AGRIMENSURA (dal lat. agrimensura; fr. arpentage; sp. agrimensura; ted. Feldmessung; ingl. land-surveying, land-measuring)
È l'arte di misurare e dividere il suolo.
I. - Nel mondo antico.
In Egitto. - Gli antichi assegnavano l'origine dell'agrimensura all'Egitto. Ogni inondazione del Nilo confondeva in Egitto i confini dei campi e travolgeva porzioni di quelli posti lungo le rive; quindi la necessità di misurare continuamente la terra (cfr. Strabone, XVII, 1,3) e per riconoscere esattamente i confini, e per rettificare la superficie dei fondi nei riguardi dell'imposta. Erodoto (II, 109) attribuiva a Sesostri la misurazione e la divisione in parcelle quadrate e la distribuzione della terra egiziana fra gli abitanti, che dovevano corrispondere un tributo, e riteneva che in questa occasione fosse stata inventata la geometria, che fu in seguito appresa dai Greci. L'aggiornamento e la revisione del catasto divenne quindi uno dei compiti principali dell'amministrazione egiziana fin dal tempo dell'antico impero, poiché Amenemet I, al principio del Medio Impero, già si richiamava ai libri catastali più antichi. Vi era addetto un gran numero di agrimensori, che vediamo raffigurati sui monumenti; in uno del Nuovo Impero, ad es., vediamo i misuratori, agli ordini del padrone, con in mano le corde, suddivise da nodi, e seguiti dallo scriba (fig.1). Ci sono giunte anche statue di agrimensori: e la testa di ariete, che stava in capo alle corde di misurazione, indicherebbe che essi avevano forse grado sacerdotale, e che erano in relazione con Ammone, se pure non significava soltanto che la misura era stata controllata al gran tempio tebano. Il papiro Rhind del Museo Britannico è una copia del tempo degli Hyksos di un manuale contenente molti esempî di calcoli per la misurazione delle superfici, calcoli però condotti in modo piuttosto grossolano.
Nell'epoca tolemaica e romana, la tradizione dell'agrimensura egiziana fu continuata. La revisione dei fondi dopo l'inondazione è detta ἐπίκεψις; l'aggiornamento del catasto, le colonizzazioni, le affittanze, le vendite richiedevano continuamente l'intervento dell'agrimensore. Specialmente i papiri di Tebtunis ci hanno dato importanti documenti di misurazione agraria, che ci permettono di formarci un'idea del metodo seguito dai geometri. Per es., la superficie di ogni quadrilatero è computata secondo la formula
cioè è uguale al prodotto delle semisomme dei lati opposti, come se si trattasse sempre di rettangoli (v. Wilcken, Grundzüge und Chrestomathie der Papyruskunde, I, Lipsia 1912, p. 176, e i saggi di papiri riportati nel vol. II, p. 264 con il commento). Un esempio di mappa (fig. 2) è nel papiro 1 di Lilla (Jouguet, Papyrus Grecs, I, Parigi 1907), che dà lo schizzo di una tenuta irrigata e bonificata (σχηματογραϕία). Anche per quest'epoca abbiamo manuali di geometria pratica, che sono soprattutto manuali di agrimensura, destinati all'istruzione del futur0 geometra, come il papiro Ayer (Schubart, Einführung in die Papyruskunde, Berlino 1918, pp. 162, 386).
In Babilonia. - Date le condizioni analoghe a quelle dell'Egitto, l'agrimensura era molto praticata e tenuta in onore anche in Babilonia, dove tutto il terreno, fino daí tempi più antichi, veniva misurato e rimisurato e dopo l'inondazione e in occasione di vendite. Alcune mappe a noi giunte su tavolette di argilla ci dànn0 un'idea del procedimento seguito; una del tempo del re Ibi-Sin (fine del terzo millennio) ci mostra la pianta di un fondo di terra, che per la misurazione è diviso in quattro rettangoli che coprono la parte centrale, e in una serie di rettangoli e trapezî all'intorno; la superficie totale si otteneva sommando le misurazioni dei singoli appezzamenti (fig. 3).
Manuali empirici per lo studio della misurazione e dei calcoli ci sono conservati dall'epoca della prima dinastia di Babilonia.
In Grecia. - I Greci delimitavano con cura le singole proprietà, e già Omero ricorda i recinti e i termini lapidei posti sui confini (ὅροι, ὅρια), limiti protetti prima dalla religione, poi dalle leggi. Molte citta greche avevano dei magistrati appositi (οὐροϕύλακες a Chio) per la protezione dei confini. Finché era possibile, si profittava di confini naturali (fiumi, creste di monti, rocce, alberi, ecc.), che difficilmente si potevano spostare. L'operazione, che doveva ripetersi spesso, di misurare i campi per valutarne esattamente la superficie e per rettificare i confini, era però fatta da semplici pratici, senza quell'apparato religioso e tecnico che si usava in Roma; né gli agrimensori greci furono mai riconosciuti ufficialmente come una corpora2ione professionale paragonabile a quella degli agrimensores romani. Gli ὀρισταί che s'incontrano alle volte nelle fonti (iscrizioni di Chio, Milasa), incaricati di misurare terreni e rettificare confini, erano, secondo l'opinione comune (Guiraud, Beauchet), eletti temporaneamente in vista di una data misurazione; pare però da alcuni testi epigrafici che in qualche città essi fossero permanenti (p. es., ad Atene: v. Dittenberger, Sylloge inscript. graecarum, 3ª ed., Lipsia 1915 segg., n. 93 con la nota a l. 7; e forse ad Eraclea sul golfo di Taranto: v. sotto). Abbiamo varî testi epigrafici che ci dànno dei saggi di misurazioni e delimitazioni greche (v. Guiraud, citato più avanti, p. 181 segg.); il più noto è quello dei beni di Dioniso e di Atena Poliade ad Eraclea, dei quali si può ricostruire la mappa (fig. 4) in base alle indicazioni delle famose tavole eracleesi (v. Inscr. Graecae, XIV, 645, Dareste-Haussoullier-Reinach, Recueil des inscriptions jurid. grecques, Parigi 1891, p. 193 segg.; Arangio-Ruiz e Olivieri, Inscriptiones Graecae Siciliae et infimae Italiae ad ius pertinentes, Milano 1925, p. 3 segg.). Non risulta però che i Greci abbiano redatto delle mappe paragonabili alle formae romane.
