AI KHANOUM
Località nella parte nord-orientale dell'Afghanistan, la cui scoperta ha rivelato nel campo dell'archeologia greco-battriana una grande città della fine del IV-I sec. a. C. con il suo sistema difensivo di città di frontiera, gli edifici pubblici e privati, la necropoli. Il nome moderno Ai K. (turco: Dame Lune) deriva dal piccolo villaggio situato nelle immediate vicinanze. Il nome antico rimane ancora ignoto.
Fino alla recente scoperta il luogo è stato ricordato una sola volta dal viaggiatore inglese J. Wood, che vi passò nel 1838 e suppose la presenza di rovine importanti. Nel 1961 il re dell'Afghanistan, S. M. Mohamed Zaher Shah, segnalò le prime antichità, che gli erano state mostrate nel villaggio. Nel 1963 D. Schlumberger, direttore della Delegazione Archeologica Francese in Afghanistan, effettuò una breve ricognizione e in seguito, nel 1964, una sistematica prospezione. Dopo il 1965 sono state condotte tre campagne di scavi dalla D.A.F.A., sotto la direzione di P. Bernard.
La città greca di Ai K. dominava una via di accesso ai confini orientali della Battriana, nel luogo dove la vallata mediana dell'Oxus si restringe in una gola tra creste montagnose. Occupa una posizione naturalmente fortificata a forma di triangolo, difesa su due lati dal confluente dell'Oxus (Amu-Darya) e della Kokcha, affluente della riva sinistra afghana, e sul terzo lato da un'alta acropoli rocciosa tabulare. Un aggere cingeva tutto il luogo. La città bassa tra l'acropoli e l'Oxus, comprende tre parti distinte, a S un quartiere d'abitazioni, al centro il palazzo, a N una parte quasi priva di costruzioni. La grande via si distaccava dalla porta principale aperta nell'aggere settentrionale e fiancheggiava con un andamento rettilineo i piedi dell'acropoli sino alla Kokcha. Fuori delle mura, piccoli tumuli segnano il posto della necropoli. Le costruzioni sono state gravemente danneggiate da due successive distruzioni: 1) un incendio che distrusse il palazzo e ne segnò l'abbandono, 2) un saccheggio sistematico delle rovine, di antica data, per la riutilizzazione della pietra, delle grappe di bronzo che legavano i blocchi, e dei mattoni cotti. La costruzione è fatta di mattoni crudi di grandi dimensioni, talvolta su uno zoccolo di mattoni cotti. Le colonne e alcune soglie sono di pietra (calcare estratto a 50 km a S-O della località). Questa tecnica mista segue quella delle costruzioni achemènidi. I tetti sono sia di terra battuta su un letto di frasche, sia a tegole piatte con coppi e antefisse, secondo il sistema greco.
Architettura. - Lo scavo principale si svolge attualmente nel luogo del palazzo, che occupa il centro della città bassa, formando un quadrilatero di 250 m di lato all'incirca. La parte N era occupata da una grande corte a peristilio rodio (108,11 × 136,77 m) di cui il portico S, che costituisce un riparo ai venti dominanti, formava la facciata principale. Le 116 colonne di pietra poggiano su basi attico-asiatiche e sono sormontate da capitelli pseudo-corinzî, il cui tipo si è dovuto formare nella Siria seleucide. Questi capitelli a volute spesse e fortemente convergenti, terminanti con spirali che si ripiegano sul canale ascendente, rappresentano una forma antica di capitello orientale a volute ellenizzato grazie ad un rivestimento di acanto, simile ai capitelli, già noti, di Palmira. L'accesso a questa corte era a N attraverso un propileo, il cui ripiano interno era provvisto di quattro colonne, analoghe alle altre per i capitelli, ma non per le basi con grosso toro su un plinto a scalini, di tipo orientale, e che sono probabilmente reimpiegati. Il muro di fondo del portico S si interrompe al centro per far posto ad un grande atrio ipostilo (m 27,67 × 16,84) interamente aperto in facciata e con tre file di sei colonne corinzie (altezza approssimativa m 9 circa), con base attico-asiatica. I capitelli con i loro caulicoli nettamente scolpiti, le volute interne ed esterne tangenti le une e le altre all'abaco, sono strettamente imparentati ad un gruppo di capitelli d'ispirazione seleucide della prima metà del II sec. a. C. (Olympleion di Atene e Propylon del bouleutèrion di Mileto). L'acanto con nervature centrali scanalate tradisce un gusto orientale.
