AGRIPPINA minore (Iulia Agrippina)
Era figlia di Germanico e di Agrippina maggiore (v.): aveva tre fratelli (Nerone, Druso e Gaio Cesare) nati prima di lei, e due sorelle nate dopo (Drusilla e Giulia, detta anche Livilla). Era nata in Germania nel paese degli Ubî, il 6 novembre del 15 d. C. A quattordici anni non ancora compiuti andò sposa a Gneo Domizio Enobarbo che doveva contarne una trentina più di lei (28 d. C.). Ma questo matrimonio fu voluto da Tiberio che intendeva creare nella casa imperiale un nucleo di opposizione ad Agrippina maggiore. A tale scopo serviva ottimamente Domizio, che apparteneva ad antico casato, reso illustre dalle imprese del padre, e, quel che importava ancora di più, discendeva da Ottavia sorella di Augusto.
Nell'anno che seguì al matrimonio, Agrippina maggiore e il figlio a lei più caro, Nerone, erano condannati all'esilio, l'altro figlio, Druso, era chiuso in prigione. E alla fine del 31 nessuno più esisteva di loro: della figliuolanza di Germanico rimaneva un solo maschio, Gaio, e le tre sorelle, ormai tutte sposate. Nel tragico conflitto fra Tiberio ed Agrippina, Domizio si era naturalmente tenuto dalla parte del primo. Egli ebbe il consolato nel 32, ma al principio del 37 si trovò coinvolto in una grave accusa (v. domizio enobarbo) dalla quale non scampò se non per la sopravvenuta morte di Tiberio, a cui seguì nell'impero Gaio Cesare (Caligola) suo cognato. Alla fine di quell'anno, Agrippina diede alla luce un bambino a cui fu dato il nome dell'avo paterno, Lucio Domizio.
Nella nuova corte imperiale, Agrippina ebbe la parte dovuta negli onori che Gaio volle tributati alle sorelle: figurò sulle monete insieme con esse, sotto le forme della Securitas. Ma da questo momento essa vien travolta nelle orge della corte, giacché per l'innanzi non sembra che il suo nome fosse stato mescolato alla cronaca scandalosa di Roma. Anche quelli che andarono poi a rivangare il suo passato, con l'intenzione di scoprire le prove della sua dissolutezza sin dalla prima adolescenza, non riuscirono a risalire più in là dell'impero di Caligola. Quest'imperatore era accusato di rapporti incestuosi con le sue tre sorelle, sebbene la favorita fosse Drusilla. Amante di Agrippina, come di Giulia, era Emilio Lepido, marito di Drusilla: e si sospettò che fosse loro accetto anche un avventuriero, quell'Esonio Tigellino che avrà poi una trista parte negli avvenimenti dell'età di Nerone. L'osceno tripudio, a cui la voce pubblica non avrà lasciato di appiccar le sue frange, ebbe d'improvviso un tragico scioglimento con la morte di Lepido, ucciso come reo di aver cospirato contro l'imperatore. Agrippina fu con Giulia accusata di complicità e di adulterio venne condannata all'esilio e relegata alle isole Ponzie, che avevano visto tante altre donne della casa imperiale (40 d. C.). Domizio, marito di Agrippina, era morto d'idropisia a Pirgi. Il piccolo Domizio rimase a Roma in casa dalla zia paterna, Domizia Lepida.