Quanto ai procedimenti tecnici dell'agrimensura (γεωδαισία, mentre γεωμετρία passò a significare la geometria astratta), siamo molto all'oscuro. I Greci adoperavano una groma simile a quella dei Romani (γνώμων, il nome venne anzi ai Romani dai Greci, si vuole per mezzo degli Etruschi; anche ἀστερίσκος); un esemplare dell'epoca greco-romana fu trovato recentemente nel Fayūm (Egitto) Journ. of Egyptian Archaeology, XII, 1926, p. 243 con tavola). Erone lamentava però l'imperfezione di questo strumento, del quale esistevano varî tipi, ma tutti con inconvenienti. Egli l'aveva perciò sostituito con la diottra (v. περὶ διόπτρας, con traduzione tedesca dello Schöne in Heromis opera, Lipsia, III), molto simile al nostro teodolite.
Per la misurazione si usavano di solito delle corde (σταϑμη), sottoposte ad un trattamento speciale per evitare i raccorciamenti e i rilassamenti, o anche delle catene (μήρινϑος), o canne.
In Roma. - Presso i Romani i confini delle proprietà sono cosa sacra, e sono tracciati solennemente ad immagine delle linee celesti che l'augure traccia col lituus per la contemplazione del cielo. La città, l'accampamento e il territorio sono limitati secondo due linee che si intersecano ad angolo retto, e orientate secondo i quattro punti cardinali, proiezione sul suolo terreno del templum celeste. Nel tempo più antico, l'augure stesso col lituus tracciava le linee maestre della città e le divisioni principali del territorio, e gli auguri furono i primi agrimensori. Ma quando la limitatio andò assumendo un'importanza pratica sempre maggiore, all'augure e al lituus sottentrò sempre più l'agrimensore e la groma. All'augure spetta sempre di celebrare il rito religioso con il quale s'inizia la misurazione di un territorio, ma il tracciare sul terreno le grandi linee incrociantisi e le parallele a queste, per dividere il suolo in parcelle rettangolari, è lavoro essenzialmente tecnico dell'agrimensore. Inoltre doveva continuamente presentarsi la necessità di rintracciare e ristabilire queste linee stesse, su richiesta di privati e per riconoscere il suolo pubblico. La prima menzione degli agrimensori è in Plauto, Poen., prol. 48: eius nunc regiones limites confinia determinabo, eius rei ego sum factus finitor, e allo stesso tempo risalgono all'incirca le tracce più antiche delle misurazioni agrarie romane della valle del Po. Finitor, divisor, metator sono i termini più antichi per l'agrimensore, cui s'aggiungono mensor, agrimensor o agrorum mensor; geometra si riferisce piuttosto al teorico che al misuratore pratico; gromaticus, da groma, è solo in Igino.
L'ager optimo iure privatus era diviso per limites in centuriis, cioè in appezzamenti quadrati limitati da linee rette equidistanti fra loro e parallele a due linee maestre intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione. Le linee di divisione principali erano strade pubbliche. Esistevano anche altre forme di misurazione, che si applicavano a terreni di diritto minore. Una era quella per strigas (strisce oblunghe longitudinali) et scamna (banchi, strisce oblunghe nel senso della latitudine), che ricorreva o pura (sole strigae o soli scamna) o combinata con la misurazione per centurie (ager per centurias et scamna, per c. et strigas, per scamna et strigas in centuriis assignatus, cioè per centurie divise in strigae o in scamna o con una combinazione di strigae e scamna). Gli appezzamenti così misurati non erano divisi da strade pubbliche, ma solo da rigores. Questa misurazione era applicata, pare, soprattutto all'agro pubblico misurato, dato in affitto o a decima, e al suolo provinciale tributario diviso. La divisione in laciniae è poco nota, ma era antichissima, e si applicava pure all'agro privato. La misurazione dell'ager per extremitatem mensura comprehensus, cioè fissando solo i confini esterni di un terreno, è del periodo dell'espansione più tarda, e fu adoperata dove non si aveva interesse fiscale a misurare terra privata non suddivisa, ma solo a conoscerne l'estensione in blocco (p. es., beni di templi, terre date a comuni stipendiarî o a privati contro corresponsione di uno stipendium). Il terreno senza misurazione romana è arcifinius, cioè originariamente è il suolo della città straniera riconosciuta con un trattato: p. es., l'ager Gabinus.