Da questo atrio ipostilo attraverso una porta con soglia a lastre, aperta nel muro di fondo, si accedeva al vano n. 3, che è una vasta costruzione rettangolare (m 26,02 × 16, 50) decorata di semicolonne di legno applicate, probabilmente doriche, poggianti su zoccoli di pietra inseriti in un plinto di mattoni crudi, più largo. La decorazione parietale era completata da applicazioni di argilla cruda in forma di regulae doriche e di teste leonine ed anche da pannelli dipinti a motivi geometrici. Più a S, dopo due corridoi (nn. 4 e 5) s'incontrano due vani gemelli separati da un corridoio (n. 8), e un vestibolo annesso al vano n. 6. Il vano n. 9 (m 11,34 × 14,21) è un poco più piccolo del vano n. 6 (m 13,60 × 15,25), ma la loro disposizione interna è analoga, con due porte, una vicino all'angolo N-O, l'altra all'angolo S-E. Ambedue i vani erano stati oggetto di un ambizioso programma di abbellimento con l'inserimento nella muratura delle pareti di pilastri di pietra sormontati da capitelli a divano di un lavoro trascurato, la cui decorazione vegetale imita quella dei capitelli corinzî dell'atrio ipostilo (acanto con nervatura centrale scanalata, fiori a grosso pistillo all'estrernità di lunghi steli ondulati). Nonostante l'enorme tratto da coprire senza sostegni intermedi, superiore a ogni altro esempio noto in Grecia, è sicura la presenza di una travatura. I resti di statue di stucco e di argilla cruda, che sono stati trovati, fanno pensare che questi due vani avessero un carattere cultuale od ufficiale. Nel vano n. 10, annesso al vano n. 9, si innalzava, addossato al tramezzo, un focolare a forma di nicchia, simile a quello che si conosce a Begram.
Ad una quarantina di metri a N della corte del palazzo è stata scoperta una cappella funeraria orientata verso E, che un'iscrizione ritrovata in situ designa come il tèmenos di Kineas. Nella fase più antica l'edificio, composto di una cella e di un pronao più largo, a due colonne di legno in antis, era a livello del suolo circostante su una crepidine a gradini. Due ricostruzioni ebbero luogo e ingrandirono la cella fino a raggiungere la larghezza del pronao ed elevarono l'edificio su una vasta terrazza (m 48,50 × 17,40), ricoprente le rovine del primo impianto. Vi furono praticate quattro inumazioni, non in una cripta, ma in piena terra, sotto i pavimenti successivi della cella, entro due sarcofagi di pietra e due di muratura. Tre di queste sepolture erano state saccheggiate, ma fra i resti del saccheggio si sono raccolti alcuni alàbastra di alabastro. La tomba inviolata, la più tarda, era priva di offerte. Il Kineas ricordato nell'iscrizione e sepolto là onorificamente con i suoi discendenti nel cuore della città, alle porte del futuro palazzo, è stato certamente un personaggio importante della colonia greca ai suoi inizî, e può aver rappresentato un ruolo di primo piano nella fondazione della città. In una ultima occupazione lo heròon sconsacrato fu trasformato in casa di abitazione.
Nel quartiere residenziale, che occupa la parte S della città bassa, è stato intrapreso lo scavo di una grande casa (m 66 × 35). La pianta, molto originale, che aggruppa la parte di abitazione su un solo lato di una corte intorno ad un vano principale circondato da corridoi che portano ad ambienti periferici, si ritrova in un edificio parthico dell'antica Dhagae. Dei saggi hanno messo in luce i resti di un impianto più antico.
Nella parte N della città bassa, sulle rive dell'Oxus, si trova un ginnasio, identificato come tale da una dedica ad Hermes e ad Eracle e dalla sua architettura: un vasto peribolo quadrangolare al quale si addossano allineamenti di vani. Al centro del lato N si stende una grande esedra (m 27,50 × 6,6o), il cui muro di fondo presenta una piccola nicchia dove fu trovato uno zoccolo con iscrizione. Questa esedra, che in facciata era aperta con un colonnato oggi disperso, è fiancheggiata da una serie di vani, e il complesso richiama molto da vicino la palestra ellenistica di Olimpia.