Ma l'esilio di Agrippina e di Giulia non durò molto. Nel gennaio del 41 Caligola veniva ucciso e gli succedeva lo zio Claudio, che, tra i primi atti del suo impero, richiamò dall'esilio i condannati politici e restitui loro i beni confiscati. Le due sorelle tornarono a Roma e riacquistarono, naturalmente, il libero accesso alla casa imperiale. Ma qui venne immediatamente a delinearsi un conflitto tra le due nipoti di Claudio, che tentavano di conquistarne l'animo, e la moglie di lui, Valeria Messalina, gelosa della sua posizione e del suo ascendente sul marito. In questo conflitto Giulia soccombette; Agrippina, meglio avvisata, cercò marito e lo trovò in Passieno Crispo, avvocato di grido e uomo facoltoso, ch'essa fece divorziare dalla cognata Domizia. Dopo questo matrimonio Passieno ebbe la soddisfazione di esser console per la seconda volta (44 d. C.), e console ordinario; ma morì indi a poco, e corse voce che lo avesse fatto perire la moglie, ch'egli aveva costituita erede delle sue ricchezze. Nel 48 Valeria Messalina perì. La casa di Claudio rimaneva aperta ad una quarta moglie. Agrippina, col favore del liberto Pallante, riuscì a prevenire le altre competitrici e ad impadronirsi di Claudio. Alle nozze si opponeva la legge che vietava il matrimonio tra zio e nipote, ma il senato provvide a ritoccarla nella maniera necessaria. Agrippina diveniva per tal modo la moglie dell'imperatore; ma non era tutto. Essa si era, e già da prima, proposta la meta d'introdurre il figlio nella discendenza imperiale e, dopo di avere persuaso Claudio a fidanzarlo alla figlia Ottavia, riuscì ad ottenere ch'egli lo adottasse come figlio: in conseguenza di ciò, Lucio Domizio divenne Claudio Nerone, e si trovò nella famiglia imperiale alla pari con Britannico (v.). È da notare, come attestavano gli antichi, che con Agrippina la corte mutò aspetto: i disordini del'tempi di Messalina cessarono: fu ristabilita la disciplina, la licenziosità fu infrenata. Più che la moglie dell'imperatore, Agrippina voleva essere l'imperatrice. Teneva udienze, al pari di Claudio, e stava a fianco di lui nelle occasioni più solenni. Ebbe nome di Augusta e onori straordinarî: la comunità degli Ubî, dov'era nata, fu costituita in colonia militare e detta Claudia Agrippina (Colonia, Köln). Allontanò dal fianco di Claudio le persone che le davano ombra e si circondò di gente devota: pose al comando dei pretoriani Afranio Burro (v.), richiamò dall'esilio Seneca e gli affidò l'educazione del figlio. La sua opera fu quindi rivolta ad assicurare al figlio la successione all'impero: senatori e cavalieri facevano a gara a secondarne i disegni. Si oppose solo il liberto Narcisso, che prese a cuore la sorte di Britannico, ridestando i sensi paterni di Claudio, il quale, resosi conto della situazione, si lasciò sfuggire qualche minaccia verso Agrippina. Ma, in un momento in cui Narcisso era fuori di Roma a curar la sua salute, Claudio ammalò e morì improvvisamente ottobre 54 d. C.). Agrippina lo aveva prevenuto. Coll'aiuto di Burro, Nerone fu salutato imperatore dai pretoriani e poi eletto dal senato.
Nerone non aveva ancora 17 anni, ed era sotto il dominio della madre che contava ormai di avere in mano il governo dell'impero. Domizia Lepida, che aveva tenuto Nerone in casa, e aveva su di lui qualche ascendente, era perita prima di Claudio. E appena fu salito all'impero Nerone, perì Giunio Silano, proconsole d'Asia e ascendente di Augusto, e poi, di suicidio, Narcisso. Si vedeva in questi casi la mano d'Agrippina, assetata di vendetta e cieca d'ambizione. Ma a disputarle il potere sulla volontà del figlio sorse la liberta Atte, di cui si fecero strumento, a loro volta, Seneca e Burro, consiglieri di Nerone. Le ire di Agrippina non ebbero limite, specialmente quando il liberto Pallante, su cui tanto fidava, fu rimosso dalla carica di amministratore del tesoro. Il suo dominio sul figlio non era durato che per brevissimo tempo. Agrippina accennò come minaccia a prendere la difesa dei diritti di Britannico, ch'era già sul punto di compiere il quattordicesimo anno: e non fece che contribuire ad affrettarne la fine (v. britannico). Essa fu privata della guardia e allontanata dal palazzo imperiale. Le inimicizie muliebri si scatenarono allora contro di lei, fatte audaci dalla sua disgrazia: fu accusata di cospirazione contro l'imperatore, e non venne salvata che dall'intervento di Burro, mercé il quale l'accusa terminò con la condanna degli accusatori (55 d. C.). Ma, nonostante tutti gli sforzi, Agrippina non riuscì a riacquistare presso il figlio la posizione a cui aspirava. Era tuttavia potente e temuta: la guardia pretoriana la rispettava come figlia di Germanico: in nessun caso i pretoriani avrebbero tenuto mano contro di lei. Il contrasto fu portato all'estremo da Poppea Sabina, la nuova amante di Nerone, che domandava di essere regolarmente sposata. Nerone doveva divorziare da Ottavia, e a questo divorzio non c'era che un ostacolo: Agrippina. Nerone si decise a toglierla di mezzo. Ma la sua decisione fu piena di terrori: sapeva quanto essa poteva e di quanto fosse capace. Era con lei a Baia. Cercò di farla perire in mare, come per un sinistro accidente, ma il tentativo fallì: Agrippina si salvò a nuoto. Nerone, sgomento, chiamò a consiglio Seneca e Burro e accettò come salvezza l'opera di Aniceto, il quale si offerse a sopprimere la temuta donna, e con due compagni esegui orribilmente il delitto. È nota la frase di Agrippina, che gridò all'uccisore: colpisci il ventre! (marzo 59).
