CÉSAIRE, Aimé
(App. III, I, p. 352)
Poeta e drammaturgo martinicano. Anche dopo l'indipendenza, raggiunta dalla maggioranza dei popoli africani intorno agli anni Sessanta, C. continua a costituire il punto di riferimento della poetica della négritude, concetto che si evolve letterariamente e politicamente.
Nell'ottobre 1956 C. invia una lettera aperta a M. Thorez, nella quale comunica la sua decisione di lasciare il Partito comunista per un profondo dissenso sulla politica coloniale, e fonda il Partito progressista martinicano. C. pensa infatti di dover costruire finalmente una vera cultura africana che si basi proprio su quei valori che la colonizzazione ha cercato di soffocare; il progetto prevede anche una lingua letteraria e nazionale che potrebbe essere il frutto di una lunga assimilazione di tutte le lingue orali che hanno già una diffusione vastissima in tutto il territorio africano.
Pur avendo pubblicato altre raccolte poetiche (Corps perdu, 1949; Ferrements, 1959; Cadastre, 1961; Moi, laminaire, 1982), C. ha rivolto il suo interesse al teatro, individuando in quel mezzo di espressione non soltanto la possibilità di assumere la storia, ma anche una nuova e più attuale maturità del concetto di négritude, che si impone ai protagonisti dopo l'agognata indipendenza: Et les chiens se taisaient (1956); La tragédie du Roi Christophe (1963; trad. it. 1968); Une saison au Congo (1963), trasposizione della vicenda di Lumumba, e Une tempête (1969), che, sulla falsariga della tragedia di Shakespeare, mette in scena in luogo di Prospero e dello schiavo Caliban il colonizzatore e il colonizzato.
Bibl.: V. Santangelo, Poesia, ideologia, storia dell'opera di Césaire, Palermo 1976; J. Leiner, Etude comparative des structures de l'imaginaire d'A. Césaire et de Senghor, in Cahiers de l'Association Internationale des Etudes Françaises, maggio 1978; G. Benelli, A. Césaire, in Letteratura francese. I contemporanei, iii, Roma 1987, pp. 581-87; R. S. Bouelet, Espaces et dialectique du héros césairien, Parigi 1987.