Compito dell'agrimensore per la divisione dell'agro romano era quindi quello di tracciare sul terreno delle rette (rigores) che s'incrociassero formando esattamente degli angoli normales, retti (omnis limitum conexio rectis angulis continetur, dice Igino, p. 181, 14 Lachmann). Posita auspicaliter groma (id., p. 170, 5), in tetrantem (p. 180, 8), cioè nel punto nel quale dovevano incrociarsi le due grandi linee della limitatio, detto anche groma (i tetrantes medii erano i punti d'incrocio dei rigores secondarî), si tracciavano due linee, che si chiamavano decumanus o decimanus (maximus) e kardo (maximus). Secondo la teoria, il decumanus avrebbe dovuto essere orientato da E. ad O.; ma in pratica ciò avveniva raramente, anzi pare che neppure gli antichi gromatici ne conoscessero esempî, e non ne conosciamo noi. Sovente invece il decumano è orientato verso E., e l'orientazione avveniva sul sole nascente, con correzioni per tener conto della stagione. Ma Capua, p. es., come altre citta, aveva invece il decumanus orientato a S. Più spesso si orientava, per ragioni pratiche, relicta caeli ratione, in varî modi: p. es., tracciando il decumano in direzione dell'estensione massima del territorio da dividere, o servendosi come decumano di una grande strada pubblica (così la centuriazione dell'Emilia ha per decumano la via Aemilia, quella di Treviso la Postumia), o si dava al decumano un'orientazione diversa dal decumano di un territorio vicino, per distinguere i due sistemi di centuriazione.
Il decumano divideva il terreno, rispetto al misuratore, che guardava nella direzione del decumano stesso, in una pars dextra o dextrata e in una sinistra o sinistrata; il kardo (cardine del cielo, che teoricamente doveva andare da N. a S., ma la cui direzione era in realtà determinata da quella del decumanus, che esso doveva tagliare ad angolo retto) divideva il terreno in una pars antica o ultrata e in una pars postica o citrata, cioè di là (davanti) e di qua (dietro) del misuratore. Le quattro regioni angolari risultanti erano dette appunto regiones e indicate con le lettere S(inistra) D(ecumanum) V(ltra) K(ardinem), SDK(itra)K, D(extra)DVK, DDK(itra)K. Parallelamente al decumano e al cardo massimi, si tracciavano poi altre linee a distanze stabilite, dette pure decumani e kardines, più anticamente limites prorsi (cioè, diritti avanti, rispetto al misuratore) e transversi (cioè, rispetto al misuratore, trasversali); altre denominazioni, come orientales, maritimi, montani, gallici, ecc., dipendevano da particolari situazioni. I limites si numeravano partendo dal decumanus m. e dal kardo m., di solito esclusi dalla numerazione; p. es., S(inistratus)D I, V(ltratus)K I, D(extratus)D I, K(itratus)K I. Essi erano fiancheggiati da sulci, fossi, e servivano da strade di transito (e soprattutto da strade, perché un lotto di terreno assegnato ad un singolo poteva estendersi anche su più centurie), e avevano diversa larghezza: il decumanus m. 40 piedi e il kardo m. 20 in alcune misurazioni, 12 i limites quintarii, cioè quelli dopo cinque file di parcelle, detti anche actuarii, perché servivano per il transito espressamente garantito in alcune leggi; gli altri, che rimanevano strade di campagna da ripulirsi con la zappa (perciò subruncivi o anche linearii), 8; altre volte il decumano e il cardo misuravano 30 piedi, i quintarii 15.
Le parcelle risultanti dal reticolato dei limites erano dette centuriae, e ciascuna misurava 200 iugeri, cioè 100 lotti di due iugeri (la misura dei lotti primitivi che avrebbe assegnato Romolo alla fondazione della città); il gruppo di 25 centurie comprese fra i quintarii, saltus (per Varrone invece, De re rustica, I, 10, 2, nell'ager viritim divisus un saltus = 4 centurie). Il lato delle centurie quadrate era di 20 actus = 2400 piedi = 710,4 metri. Questa misurazione era la più comune, ed è documentata da avanzi di centuriazione ancora esistenti (p. es., nell'Emilia, a Padova, ecc.: v. fig. 5). Alle volte, per ragioni varie, si tracciavano centurie rettangolari di 16 × 25 actus (200 iugeri), di 20 × 21 (210 iugeri, a Cremona), 24 × 20 (240), 80 × 16 (640, a Luceria), 40 × 20 (400, a Emerita in Spagna). Le centurie s'indicavano dalla regio, dal decumanus e dal kardo; p. es., SD II KK III era la centuria della regio sinistra citrata sulla seconda fila a sinistra del decumanus e sulla terza fila di qua dal cardo (v. la fig. 6). I limiti erano segnati da termini o lapides, per i quali le varie leggi sancivano il divieto di rimozione, e prescrivevano forme e misure, stabilite anche nei contratti relativi all'esecuzione delle misurazioni; perciò lapides gracchani, triumvirales, Augustei, ecc., che portavano, cioè, i nomi degli autori della divisione, a ciò autorizzati da legge o senatusconsulto. Augusto li fece porre ad ogni incrocio dei limiti. Sulla testa (alle volte sul fianco) del cippo era segnato il decussis, due linee in croce che indicavano la direzione dei limites (decussati in capitibus lapides), e i dati di riferimento gromatici; p. es.: K(ardo)M D(ecumanus)M al centro della limitazione, gli altri le indicazioni della regio e dell'ordine del decumanus e kardo, p. es.: SD I KK XI (sinistra decumanum I, citra kardinem XI. I cippi davano poi di solito l'indicazione degli autori della limitazione: p. es., i III viri Gracchani in quello delle figure 7 e 8. Ma accanto a questo Sistema normale, ve n'erano altri. Lapidi minori e pali indicavano i limiti (rigores interiectivi) delle sortes entro le centurie; e le sortes (o acceptae), gli appezzamenti assegnati ai singoli coloni, erano di varia estensione a seconda delle varie assegnazioni e in una stessa assegnazione a seconda del grado dell'accipiente o della qualità del terreno.