Una lettera scritta poi da Nerone al senato, della quale passava per autore Seneca, annunciava la morte di Agrippina come dovuta a suicidio: ma faceva nello stesso tempo contro l'estinta una requisitoria spietata, che equivaleva ad una confessione.
Agrippina perì in età di 44 anni, dopo aver passate le vicende più fortunose, ed essere stata esempio, per lungo tempo rimasto unico, di donna che fosse sorella, moglie e madre d'imperatori. Essa portava nel sangue il carattere violento e imperioso della madre, fu assillata da un bisogno prepotente di dominare e di comandare. Scrupoli e senso morale n'ebbe poco o nulla. È una di quelle figure spaventosamente tragiche, che sembrano appartenere più alla fantasia dei poeti che alla realtà. Non era in verità neppure una sensuale, e già gli antichi concepivano la sua dissolutezza come asservita sin da principio alla sua ambizione. Ond'è che forse molte ignominie le si attribuivano e si davan come vere, semplicemente perché parevano probabili: ciò che uno scrittore antico, non certo favorevole ad Agrippina, confessa esplicitamente a proposito del mostruoso tentativo che le era attribuito di voler riconquistare il potere, anche a prezzo dell'incesto. Tuttavia v'era tra gli antichi chi vedeva in lei la madre disposta a sacrificar sé stessa per la grandezza del figlio: "mi uccida, purché imperi" avrebbe risposto a chi le presagiva che Domizio sarebbe stato imperatore, ma avrebbe ucciso la madre. In realtà, Agrippina non fu neppur tale. Essa voleva la grandezza del figlio per la grandezza propria e non esitò a rivoltarglisi contro, nell'ira dell'aspettativa delusa.
Agrippina scrisse anche memorie, di cui non ci rimangono che due frammenti. Esse esistevano ancora al tempo di Tacito, che ne estrasse un episodio relativo ad Agrippina maggiore. Ma non sembra che abbiano avuto diffusione. Furono scritte forse negli ultimi quattro anni della sua vita.
Bibl.: Oltre alle fonti epigrafiche e numismatiche, ci parlano di Agrippina principalmente Tacito, Svetonio e Dione Cassio. Tra i moderni la figura di Agrippina non ha mancato di suscitare interesse: cfr. Stahr, Agrippina, 2ª edizione, Berlino 1880; G. Ferrero, Le donne dei Cesari, Milano 1926. Inoltre: Schiller, Gesch. d. röm. kaiserz. unter der Reg. des Nero, 1872, e Gesch. d. röm. Kaiserzeit, Gotha 1883, I, p. 337 segg.; H. Dessau, Geschichte der röm. Kaiserzeit, Berlino 1926, II, i. In particolare, per le fonti, E. De Ruggiero, Diz. epig.; Dessau, Prosop Imp. Rom., Berlino 1897, II, 223 segg.; Lackeit, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 909 segg., s. v. Iulia Agrippina.