gela, da Siracusa ad Akre-Camarina e a Hybla-Niscemi-A.; nella parte occidentale - nel territorio delle diocesi di Lilibeo e di A. - la nuova religione sembra ormai consolidata nei sec. IV-V, sotto il diretto influsso della Chiesa di Roma.
Protovescovo di Α., secondo l’Encomio di San Marciano, fu Libertino, che con Pellegrino subì il martirio nella persecuzione di Valeriano e Gallieno. Gregorio Magno, nel suo epistolario, ricorda A. tra le sedi vescovili della Sicilia e menziona і vescovi Eusanio, vissuto al tempo di Pelagio II (578-590), e Gregorio, la figura più rappresentativa dell’episcopato di A. al cadere del VI sec., nota dalla biografia del contemporaneo monaco Leonzio, abate di S. Saba a Roma. Gli Atti dei Concili riportano і nomi di altri due vescovi, Felice e Giorgio, vissuti prima della conquista araba.
La vicenda di cui fu protagonista Gregorio, nominato vescovo a soli 31 anni, calunniato dal clero agrigentino e costretto a discolparsi prima davanti al pontefice e poi all’imperatore, testimonia і contrasti sociali ed etnico-religiosi che caratterizzarono la storia della Sicilia nel VI sec. Ne è prova il fatto che Gregorio, al suo rientrò ad Α., decise di trasferire cattedrale ed episcopio nella periferia urbana, abbandonando la sede originaria. È ormai opinione comune che il luogo scelto per la nuova basilica con gli annessi episcopio e monastero fosse lo stesso Tempio della Concordia e la vasta area limitrofa, che rimarrà a lungo proprietà ecclesiastica, e fino al XIX sec. porterà il nome di «feudo di S. Gregorio».
I limiti territoriali della diocesi di A. si ritiene che coincidessero a O col corso del fiume Platani, a E con quello del Salso e a N con le Madonie, appena a settentrione di Castronovo. In questo ambito abbastanza numerose appaiono le testimonianze paleocristiane e bizantine che sono da riferire a quegli insediamenti sorti per lo sfruttamento del latifondo tardoantico.
I dati archeologici relativi ad A. paleocristiana riguardano tre classi di monumenti: l’abitato, gli edifici di culto e la necropoli.
Per l’abitato si può dire, che il quartiere in contrada S. Nicola continua a essere frequentato nei sec. IV-VII (strutture murarie associate a ceramiche e lucerne di tipo africano del IV-V sec. d.c. e a lucerne di tipo siciliano del VI-VII). Intorno alla fine del VII sec., con l’abbandono dei quartieri della valle determinato dalle aggressioni dei musulmani d’Africa, l’abitato occupò l’altura del Balatizzo, a SO della Collina di Girgenti, assumendo i caratteri propri degli insediamenti rupestri bizantini e altomedievali in Sicilia. La casa-tipo comprendeva un atrio rettangolare prospiciente sulla strada, due vani intermedi e un cortile quadrangolare. Questo abitato era certamente connesso con la nuova posizione del porto, che dalla foce del fiume Akragas, in località San Leone - dove è stato localizzato l’antico empòrion agrigentino - venne trasferito più a О sul litorale dell’attuale Porto Empedocle. In età altomedievale l’area del quartiere di s. Nicola fu in parte occupata da alcune sepolture povere e modeste, che sono da porre in relazione col gruppo cenobitico che utilizzò, come oratorio e come abitazioni, le grotte del vicino Poggetto S. Nicola.
Tre sono le chiese paleocristiane finora individuate ad Α.: una basilichetta cimiteriale extraurbana, ai piedi del versante orientale della Collina dei Templi, una chiesa urbana, il cui sito è stato identificato alcune centinaia di metri a N del Tempio della Concordia, e la chiesa nata dalla trasformazione dello stesso tempio.
La basilichetta extraurbana è un’aula rettangolare con ingresso a E e piccolo nartece, costruita con conci di arenaria cementati con malta. Presenta due fasi, datate dalla scoperta sotto il pavimento del presbiterio di un ripostiglio di ventisette monete di bronzo di Costanzo II, Valentiniano I, Graziano, Valentiniano II. Col primo impianto, di età costantiniana, la chiesa occupò parte di una necropoli tardoromana inglobando nella navata due sepolture a fossa trapezoidale preesistenti, che, poste in relazione con la testimonianza dell’Encomio di San Marciano, sono state ritenute, ipoteticamente, le tombe del protovescovo Libertino e del Santo Pellegrino.