Epigrafia. - Oltre ad un graffito su un coccio e ad un'ansa di anfora con bollo con il nome di un agoranomio, si sono trovate due iscrizioni greche su pietra. L'una, scoperta nel ginnasio, è una dedica di due fratelli ad Hermes e ad Eracle. L'altra, scoperta nel pronao dello heròon funerario, è una base di stele con due testi contemporanei (fine del III sec. a. C.). Il testo di sinistra composto di due distici elegiaci, scritti nella dotta lingua omerizzante degli epigrammi greci, attesta che un certo Clearco aveva fatto esporre una copia degli aforismi delfici nel temènos di Kineas. L. Robert ha dimostrato che questo personaggio si deve identificare con il filosofo peripatetico Clearco di Soli, che fu allievo diretto di Aristotele e che s'interessò precisamente delle massime delfiche e delle religioni orientali dei maghi iraniani, dei filosofi indiani ed ebraici. L'iscrizione prova che egli aveva condotto ricerche sul posto. Il testo di sinistra è una di queste massime (le altre figuravano senza dubbio nella stele perduta), che enumera le qualità dominanti che l'uomo deve ricercare nelle varie età della vita. Queste due iscrizioni illustrano in modo esemplare la fedeltà dei coloni della Battriana ai valori fondamentali dell'ellenismo e la forza del nazionalismo greco fino ai confini più avanzati.
Statuaria. - Nei vani n. 6 e n. 9 del palazzo si sono raccolti numerosi resti di statue di stucco su un nucleo di argilla, o di terra cruda. Fra alcuni frammenti identificabili si riconoscono tronconi di corpi nudi o panneggiati, due zampe di leone. Il pezzo più interessante è un pilastro di erma di pietra, trovato nel ginnasio, che rappresenta il busto panneggiato in un mantello di un vecchio barbato cinto da un diadema. Potrebbe trattarsi di un Eracle rappresentato sotto tratti intellettualizzati di maestro del ginnasio. Per lo stile l'opera si ricollega alle migliori tradizioni della statuaria del periodo del primo ellenismo.
Ceramica. - Per una gran parte è strettamente imparentata con la ceramica ellenistica del mondo greco mediterraneo, sia per la tecnica (ceramica a ingubbiatura bruno-nera imitante la ceramica greca a vernice nera, ceramica ad ingubbiatura rossa imitante quella "pergamena"), sia per le forme (piatti da pesce, coppe emisferiche con piedi ad anelli, coppe "megaresi" ecc.). La scoperta di un frammento importato a vernice nera, di pasta rosa-arancione, probabilmente attico, illustra in modo concreto i rapporti con il mondo occidentale. Alcune forme tuttavia sono caratteristiche dell'Oriente (coppe profonde carenate ad alto labbro verticale, "fiasche da pellegrino").
Cronologia. - Nel palazzo si distinguono attualmente quattro grandi fasi architettoniche: 1) corte a peristilio, muri laterali dell'atrio ipostilo e vani aggiunti ad E e ad O; 11) vani n. 6 e n. 9 senza pilastri, colonnato dell'atrio ipostilo; iii) fase con pilastri dei vani n. 6 e n. 9, struttura n. 3, porte con soglie lastricate; iv) spostamento di alcune porte. La fase 1 del palazzo è stata preceduta sul luogo da un impianto greco più antico, rappresentato dal primo heròon, la cui esistenza ha giustificato il decentramento del propileo della corte del palazzo. Inoltre numerosi elementi architettonici di tipo achemènide, riutilizzati nelle costruzioni greche (base campaniforme, basi a toro), potrebbero appartenere ad edifici pregreci. La fase finale del palazzo è stata seguita sul luogo da un'ultima e povera occupazione, durante la quale si constata la scomparsa dei quadri istituzionali della città greca: il ginnasio ed il tèmenos di Kineas come i suoi dintorni sono infatti invasi da abitazioni e da officine di artigiani (un vasaio impianta il suo forno nella corte del ginnasio). I trovamenti di monete sono rari e poco significativi, così che la cronologia assoluta di queste diverse fasi non è ancora fissata in modo sicuro, ma l'importanza strategica del luogo fa pensare che la fondazione della città greca rimonti ad Alessandro (Tolomeo cita una Alessandria Oxiana). D'altra parte, la fase postpalaziale di occupazione non ha dovuto estendersi oltre l'inizio della nostra èra.
Bibl.: B. Schlumberger, in Compt. Rend. Ac. Inscr., 1965, pp. 36-46; D. Schlumberger-P. Bernard, in Bull. Corr. Hell., LXXXIX, 1965, pp. 590-617; id., in Compt. Rend. Ac. Incr., 1966, pp. 127-133; P. Bernard, ibid., 1967, pp. 307-327 e 1968; id., in Proceedings of the British Academy, 1967; id., in Syria, 1968.