La misurazione alle volte si estendeva a un'intera provincia, altre volte a tutto il territorio di una o più città, o solo ad una parte di un territorio, la più fertile e destinata alla coltivazione (qua falx et arater ierit). La parte misurata è detta pertica). Il terreno fuori della centuriazione è ager extra clusus. Il terreno che è assegnato, ma che non giunge a formare una centuria, è subsecivum; e così si chiamavano pure nell'interno della centuria i tratti residuati dall'assegnazione. I terreni coltivati, ma non limitati, che c'erano spesso nel territorio d'una città, sono detti agri soluti o in absoluto relicti (di fronte ai limitibus et terminis publice obligati); essi sono divisi arbitrariamente, more arcifinio. Loca excepta sono i terreni esclusi dalla limitazione o per sfavorevole conformazione del suolo, o perché occupati da strade, templi, acquedotti, sepolcri, ecc. La limitatio veniva poi riportata in una mappa (forma, pertica, typus) di bronzo, marmo, legno, pergamena, lino, sulla quale erano tracciati con linee di diversa grossezza cardi e decumani e tutte le centurie, ciascuna con le relative indicazioni e i nomi dei proprietarî delle acceptae, con l'estensione (modus agri) e la qualità di quest'ultime, e l'origine giuridica (data, assignata, concessa, excepta, reddita, ecc.). La fig. 9 riproduce parte della celebre carta di Arausio (Orange), che è però un catasto, cioè con i confini anche delle acceptae, ma certo derivata da una mappa agrimensoria (Corp. inscr. lat., XII, 1224 e Addit., p. 824, e Weber, Röm. Agrargeschichte, Stoccarda 1891, in fine, traduz. italiana in Pareto, Bibl. di storia economica, II, 2). C'erano poi carte generali, con i territorî limitati di una città o di una regione, più i loca inculta, silvae, pascua, compascua, monti, ecc. Da carte siffatte derivano le figure cartografiche nei nostri codici del corpus degli agrimensori (v. fig. 10 mappa di Minturnae, fig. 11 carta di una zona del Piemonte con Torino - colonica Iulia Augusta -, Asti - Hasta -, ecc., e Schulten, Römische Flurkarten in Hermes, XXXIII, 1898, p. 534) Mappe e documenti relativi ai territorî assegnati pubblicamente venivano depositati nel Tabularium o sanctuarium Caesaris, e due copie date alle città interessate, ove avevano valore ufficiale per ogni questione che potesse sorgere.
All'attività degli agrimensori volta a misurare e dividere la terra, si aggiungeva l'altra d'intervenire nelle controversiae che insorgevano per la rettifica della proprietà o dei confini dei fondi, e nelle quali essi fungevano o da consiglieri tecnici del giudice, o da periti con facoltà di decidere. Le controversie (genera controversiarum) erano o de fine, o de modo, o de loco. La prima verteva sul regolamento dei confini dei fondi rustici, e a chi l'iniziava competeva l'actio finium regundorum; lo spazio di cinque piedi che doveva intercedere fra due fondi era inusucapibile, e l'agrimensore lo ristabiliva come arbitro. Le seconde erano contese per la proprietà o possesso di superficie maggiori di una striscia di cinque piedi. La controversia de modo si aveva quando l'attore affermava di non essere in possesso nell'ambito del terreno misurato del modus a lui spettante secondo la iscrizione nella forma, e chiedeva quindi una revisione dei confini reali e l'assegnazione di quanto gli competeva.
La controversia de loco si aveva quando le parti pretendevano fosse di loro spettanza una certa porzione di terreno, non in base alla forma, ma solo in base al titolo d'acquisto della terra (v. Max Weber, Röm. Agrargeschichte, p. 70 e seguenti).
Lo strumento degli agrimensori è la groma (più anticamente gruma, forma tarda croma), con la quale si tracciavano le linee rette della limitatio. Il nome è messo in rapporto col greco γνώμων (Suida cita anche una forma secondaria γνώμα); ma, poiché questa parola greca non può dare la latina, si pensò alla mediazione degli Etruschi, giacché in etrusco un r continua un n greco (Agamennon = etr. Agamemrun), e l'oscillazione o-u si spiegherebbe col fatto che l'etrusco aveva un solo segno per ambedue i suoni (v. Schulze in Sitzungsber. Berl. Akad., 1905, p. 709). Con ciò combinerebbe la teoria antica di Frontino, p. 27, 13: Limitum prima origo, sicuri Varro descripsit, a disciplina Etrusca; sebbene la tradizione attribuisca operazioni di limitatio a Romolo, e l'istituzione dell'agrimensura a Numa. La groma ci è nota, oltre che per gli scritti tecnici antichi, per un rilievo sulla pietra tombale di un mensor d'Ivrea (Corp. inscr. lat., V, 6786), e per un esemplare di Pompei trovato di recente e illustrato dal Della Corte (Groma, in Monumenti antichi pubblicati dall'Accademia dei Lincei, XXVIII, 1922; v. groma).
