DORIA, Aitone (Antonio)
Nacque a Genova alla fine del sec. XIII da Emanuele di Nicolò, consignore di Oneglia. A, tuttavia, spesso confuso con Antonio, figlio di Cattaneo, signore di alcune località della Riviera di Ponente, anche lui schierato accanto ai ghibellini, che erano stati espulsi da Genova nel 1317.
Il D. dovette essere proprietario di una piccola flotta, dapprima utilizzata in viaggi, non sappiamo se di natura commerciale o piratesca, verso il Mediterraneo orientale: nel 1327 nominò come proprio procuratore lo scrivano della sua galera "S. Niccolò", per riscuotere gli indennizzi dovutigli dai marinai, che erano fuggiti di bordo, dopo il ritorno della nave dalla Siria. In seguito, almeno a partire dal 1329, il D. spostò il suo campo d'azione, per approfittare delle occasioni offerte dalle feroci rivalità, che opponevano le grandi potenze nelle acque del Mediterraneo occidentale. Egli dovette risolutamente scegliere la strada della pirateria, perché ne divenne in breve tempo uno dei più temuti esponenti. Salita la sua flotta a cinque unità e confidando nei rifugi sicuri costituiti da Savona, città in cui gli "extrinseci" ghibellini si erano arroccati, e dal porto corso di Bonifacio, tradizionale luogo di ospitalità per avventurieri del mare, nel 1329 il D. condusse una fortunata campagna navale.
Assalì dapprima tre galere guelfe cariche di merci; nell'agosto, incrociando al largo delle coste sarde, prese altre quattro imbarcazioni, che trasportavano grano, e tre galere provenzali. In tal modo, poté aggiungere tre navi alla sua flotta e assalire nell'ottobre al largo di Portovenere tre legni guelfi, catturandoli.
Le azioni piratesche compiute dal D. costituirono ben presto un grave pericolo non solo per i traffici commerciali genovesi, ma anche per quelli catalani, intensi sulle rotte sarde dopo la recente conquista dell'isola. Infatti, il D. ebbe il pieno controllo di Bonifacio, anche con la complicità degli abitanti del borgo. Da quella roccaforte minacciò i territori sardi di dominio aragonese e sostenne i tentativi di riscossa compiuti da esponenti della sua famiglia. Sempre nel 1329, ad esempio, la rivolta di Sassari, soffocata dagli occupanti nel sangue, fu sobillata anche da lui. Alfonso IV il Benigno dovette preoccuparsi seriamente della situazione, ma non poté prendere misure concrete: si limitò, infatti, a chiedere ai suoi ufficiali nell'isola una intensificazione delle difese, senza fornire loro i mezzi necessari. Agli inizi del 1330 il D. uscì da Savona con una flotta divenuta assai grossa: nove galere, due saettie ben armate ed altri navigli minori. Al largo di Capo Terra, nel mare di Sardegna, sorprese nove barche catalane e le catturò. L'impresa fortunata gli permise di aumentare in tal modo la consistenza della sua flotta. Compì poi una serie di scorrerie lungo le Riviere, colpendo gravemente i traffici genovesi.
Venuto a sapere che una nave da carico, che trasportava merci per un valore assai considerevole, era attraccata a Portofino, decise di catturarla. Fatto scalare segretamente il monte sovrastante il porticciolo da 500 suoi marinai, assalì la nave dalla terra e dal mare, impossessandosene con facilità (giugno 1330). Essendo stata conquistata dai guelfi genovesi Sanremo, di cui era consignore Accellino Doria, che venne espulso, il D. si unì a costui per riprendere l'importante località. L'assalto congiunto ebbe successo. Da Genova allora parti una flotta guidata da Federico Marabotto, col compito di intercettare e distruggere il D. e la sua squadra; tuttavia, nel corso di una violenta tempesta, egli perdette due navi, rimanendo in condizioni di inferiorità nei confronti dell'avversario. Imbattutosi nel D. al largo della Sardegna, il Marabotto rifiutò il combattimento, cercando di sganciarsi; venne inseguito per tutta una giornata. Sopraggiunta la notte, l'ammiraglio genovese riuscì ad evitare la cattura da parte del D. con un abile stratagemma.
La campagna del D. continuò: rimasto nelle acque sarde, attaccò Cagliari, compì scorrerie lungo le coste dell'isola e fece poi sosta a Bonifacio. Di lì salpò per collaborare all'assedio di Cinarca, in Corsica, allora in mano agli Aragonesi. Il tentativo di impadronirsi di quella località falli, per cui alla fine di settembre il D. fece ritorno a Savona, per passarvi l'inverno. In seguito, egli unì la sua flotta a quella di Antonio Grimaldi, che dalla roccaforte di Monaco costituiva un costante pericolo per i traffici catalani e francesi. Nel 1332 una campagna navale congiunta li portò ad incrociare al largo dell'isola di Maiorca, dove si trovava alla fonda una flotta catalana: un tentativo compiuto dal D. di attaccare con undici galere sottili quella ghiotta preda non ebbe successo. Le scorrerie compiute dai due corsari finirono col colpire duramente anche i commerci delle città francesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Nel 1334, quando i mercanti di Narbona si rivolsero al re di Francia Filippo VI, per informarlo che una loro galera diretta verso il Mediterraneo orientale con un carico di drappi e di tele di Reims era stata catturata dalle navi del D., il sovrano rispose ordinando che il danno venisse loro risarcito con il denaro ricavato da una tassa imposta sulle merci genovesi e savonesi. Misure di questo genere si rivelarono, tuttavia, insufficienti a scoraggiare le iniziative del corsaro.
