Abstract
Vengono esaminati i principali profili giuridici, sostanziali e procedurali, in materia tributaria, dell’applicazione del divieto di aiuti di Stato sancito nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), analizzando gli elementi strutturali del concetto di “aiuto”, nonché le problematiche essenziali in tema di recupero degli aiuti dichiarati incompatibili con la decisione della Commissione europea.
Esula dall’indagine lo studio delle questioni relative alla compatibilità delle misure agevolative coi principi costituzionali interni (artt. 3 e 59 Cost.).
L’art. 107, par. 1, TFUE sancisce il divieto (relativo) di aiuti di Stato, inaugurando la Sez. 2 del Capo I del Titolo VII. Quelli aventi natura tributaria costituiscono la tipologia più importante di aiuti pubblici.
È possibile riconoscere nelle esigenze di “neutralità fiscale” la matrice di tale proibizione, comune ai principi di non discriminazione e di non restrizione, previsti espressamente dal legislatore in materia di imposte indirette ed elaborati in sede giurisprudenziale europea in quella delle imposte dirette. In un’ottica liberale e liberista, il tributo viene concepito quale potenziale fonte di “ostacoli” all’attuazione delle libertà fondamentali, sotto forma di trattamenti discriminatori fondati sulla nazionalità o sulla residenza e di “favoritismi” per talune categorie di imprese o di produzioni. Da qui la necessità di un mercato tendenzialmente “imparziale” e “indifferente” alle scelte del legislatore fiscale. L’applicazione delle norme ex artt. 107 e 108 del Trattato ha finito per garantire alle istituzioni europee un controllo penetrante sulle scelte interne di politica fiscale, costituendo un limite oggettivo all’esercizio della potestà impositiva degli Stati membri e delle loro articolazioni territoriali.
Alla Commissione europea vengono attribuiti ampi poteri di controllo e discrezionalità sull’interpretazione della nozione di aiuto e sull’applicazione delle deroghe previste, sia di quelle applicabili de jure (art. 107, par. 2) che di quelle potenzialmente ammissibili (art. 107, par. 3).
Alla Commissione viene affidato, inoltre, il compito di vigilare sulla violazione del cd. Codice di condotta Ecofin sul contrasto alla cd. “concorrenza fiscale dannosa”, fenomeno monitorato anche in ambito internazionale dall’OCSE. Alla luce della sostanziale coincidenza del campo di attuazione, è possibile riconoscere che, da una parte, le disposizioni di un atto di soft law, come il suddetto Codice, acquistino forza cogente ogniqualvolta uno Stato membro ne violi i principi attraverso l’introduzione di aiuti di Stato e, dall’altra, che il contrasto alle condotte di harmfull tax competition abbia reso nel tempo i controlli della Commissione sulle misure agevolative più intensi e rigorosi.
Alla luce della consolidata prassi della Commissione e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (ex multis, C. giust., 14.2.1990, C-321/97) costituisce aiuto di Stato ex art. 107 TFUE ogni misura che cumulativamente:
1. attribuisca un qualsivoglia vantaggio economico al beneficiario, falsando o minacciando di falsare in tal modo la concorrenza tra gli Stati membri;
2. sia riferibile allo Stato o a risorse statali;
3. sia applicabile, in modo selettivo, a favore di talune imprese o produzioni.
La nozione europea ha una vasta portata oggettiva, basandosi sul vantaggio economico recato al beneficiario dell’aiuto, a prescindere dallo scopo extra-fiscale perseguito dal legislatore, seppur di interesse generale e meritevole di tutela giuridica, rilevando soltanto l’effetto economico sul mercato interno con effetti negativi, anche potenziali, sulla libera concorrenza (ex multis, C. giust., 18.9.1980, C-730/79, Philip Morris Holland BV c. Commission of the European Communities; C. giust., 29.2.1996, C-56/93, Kingdom of Belgium c. Commission of the European Communities; C. giust., 29.4.2004, C-159/01, Kingdom of the Netherlands c. Commission of the European Communities; C. giust., 29.4.2004, C-159/01, Kingdom of the Netherlands c. Commission of the European Communities).