Durante la repubblica, gli agrimensori erano liberi professionisti, senza ordinamento collegiale, e non avevano obbligo di dar prova ufficiale della loro preparazione. La loro arte deve aver preso molto sviluppo con le grandi revisioni e assegnazioni dei tempi dei Gracchi, di Silla, di Cesare e dei triumviri. Nella legge agraria di Rullo del 63 a. C. erano contemplati 200 finitores ex equestri loco (Cic., De lege agr., II, 32), che dovevano esser più appaltatori di misurazioni, che veri misuratori. Si vedano poi i lavori di misurazione prescritti dalla cesariana lex Mamilia, Roscia, Peducea, Alliena, Fabia riferita dai Gromatici, p. 263 (Bruns, Fontes iuris romani, 7ª ed., p. 95) e il frammento della lex agris limitandis metiundis dei triumviri, ibid., p. 212, 4. Nell'esercito, Cesare fa ancora misurare gli accampamenti da centurioni, ma Antonio ha un suo castrorum metator, un certo Saxa. Soldati agrimensori sono ricordati ancora per l'epoca dei triumviri e per il primo tempo dell'impero in Gromatici, p. 244: evidentemente soldati pratici del mestiere, ma non arruolati appositamente per quella mansione. In Grom., p. 395, 15, si cita una epistula Iulii Caesaris... quod ad huius artis originem pertinet; e perciò fu probabilmente Cesare che organizzò gli agrimensori come ufficiali permanenti dello stato per il servizio militare e civile, stipendiati e riuniti in corporazione. Sono citati per la prima volta in iscrizioni del tempo di Vespasiano (Corp. inscr. lat., X, 8038) e nelle lettere di Plinio a Traiano (17). Per divenire gromatici ufficiali, cioè poter iudicare e adsignare, essi dovevano sostenere un esame (professio, sacra praeceptione firmatus); c'erano però anche agrimensori pratici privati. Essi erano di regola liberti. I gromatici ufficiali avevano nel tardo impero il titolo di togati Augustorum, come i giuristi, e sotto Costantino formavano un ufficio sotto il primicerius mensorum, alla dipendenza suprema del magister officiorum. Il primicerio e i maestri più insigni dell'arte avevano il titolo di vir perfectissimus. C'erano anche agrimensori insegnanti (auctores, professores), e dalla loro attività scientifica e didattica deriva il corpus giunto a noi degli scritti dei gromatici.
Il più antico scrittore di questo corpus, a noi noto, è Frontino autore anche di un'opera sugli acquedotti di Roma e di Strategemata, dell'età di Domiziano; egli fu detto il Gaio dei gromatici, e i suoi scritti avevano valore canonico, di guisa che il suo nome fu dato anche a scritti apocrifi posteriori. In Frontino l'agrimensura ha già una sua teoria completa. Lo seguirono Balbo, Siculo, Flacco e Igino, dell'età di Domiziano e Traiano. Celeberrimo era anche il loro contemporaneo Celso, cui è dedicato nel corpus il libro di Balbo. In Grom., I, p. 403, 18, abbiamo un elenco di agrimensori, nel quale si ricordano inoltre Agennus Urbicus, M. Iunius Nipsus, e Cassio Longino (il famoso giurista console nel 30 d. C.), del quale però nulla è conservato nel nostro corpus. Il fiorire della teoria gromatica deve quindi collocarsi all'epoca di Traiano. Gromatici sono ricordati ancora sotto Teodorico e al tempo di Gregorio Magno: nei secoli VI e VII d. C., si compilavano e scrivevano ancora opere gromatiche. I classici dell'agrimensura furono raccolti, nella seconda metà del sec. V d. C., in un corpus, che ebbe poi nel sec. VI aggiunte e rimaneggiamenti. Alla prima redazione risalgono i nostri codici della prima e terza classe (Arcerianus di Wolfenbüttel e sue copie, e l'Erfurtensis), alla più recente i codici della seconda classe (Palatinus e Gudianus). I documenti ufficiali vi sono inseriti accanto agli scritti dottrinarî dei gromatici.