L’esistenza di una chiesa nell’area dell’abitato antico di A. è provata dalla scoperta di elementi architettonici (un capitello, una base e parte di una colonna di marmo, un pilastrino, frammenti di lastre della recinzione presbiteriale e di una mensa) e specialmente di una interessante lastra di marmo in bassorilievo. La scena, simmetricamente ripartita fino a ricoprire l’intera superficie della lastra, comprende, al centro, una palma carica di datteri - allusione all’albero della vita - e ai lati due cerbiatti, un leone e una leonessa che allatta il suo piccolo. Un tralcio di vite sul lato destro, fiori di loto, gigli stilizzati e la figura di un leprotto fanno da riempitivi alla complessa e raffinata decorazione. Il rilievo costituisce uno dei rari esempi in Sicilia della cultura figurativa bizantina tra la fine dell’VIII e il IX sec., prodotto di quella scultura didattico-decorativa diffusa in Occidente da modelli iconografici derivati dai tessuti orientali e bizantini.
Anche ad A. per il Tempio della Concordia, sul finire del VI sec., venne applicato l’editto di Teodosio II che autorizzava la trasformazione dei templi in chiese. I restauri, condotti nel 1788 per il recupero dell’edificio classico, hanno in gran parte distrutto le tracce della chiesa; tuttavia, sull’esempio dell’Athenàion di Siracusa, si ritiene che fosse a tre navate con accesso a o, preceduto da nartece, e abside semicircolare a E.
La necropoli paleocristiana di A. occupa, all’interno della cinta muraria, l’area tra і Templi di Ercole e di Giunone, e comprende: un vasto cimitero sub divo, una catacomba (Grotta di Fragapane), numerosi ipogei minori e arcosoli lungo le mura, tra і Templi della Concordia e di Giunone. A questi va aggiunta una parte della necropoli romana Giambertoni, fuori della cinta muraria, riutilizzata tra il IV e il VI sec., che fu collegata con l‘ingresso meridionale della Grotta di Fragapane.
Il cimitero sub divo conta oltre duecentocinquanta tombe ripartite in tre settori: il primo a S e ad O del Tempio della Concordia (da porre in relazione con la sua trasformazione in chiesa), il secondo a S dell‘ipogeo B e a О della Grotta di Fragapane, il terzo a N e a NO della stessa grotta. Il tipo di sepoltura più frequente è la fossa trapezoidale orientata N-S о E-О, scavata nella roccia e chiusa da lastre di arenaria sigillate con malta e intonacate: in qualche caso è presente una copertura monumentale (la tomba 3, di bambino, con coperchio monolitico a doppio spiovente; la tomba 12 a «tumulo» e la tomba 21 a «cupa»). Alcuni sarcofagi litici a cassa con le pareti lisce segnano il limite settentrionale del cimitero. La maggior parte delle tombe è stata violata in antico e, quindi, la cronologia dell’intera necropoli si fonda sui dati di scavo del settore a NO della Grotta di Fragapane (trentacinque tombe circa). Sono sepolture singole e plurime, prive di corredo, all’esterno delle quali fu trovata una ricca suppellettile costituita da vasellame da mensa di vetro e di sigillata chiara, da lucerne e numerose monete di bronzo di Tétrico, Costantino, Costanzo II, Giuliano, Teodosio I, Arcádio e Onorio, che provano come ad A. fino al v sec. sopravvivesse la consuetudine del pasto rituale e delle libagioni presso le tombe dei defunti.
La Grotta di Fragapane, la catacomba maggiore di Α., utilizzata nei sec. IV e V, si estende a о del Tempio della Concordia e coinvolge nel suo sviluppo in senso N-S alcune cisterne preesistenti. È collegata con la necropoli romana Giambertoni a S e fa sistema unico col cimitero sub divo a N, dove un dròmos lungo 25 m immette nella galleria principale, nelle cui pareti vennero ricavati loculi, arcosoli e cubicoli con numerose sepolture. I resti superstiti della decorazione parietale ad affresco mostrano una tecnica scadente e uno stile poco raffinato. La catacomba fu ampliata verso о con una vasta camera (VIII), dove si trovano monumentali sarcofagi a cassa ricavati nella roccia.
Gli ipogei minori di A. (B, C, D, E, F, G, H, I, K, M, N, О e I-XIII) occupano la balza rocciosa a o, a N e a E della Grotta di Fragapane. Nati per lo più dal reimpiego di cisterne greche in disuso, sono stati violati in antico e spesso riutilizzati come depositi per lo sfruttamento agricolo della valle.
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(R. M. Bonacasa Carra)