Quello fiscale è una species dell’ampio genus “aiuto” e, in via generale, configura una rinuncia dell’ente pubblico, in toto o in parte, all’esercizio della potestà impositiva, in senso derogatorio rispetto alle norme vigenti in un determinato sistema tributario (ex plurimis, C. giust., 2.7.1974, C-173/73, Italian Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 15.3.1994, C-387/92, Banco de Crédito Industrial SA, now Banco Exterior de España SA c. Ayuntamiento de Valencia; C. giust., 17.6.1999, C-295/97, Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio SpA c. International Factors Italia SpA (Ifitalia), Dornier Luftfahrt GmbH and Ministero della Difesa; C. giust., 15.12.2005, C-66/02, Italian Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 15.12.2005, C-148/04, Unicredito Italiano SpA c. Agenzia delle Entrate, Ufficio Genova 1; in dottrina, Quigley, C., The notion of a State aid in the EEC, in ELR, 242 ss.). Vengono definiti aiuti tutti «gli interventi che, in varie forme, allevino gli oneri che normalmente (enfasi aggiunta) gravano sul bilancio di un’impresa e che di conseguenza, anche senza essere definite sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la medesima natura e producono identici effetti» (C. giust., 23.02.1961, C-30/59, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg c. High Authority of the European Coal and Steel Community). Il concetto di aiuto fiscale comprende una serie eterogenea di misure tributarie agevolative che incidono su una fase del prelievo (individuazione del presupposto, liquidazione della base imponibile o dell’imposta, accertamento, riscossione), caratterizzate da un regime giuridico “speciale”, rispetto all’“ordinaria” applicazione della legislazione vigente in un determinato ordinamento giuridico, riguardanti l’intero territorio nazionale di uno Stato membro o una sua parte.
Gli aiuti, a prescindere dalla loro natura legislativa, regolamentare o amministrativa, possono assumere diverse forme: dalla riduzione della base imponibile (compresa la previsione di speciali tipologie di ammortamento, iscrizioni di riserve in bilancio, etc.) e dell’imposta (esenzione, credito d’imposta), all’adozione di deroghe alla disciplina di accertamento e di riscossione dei tributi (rimessione del debito, regimi speciali per la dilazione del debito tributario, sue forme di rinegoziazione eccezionali, particolari modalità di prevenzione della doppia imposizione e così via).
Sulla compatibilità della disciplina sulla chiusura delle liti fiscali ultradecennali, da ultimo si veda C. giust., 29-3.2012, C-417/10, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate c. 3M Italia SpA; sull’incompatibilità dei condoni, con riferimento, però, alla violazione delle norme sull’armonizzazione dell’IVA, si veda C. giust., 18.7.2008, C-132/06, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana.
A determinate condizioni, anche l’istituzione di tributi di scopo può essere considerata una forma di aiuto (C. giust., 11.3.1991, C-78/90 ( C-83/90, Compagnie Commerciale de l'Ouest and others c. Receveur Principal des Douanes de La Pallice Port).
Anche la prassi seguita dall’Amministrazione finanziaria può configurare misure che rientrano nel campo di applicazione dell’art. 107, ove possano ravvisarsi spazi di discrezionalità nell’applicazione delle norme, tali da condurre all’adozione di comportamenti selettivi a favore di talune categorie di contribuenti, ad esempio, con riguardo alle procedure di administrative rulings (C. giust., 26.9.1996, C-241/94, French Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 18.6.1999, C-75/97, Kingdom of Belgium c. Commission of the European Communities; C. giust., 6.3.2002, T-127/99, T-129/99 e T-148/99, Territorio Histórico de Álava - Diputación Foral de Álava (T-127/99), Comunidad Autónoma del País Vasco and Gasteizko Industria Lurra, SA (T-129/99) and Daewoo Electronics Manufacturing España, SA (T-148/99) c. Commission of the European Communities).
L’aiuto deve essere erogato mediante risorse pubbliche, direttamente da un ente pubblico o di provenienza di un soggetto privato sul quale un’amministrazione pubblica, direttamente o indirettamente, eserciti un’influenza preminente e ne sia finanziatrice (C. giust., 8.6.1988, C-57/86, Hellenic Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 1.12.1998, C-200/97, Ecotrade Srl c. Altiforni e Ferriere di Servola SpA, sulla qualifica come aiuto di Stato della normativa italiana sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; C. giust., 18.3.1993, C-72/91 e C-73/91, Firma Sloman Neptun Schiffahrts AG c. Seebetriebsrat Bodo Ziesemer der Sloman Neptun Schiffahrts AG; C. giust., 13.3.2001, C-379/98, PreussenElektra AG c. Schhleswag AG).