Bibl.: Sull'agrimensura presso gli Egiziani v. T. E. Peet, The Rhind Mathematical Papyrus edited and translated with an introduction, 1924; Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, I, 4ª ed., Lipsia 1922, p. 90 seg.; Erman e Ranke, Aegypten, Tubinga 1922, p. 420; Wiedemann, Das alte Aegypten, Heidelberg 1920, p. 414; Hartmann, L'agriculture dans l'ancienne 'Égypte, Parigi 1923, p. 93. Per la Babilonia, Meissner, Babylonien und Assyrien, II, Heidelberg 1925, p. 310; Delaporte, La Mésopotamie, Parigi 1923, p. 254; tavolette catastali ad es. in Thureau-Dangin, Recueil de tablettes chaldéennes, Parigi 1903, p. 65 segg.; De Rochas, art. Geodesia in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités; Cantor, Vorlesungen, I, 4ª ed., p. 382; Schöne, Die Dioptra des Heron, in Jahrb. d. archaeolog. Institus, 1899, p. 91 seg. - Per i Greci, v. P. Guiraud, La propriété foncière en Grèce, Parigi 1893, p. 181, vers. italiana in Pareto, Bibl. di storia economica, II, ii, p. 129; L. Beauchet, Hist. du droit privé de la république Athénienne, III, Parigi 1897, p. 73 segg. - Per i Romani, Blume, Lachmann, Rudorff, Die Schriften der römischen Feldmesser; nel vol. I, Berlino 1948, i Gromatici veteres editi dal Lachmann; vol. II, del 1852, dissertazioni degli autori citati e del Mommsen, fra le quali specialmente importanti le Gromatische Institutionen del Rudorff; C. Thulin, Corpus Agrimensorum Romanorum, I, fasc. 1° (il solo uscito finora), comprendente gli opuscula agrim. veterum, Lipsia 1913; Brugi, Le dottrine giuridiche degli agrimensori romani, Padova 1891; Cantor, Vorlesungen ü. Geschichte der Mathematik, I, 4ª ed., Lipsia 1922, p. 521 segg.; De Ruggero, Dizionario epigrafico, I, p. 367; A. Schulten, Die röm. Flurteilung und ihre Reste, in Abhandlungen d. Gesellschaft d. Wiss. zu Göttingen, n. s., II (1898), 7; Barthel, Röm. Limitation in der Provinz Africa, in Bonner Jahrbücher, CXX (1911), p. 39 seg. e gli articoli Gromatici dello Schulten e Limitatio del Fabricis in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, col. 1896 e XIII, col. 672 con ricca letteratura.
II - Nell'età medievale e moderna.
La decadenza generale delle arti e delle scienze dopo il periodo aureo dell'impero romano si riflette su ogni lato della vita italica. Si perdono quindi nell'alto Medioevo le istituzioni agrarie che avevano il loro fondamento nelle regole geometriche con le quali i Romani stabilivano le loro colonie, i loro campi trincerati; e l'agrimensura, tenuta prima in grande onore, decade principalmente a causa delle invasioni barbariche e del sovvertimento delle basi dell'antico diritto e della vita civile. La decadenza è tale che per un lungo periodo di tempo l'arte agrimensoria sembra scomparire del tutto, dato che nessun autore ci ha tramandato alcuna notizia che ad essa si riferisca. Poiché l'agrimensura è scienza fondamentalmente geometrica, doveva di necessità essere coinvolta nella lunga crisi medievale delle scienze; e d'altra parte i frequenti e violenti passaggi di proprietà in conseguenza di guerre e invasioni dovettero rendere assai difficile la pacifica stabilità dei confini agrarî, talché anche in tempi a noi non lontanissimi, e soprattutto in cronache e tradizioni, perviene l'eco d'infinite querele territoriali fra castelli, comuni e famiglie.
È noto che sino al nono secolo tutte le nozioni riguardanti la forma e le dimensioni della terra si perdono in un oblio generale. Gli Arabi, però, per volontà del califfo al-Ma'mūn, compirono nell'827 la misura del grado terrestre nella pianura della Mesopotamia. Una ripresa di lavori d'indole così complessa, dimostra certo che presso quel popolo risorgeva con studî, ricerche e applicazioni strumentali una scienza che, come quella agrimensoria, trae le sue origini dalla conoscenza della superficie terrestre.
Ma presso di noi il silenzio dura per un tempo più lungo, sebbene non appaia credibile che l'arte di misurare le aree agrarie fosse totalmente scomparsa, sia perché le delimitazioni di proprietà e lo stabilimento di confini costituiscono in ogni tempo operazioni necessarie nei rapporti civili, sia perché non è certo da ammettersi che in quei tempi si sia perduta la tradizione di strumenti di una semplicità primitiva quale la groma romana. È bensì vero che gli strumenti che poi la sostituiscono, si presentano con caratteri costruttivi notevolmente diversi.
Naturalmente i metodi agrimensorî vanno di pari passo con le nozioni di geometria così frequentemente applicate in quelle operazioni. Dopo il monaco Gerberto (Silvestro II) del sec. X, celebre per le sue cognizioni matematiche, del quale si ha fra l'altro, l'opera Gerbertus et alii de Geometria de ponderibus et mensuris, e dopo Leonardo Fibonacci di Pisa nel sec. XIII, le cui opere furono pubblicate dal principe Bald. Boncompagni (il Liber Abaci, la Practica Geometriae e alcuni opuscoli; cfr. la Storia dell'agrimensura italiana, Torino 1877), i primi libri a stampa sono l'Arte aritmetica e geografica (Torino 1492) di Francesco Pellos e la Somma di Aritmetica, Geometria, Proporzioni et Proporzionalità (Venezia 1494) di frate Luca Pacioli. Nel primo non sono dette cose che interessino specialmente l'agrimensura; nel secondo, in cui si attinge largamente a Leonardo Fibonacci, si trovano molte nozioni di geometria pratica applicate alla misura dei terreni. Si fa menzione di un quadrato geometrico su tavola di legno con lati divisi in 60 parti, nel quale le visuali si conducevano mediante una riga o diottra come nell'astrolabio. Pare che al tempo di frate Luca si usasse già lo squadro agrimensorio, il cui primo accenno si trova nel libro di F. Feliciano da Lazesio veronese, Aritmetica e Geometria speculativa e praticale, edito nel 1518-1545. In altri due libri, Nuovo Lume di Giovanni Sfortunati da Siena, edito nel 1545 e Aritmetica e Geometria di G. F. Peverone da Cuneo del 1558, non si parla dello squadro, la cui descrizione si deve a N. Tartaglia, che nel suo General trattato dei numeri e misure (Venezia 1556) ne riconosce i pregi e la utilità, dandone anche i procedimenti di verificazione. Il Tartaglia applica agli strumenti goniometrici di agrimensura, che erano del tipo dei nostri vecchi grafometri, il declinatore magnetico, e parla altresì di metodi di rilevamento per coordinate polari e per camminamento.