Mutata nel frattempo la situazione politica a Genova, il D. fu utilizzato dal nuovo governo come proprio rappresentante in Corsica, per tentare un accordo con la feudalità locale in perenne rivolta. Nel maggio del 1336 il D. si incontrò con Enrico di Cinarca, signore di Attalà, unico figlio superstite di Sinucello Della Rocca, antico avversario della Repubblica. Il feudatario, forse temendo le conseguenze del riavvicinamento tra Genova e Aragona, sua alleata, si piegò ad un accordo, in forza del quale la Repubblica concesse ad Enrico l'investitura di tutti i castelli da lui detenuti, in cambio del giuramento di fedeltà.
Scoppiata nel 1337 tra Francia e Inghilterra la guerra che poi fu detta dei Cent'anni, il re di Francia Filippo VI cercò di accrescere le forze della sua marina da guerra, ingaggiando due squadre navali genovesi, ciascuna formata da venti galere, per un totale di oltre 8.000 uomini, sotto il comando del D. e di Carlo Grimaldi. Il contratto d'ingaggio fu stipulato il 25 ott. 1337. Tuttavia, prima che le due squadre salpassero verso i rispettivi teatri d'impiego, il re d'Inghilterra Edoardo III inviò presso il D. un viceammiraglio col compito di cercare di ritardare, offrendo denaro ai due capitani liguri, la partenza delle loro navi: ciò avrebbe dovuto - o potuto - consentire al sovrano inglese di sbarcare con le sue forze in Francia.
Senza dubbio l'oro inglese fu efficace, perché il D. trovò modo di impiegare quattro mesi per raggiungere la sua destinazione: si fermò anche a Maiorca per effettuare traffici commerciali, nonostante l'invito pressante di Filippo VI ad affrettarsi. Passato poi il D. nelle acque fiamminghe, nell'ottobre del 1338 la flotta francese, forte di cinquanta galere, compì un colpo di mano contro la città inglese di Southampton. In un primo momento l'attacco fu respinto dai difensori, ma poi l'arrivo delle navi del corsaro ligure capovolse la situazione: la città fu presa e lasciata al saccheggio degli uomini venuti dal mare. Quando sopraggiunsero i soccorsi, la flotta francese era ormai in salvo a Dieppe. L'anno seguente l'ammiraglio francese Quiéret si unì con la sua alle squadre navali dei due corsari genovesi, cui fu concessa la facoltà di saccheggiare le località via via occupate, e col loro concorso prese nell'aprile Blaye e Boury. Le diciotto galere del D. continuarono poi a compiere incursioni nel Mare del Nord, lungo le coste delle Fiandre e della Zelanda, ponendo serie difficoltà ai traffici commerciali tra Londra ed i porti fiamminghi. Nell'agosto, dopo una grave sconfitta patita dalla flotta francese, il D. decise che avrebbe posto termine alla sua attività al servizio di Filippo VI a fine stagione, ma non senza aver prima caricato le sue navi di lana inglese. Per vanificare tale decisione, il re ordinò di trattenere il soldo dovuto alle ciurme.
I marinai genovesi protestarono vigorosamente, accusando il D. di malversazione - anche perché la paga veniva loro versata in moneta con potere d'acquisto inferiore a quello previsto. L'ammutinamento si estese con rapidità: gli equipaggi elessero un loro rappresentante, tale Pietro Capurro di Voltri, il quale, insieme con i patroni delle galere ed altri delegati, si presentò a Filippo, per denunciare la situazione. Il re rispose facendolo imprigionare con quelli che lo avevano accompagnato. Alcuni marinai, tuttavia, riuscirono a fuggire dalla Francia ed a raggiungere Genova. Qui trovarono un clima assai teso per il malcontento popolare verso i due capitani al potere. La voce che il Capurro ed i suoi erano stati fatti impiccare, sebbene priva di fondamento, fece esplodere la rivolta, che si diffuse nel distretto occidentale, da dove provenivano gran parte dei marinai del D.: essa portò alla caduta del regime dei capitani ed alla elezione a doge di Simon Boccanegra (23 sett. 1339).