La Corte del Lussemburgo ha precisato che l’espressione “risorse statali”, debba essere interpretata in senso ampio, intendendo lo Stato come apparato di governo centrale, regionale o locale. Il concetto di autorità pubblica comprende, infatti, sia gli organi centrali che decentrati (territoriali e non), inclusi gli organismi privati, come le associazioni professionali, le società o gli enti creditizi, ove siano deputati, in virtù di un provvedimento di carattere normativo, alla concessione di aiuti (C. giust., 14.11.1984, C-323/82, SA Intermills c. Commission of the European Communities; C. giust., 30.1.1985, C- 290/83; C. giust., 2.2.1988, C-67, C-68 e C-70/85, Kwekerij Gebroeders van der Kooy BV and others c. Commission of the European Communities).
Ai fini del concetto di aiuto di Stato, non rilevano le definizioni nazionali, civilistiche o fiscali, di “impresa” e di “produzione”, né la veste giuridico–formale, ma la natura economica aziendale, comprendendo qualsivoglia organizzazione di fattori volta allo svolgimento di un’attività lucrativa di destinazione al mercato di beni o servizi, sia essa privata, pubblica o mista. Viene, così, ricompreso qualsiasi soggetto, autonomo centro d’imputazione di diritto, pubblico o privato, che svolga un’attività rilevante dal punto di vista economico (C. giust., 19.1.1994, C-364/87, Jean-Pierre Auber; C. giust., 4.4.1995, C-348/93 e C-350/93. Per le imprese pubbliche (art. 106 TFUE) si v. C. giust., 17.2.1993, C-159/91 e C-160/91, Christian Poucet c. Assurances Générales de France and Caisse Mutuelle Régionale du Languedoc-Roussillon.; C. giust., 21.9.1999, C-67/96, Albany International BV c. Stichting Bedrijfspensioenfonds Textielindustrie; C. giust., 19.1.1994, C-364/92, Satfluggesellschaft MBH c. Eurocontrol; C. giust., 5.6.2012, C-124/10, Commissione europea c. Électricité de France).
Si veda da ultimo l’ordinanza 29.1.2013, n. 41, della Commissione Tributaria Provinciale di Latina sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sulla configurabilità dell’aggio di riscossione quale aiuto di Stato a favore di Equitalia S.p.A.
Non viene richiesto il fine di lucro, essendo sufficiente che l’attività venga svolta secondo criteri di economicità e alla luce del principio del pareggio del bilancio. Non sono considerate imprese le società di mero godimento.
Si considera rilevante anche l’incidenza “potenziale” che la misura possa arrecare agli scambi intra-comunitari (C. giust., 15.12.2005, C-66/02, Italian Republic c. Commission of the European Communities). Solo qualora gli aiuti siano destinati a favore di imprese che operano in un mercato “esclusivamente” locale, il divieto non è applicabile (C. giust., 21.1.1976, C- 40/75, Société des produits Bertrand SA c. Commission of the European Communities; C.giust., 21.3.1990, C-142/87, Kingdom of Belgium c. Commission of the European Communities; C. giust., 29.9.2000, T-55/99, Confederación Española de Transporte de Mercancías (CETM) c. Commission of the European Communities).
Un aiuto può, tuttavia, essere idoneo ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri e a falsare la concorrenza, anche se l'impresa beneficiaria non svolga attività transfrontaliere o di esportazione, anche qualora abbia una quota non rilevante sul mercato europeo, oppure ancora, ove esporti quasi tutta la sua produzione al di fuori dei confini dell’Unione (C. giust., 13.7.1988, C-102/87, France c. Commission of the European Communities; C. giust., 4.9.1994, C-278/92, C-279/92 e C-280/92, Kingdom of Spain c. Commission of the European Communities; C. giust., 21.3.1990, C-142/87).
L’entità relativamente esigua di un aiuto o le dimensioni relativamente modeste dell'impresa beneficiaria non escludono a priori l'eventualità che vengano influenzati gli scambi tra Stati membri (C. giust., 21.3.1990, C-142/87), ad eccezione degli aiuti che seguono i criteri del de minimis, stabiliti nei regolamenti europei.