Un altro autore che si occupa diffusamente di questioni agrimensorie è Muzio Oddi da Urbino, che in un suo trattato, edito a Milano nel 1625, descrive varie e numerose operazioni che si presentano nella pratica della misura dei terreni.
In quest'età in cui le scienze pure e applicate prendono un cosi straordinario sviluppo, e in particolare gli studî e le ricerche sulla forma e sulle dimensioni della Terra ricevono un impulso meraviglioso per opera di matematici sommi e di abilissimi costruttori e operatori; la geodesia, nata da una lunga preparazione di ricerche teoriche sperimentali, raggiunge risultati così importanti che costituiscono le basi di una scienza nuova. Copernico (1473-1543), Keplero (1571-1630), Galilei (1564-1642), Huygens (1629-1695) promuovono con le loro scoperte astronomiche e geodetiche un rapido progresso di cognizioni, il cui coronamento è costituito dalla famosa legge sulla gravitazione universale enunciata da Newton. Subito dopo cominciano i grandi lavori geodetici; e gli strumenti di misura, muniti di cannocchiali e di più delicati organi di frazionamento angolare, allargano il loro campo d'azione ad estensioni mai raggiunte, traendo profitto dal metodo della triangolazione iniziato dallo Snellius (1591-1626). A questo impulso dei grandi lavori fa seguito di necessità un perfezionamento dei metodi e degli strumenti di geometria pratica ordinaria, anche per le nuove necessità di catasti che stabiliscano con fedeltà le ubicazioni e le estensioni terriere.
Fin dal 1674 il modenese Geminiano Montanari aveva applicato al reticolo di un cannocchiale astronomico varî fili fissi orizzontali equidistanti, coi quali osservava quanti intervalli erano abbracciati dalla immagine di un'altezza nota, e con un procedimento non rigoroso ne deduceva la distanza. Nel 1778 l'ottico inglese William Green munì il reticolo di due soli fili paralleli a distanza fissa, coi quali leggeva ad una mira graduata, ma deduceva la distanza commettendo lo stesso errore del Montanari. Giorgio Reichenbach, costruttore tedesco di strumenti di geodesia, applicò al suo cannocchiale distanziometro, non dissimile da quello del Green, la formula giusta per la deduzione della distanza; e più tardi l'italiano I. Porro costruiva il cannocchiale distanziometro centralmente anallattico.
Sulla primitiva tavoletta di Praetorius (1537-1616)) la diottra a cannocchiale distanziometro affinava e semplificava le lunghe operazioni di campagna, e l'applicazione dello stesso apparato ottico a un teodolite ordinario originava il tacheometro, che è lo strumento fondamentale della topografia.
Nella seconda metà del secolo scorso, vengono utilizzati i prismi ottici per la soluzione del problema di guidare visuali ortogonali e in generale ad angoli fissi, e tutta una serie di piccoli squadri a prismi viene introdotta nella pratica, conseguendo un notevole progresso, specie per gli accoppiamenti di due prismi squadri che si offrono alla soluzione rapida del comune problema di trovare su un dato allineamento il piede della perpendicolare condotta da un punto esterno, operazione che con l'uso dello squadro comune riesce laboriosa.
I metodi moderni per la determinazione delle aree agrarie si possono anzitutto raggruppare in due categorie, secondoché le aree vengono dedotte da misure direttamente eseguite sul terreno, o da elementi ricavati da rappresentazioni planimetriche (mappe) di scala nota.
Lasciando da parte la diversità di precisione derivante dall'uso di strumenti di varia natura ed esattezza nelle misure dirette del terreno e della grandezza della scala nelle rappresentazioni in disegno, appare subito, e specialmente per piccole estensioni, che il calcolo dell'area con misurazioni effettive sul luogo conduce a risultati più precisi, come è dimostrabile partendo dai limiti di precisione ottenibili nei mezzi diretti di misura e nelle deduzioni grafiche.
Nel caso delle misure dirette hanno egualmente impiego squadri, allineatori squadri, goniometri e longimetri, e i metodi variano secondo la forma e l'estensione del terreno, nonché secondo gli apparecchi di cui si dispone. Se il terreno è poligonale, si può procedere alla sua suddivisione in triangoli, mediante diagonali o con le congiungenti di un punto interno coi vertici. Altre volte la suddivisione in figure elementari può effettuarsi mediante normali condotte dai vertici ad un allineamento fondamentale, che di solito è una diagonale. Nel primo caso, può bastare soltanto un longimetro, nel secondo caso occorrono squadro, o meglio allineatore squadro, e longimetro. Inutile dire che tutte le distanze s'intendono orizzontali, perché ciò che si considera come area di un appezzamento, è sempre la proiezione orizzontale della superficie limitata dal confine.