Forse per trattenere presso di sé il D., il re di Francia decise una scelta clamorosa: il 16 dicembre egli attribuì al corsaro genovese e a Filippo Grimaldi il monopolio del commercio di Aigues-Mortes, su cuì il D. godeva già di una rendita concessagli in precedenza. Dal documento ufficiale relativo a tale concessione si trae che Filippo si proponeva di utilizzare i due per reprimere le azioni di pirateria che essi stessi avevano contribuito ad alimentare; inoltre, il re intendeva servirsi di loro anche per future campagne militari.
Tuttavia, il gesto del sovrano suscitò la reazione di varie Comunità: i consoli di Montpellier, ad esempio, protestarono energicamente ed ottennero nell'aprile del 1340 che il re revocasse il monopolio, su pressione anche del siniscalco di Beaucaire.
Alla campagna navale del 1341 il D. contribuì con una squadra di quattro navi provenienti da Boulogne, che si unirono a quelle dell'ammiraglio francese Louis d'Espagne, incaricato di prestar soccorso a Charles de Blois, che il re Filippo appoggiava nelle sue pretese sulla Bretagna. La conquista di Nantes concluse le operazioni belliche, dopo le quali il D. poté ritornare a Caen. L'anno seguente, agli inizi d'agosto, egli fu spedito, insieme col Grimaldi, a bloccare l'arrivo di una squadra inglese: con la sua squadra egli costituì l'avanguardia della flotta di Louis d'Espagne, che restò ad incrociare lungo le coste bretoni. Pur non essendo scaduta la tregua concordata tra le due potenze nemiche, a metà agosto la flotta francese attaccò le navi inglesi, che trasportavano la contessa di Montfort in Francia. Lo scontro fu favorevole a Louis, che si diresse poi su Vannes, assediata da Edoardo III. Grazie al concorso del D., l'ammiraglio francese sorprese la flotta nemica all'ancora, obbligandola a lasciare il blocco della città. Questo successo portò ad una tregua, che fu firmata il 19 genn. 1343.
Il D. approfittò della sospensione delle ostilità in Francia per rientrare in Italia e occuparsi dei suoi feudi liguri, minacciati dall'energica azione di conquista voluta dal doge di Genova Giovanni De Murta. Quando nel 1345 la flotta da guerra genovese occupò Diano e pose l'assedio ad Oneglia, il D. con un forte contingente di truppe attaccò il ridotto, che era stato costruito dai suoi avversari per occupare la città: il tentativo fallì, ed il D. fu costretto a ritirarsi. Anche Porto Maurizio si arrese poco dopo, provocando la fine della resistenza di Oneglia, dove Ceva Doria preferì consegnarsi al podestà genovese, che occupò altre località rivierasche. A questo punto il D., rifugiatosi nell'unica roccaforte rimastagli, Cervo Ligure, rinunciò alla lotta.
Nel giugno a Luchino Visconti venne affidato il compito di formulare gli accordi per una tregua tra gli "intrinseci" e gli "extrinseci"; la sentenza arbitrale, pubblicata nel luglio, permise al D. di tornare in possesso dei suoi feudi, purché si fosse astenuto da qualunque attacco contro il governo e la città di Genova.
Questo scacco spinse il D. a rimettersi al servizio del re di Francia. Ai suoi ordini vi era una numerosa compagnia di balestrieri, soldati altamente addestrati di una specialità che costituiva il nerbo dell'esercito genovese. Con loro si diresse a Marsiglia, ricevendo poi l'ordine di raggiungere a Parigi le truppe del re. Egli si unì al contingente di Carlo Grimaldi, il cui colpevole ritardo nel lasciare i porti mediterranei consentì lo sbarco in Francia dell'esercito inglese, comandato dallo stesso Edoardo III. Il 26 ag. 1346 a Crécy avvenne lo scontro decisivo. L'esercito francese era stato diviso in tre parti: nell'avanguardia furono posti i balestrieri genovesi del D., affiancati dal contingente del re di Boemia e dai reparti del principe Carlo, figlio di Filippo VI. L'attacco inglese fu portato proprio contro di loro: al riparo dei carriaggi, gli arcieri inglesi, abilissimi nell'usare con grande rapidità le loro temibili armi, riuscirono a scagliare sui nemici un numero impressionante di dardi, a differenza di quanto fecero i balestrieri genovesi, attardati anche dalle cattive condizioni atmosferiche (l'alta umidità dell'aria rendeva infatti lente le corde delle balestre; la luce accecante del sole, comparendo in mezzo alle nubi, ostacolava la mira). Le file genovesi si scompigliarono e l'intervento intempestivo del conte di Alengon, a capo della seconda schiera, accrebbe con la sua cavalleria la confusione tra i balestrieri che, presi dal panico, si diedero alla fuga, travolgendo nella rotta tutto l'esercito francese. Nel disastro persero la vita sia il D., sia il Grimaldi. Il re inglese permise che i corpi dei nobili nemici uccisi venissero sepolti nei pressi di una abbazia vicina al luogo della battaglia.
Il D. ebbe numerosi figli, tra cui Ceva, Raffaele, Ludovico, Marietta, Selvaggia e Teodora.
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