In generale i vertici di una estensione poligonale potranno venir determinati con uno dei 4 metodi elementari di rilievo, cioè: per coordinate rettangolari, per coordinate polari (irradiamento), per coordinate bipolari (intersezione) e per camminamento. A questi diversi metodi corrispondono altrettante formule generali, cthe dànno l'area in funzione degli elementi misurati: distanze ed angoli. Quando l'area sia limitata totalmente o in parte da un contorno curvilineo, converrà staccare internamente una figura poligonale coi vertici sul contorno e aggiungere all'area di questa le singole aree comprese fra i successivi lati e gli archi sottesi di curva. Per la determinazione di queste ultime, si sostituisce all'arco un poligono inscritto coi lati rettilinei così brevi, che possano confondersi coi piccoli archi sottesi. Allora il problema viene riportato al caso di aree poligonali, e d'ordinario si risolve con la misura di ordinate ed ascisse. Esperti agrimensori fanno uso talvolta di allineamenti di compenso, ma tal metodo empirico può riuscire notevolmente fallace.
Una maggiore varietà di metodi si riferisce alla deduzione di aree da elementi dedotti dalle mappe. Tali metodi possono riunirsi in tre gruppi, secondoché ci si serve di considerazioni geometrico-numeriche o soltanto di operazioni grafiche o di mezzi meccanici.
I metodi del primo tipo si riducono, per le aree poligonali, alla decomposizione in figure elementari semplici (triangoli o trapezî) di cui vengono sempre misurati i soli elementi lineari, e, pel caso di contorno totalmente o parzialmente curvilineo, a stabilire delle formule per l'area di una porzione compresa fra un arco di curva, due ordinate estreme e un asse fondamentale, che di solito appartiene al lato di una poligonale inscritta o interna all'area proposta. A tale scopo la superficie così limitata viene suddivisa in strisce di eguale larghezza, mediante ordinate equidistanti. Tali ordinate staccano sulla curva una serie di archi parziali, e, identificando questi archi con segmenti di curve geometricamente note, si ottengono altrettante formule per l'area totale, come sommatorie di aree trapezie mistilinee elementari. Il caso più semplice risulta dalla sostituzione degli archi di curva con le rispettive corde e si ha allora la nota formula di Bezout o dei trapezî. Se invece l'arco di curva che passa per gli estremi di tre ordinate consecutive, si sostituisce con un arco di parabola di 2° grado con l'asse parallelo alle ordinate e che passi per gli stessi punti (il diagramma è diviso in un numero pari di strisce), si ottiene la formula di Simpson.
Si hanno poi altre formule, come quella di Poncelet, ecc.
Gli elementi lineari occorrenti per l'applicazione di tali metodi vengono convenientemente ottenuti con l'uso di una lastra graduata di vetro, sulla quale sono finemente incisi due assi ortogonali millimetrati.
I mezzi grafici di quadratura per una poligonale si riducono alla costruzione di un triangolo equivalente, seguendo i noti procedimenti del lato fisso e del vertice fisso. Per figure piane a contorno qualsiasi, è di applicazione generale il metodo della integrazione grafica.
I mezzi meccanici per la misura delle aree vanno sotto il nome generico di planimetri. Il più semplice è la reticola costituita da una lastra di vetro su cui sono tracciate due serie ortogonali di rette parallele equidistanti di un millimetro. Essa viene sovrapposta alla figura, contando i millimetri quadrati interamente inclusi e stimando ad occhio le porzioni interne di quelli che sono attraversati dal contorno. Si ha anche la squadretta iperbolica intagliata su una lamina secondo due rami d'iperbole equilatera, simmetrici rispetto ad un assintoto comune e secondo l'altro assintoto ortogonale: con questa squadretta possono quadrarsi diagrammi polari e diagrammi ortogonali.
I planimetri propriamente detti sono apparecchi meccanici più complessi, e se ne distinguono molte varietà. Tutti hanno un segnatoio o punta, con la quale si percorre il contorno della figura, intanto che altre parti si spostano dando gli elementi per la misura dell'area.
Secondo alcuni, la prima idea del planimetro ortogonale, che è il più antico, risalirebbe al 1814, e sarebbe dovuta al geometra bavarese Hermann, che lo avrebbe applicato nel 1817; ma in ogni modo cadde poi in dimenticanza, e nel 1824 il fiorentino Gonella costrui un planimetro ortogonale non molto dissimile da quello costruito poi da Wetli. In seguito il planimetro ortogonale è stato quasi soppiantato dal planimetro polare tipo Amsler (1856), il quale è più semplice del primo, meno costoso e può essere assai più agevolmente maneggiato.
Modificazioni e perfezionamenti di tali apparecchi da parte dei costruttori hanno luogo continuamente, e si annoverano adesso varie disposizioni secondo i varî scopi. Così, se, invece di assumere, come nel planimetro polare, per curva ausiliaria descritta dalla cerniera, una circonferenza col centro al polo, si assume una retta, si ottiene il planimetro a rulli o a riga, strumento assai conveniente per la quadratura di diagrammi molto estesi in lunghezza e poco in larghezza. Il planimetro a scure del capitano danese H. Pritz fu reso noto dall'autore nel 1886, ed ha il pregio di non avere graduazioni e di essere molto solido.
In questi ultimi tempi la fotogrammetria nel suo notevolissimo sviluppo è stata applicata alla formazione delle mappe catastali di alcuni paesi, e anche in Italia si discutono i primi risultati del metodo che dovrà presumibilmente prevalere su quelli più laboriosi della vecchia topografia. Le fotografie sono ottenute su lastre pressoché orizzontali, con apparati automatici speciali, montati su aeroplani in volo, e poi, con strumenti appositi di restituzione, giovandosi dell'inclusione di elementi topografici noti, si procede alla formazione dei piani catastali.
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