Secondo la prassi della Commissione, sarebbe sufficiente dimostrare l’esistenza di un pregiudizio meramente potenziale, senza la necessità di accertare un’effettiva alterazione degli scambi intra – comunitari, in quanto l’aiuto si convertirebbe in un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento di eventuali imprese concorrenti (Trib. primo grado, 30.9.1998, T-214/95, Het Vlaamse Gewest (Flemish Region) c. Commission of the European Communities). Tale impostazione va criticata perché un’interpretazione così ampia del danno concorrenziale potenziale finirebbe con l’attribuire una portata applicativa pressoché illimitata al divieto sancito nell’art. 107.
Nell’evoluzione giurisprudenziale sul tema, è emerso il principio secondo cui l’idoneità di un aiuto di incidere sugli scambi tra Stati membri e quella di falsare o di minacciare di falsare la concorrenza deve essere adeguatamente dimostrata dalla Commissione, nella motivazione della decisione, pena il suo annullamento in sede di impugnazione (C. giust., 13.3.1985, C-296/82 e C-318/82, Leeuwarder Papierwarenfabriek BV c. Commission of the European Communities; C. giust., 6.9.2006, T304/04 e T316/04, Wam SpA c.Commission of the European Communities). L’onere probatorio gravante sulla Commissione è stato, tuttavia, circoscritto, escludendo l’obbligo di individuare il “mercato rilevante” in funzione del prodotto, del territorio e del tempo; indagini ritenute proprie dell’applicazione delle norme sulla concorrenza ex artt. 101 e 102 TFUE (C. giust., 17.9.1980, C-730/79, Philip Morris Holland BV c. Commission of the European Communities).
La selettività della misura costituisce un requisito fondamentale del concetto di aiuto di Stato. Non soggiacciono al divieto ex art. 107, pertanto, gli interventi generali di politica economica, applicati indistintamente a tutte le imprese e produzioni, a prescindere dal settore di attività, dalla loro dimensione e dalla loro ubicazione, cd. selettività materiale (ex multis, C. giust., 29.1.1998, C-280/95, Commission of the European Communities c. Italian Republic,sugli aiuti italiani agli autotrasportatori).
Talune misure apparentemente generali possono, tuttavia, essere considerate selettive sotto il profilo degli effetti economici in concreto prodotti, come gli aiuti all’esportazione, i quali favoriscono inevitabilmente le imprese che non esauriscono la loro attività nell’ambito del mercato interno. Si ritiene che il criterio della selettività riguardi l’ambito soggettivo di estensione del vantaggio fiscale, piuttosto che il rapporto “regola-deroga” rispetto ad un regime tributario generale.
A tal proposito, occorre rilevare che i sistemi tributari degli Stati membri presentano una notevole complessità e spesso non risulta affatto agevole l’individuazione di principi generali, al fine di valutare il carattere eccezionale e derogatorio di una disposizione.
La disciplina dei singoli tributi non è uniforme. Vengono contemplate impostazioni diversificate, sottese a principi essenziali dell’ordinamento giuridico e, comunque, rispondenti ad esigenze di logica e di tecnica fiscale volte alla semplificazione o a rendere più efficaci le modalità di accertamento e di riscossione, non soltanto con riferimento ai diversi cespiti patrimoniali o reddituali, ma anche alle diverse categorie di soggetti passivi, attraverso previsioni generali, le quali, però, ammettono numerose deroghe spesso idonee a creare veri e propri “microsistemi” impositivi. Si pensi ai casi di tassazione differita o separata, ai criteri di imputazione temporale del reddito, alle deroghe al principio di progressività, attraverso la previsione di regimi sostitutivi, alle ipotesi di determinazione “forfetaria” dei componenti attivi e passivi del reddito e così via.
Ove le scelte del legislatore tributario siano strumentali all’attuazione di principi costituzionali fondamentali, quali quelli di capacità contributiva e di progressività, riteniamo che le misure previste non dovrebbero costituire “aiuti” sindacabili, bensì espressione di sovranità fiscale dello Stato membro, in quanto volti a garantire obiettive finalità redistributive e a definire la ratio del sistema impositivo nel suo complesso (C. giust., 15.12.2005, C66/02, Italian Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 15.12.2005, C148/04). Lo Stato membro deve, tuttavia, fornire la prova che la delimitazione della cerchia dei beneficiari potenziali del vantaggio fiscale sia giustificata dalla natura del sistema tributario (C. giust., 17.6.1999, C-75/97; C. giust., 8.11.2001, C-143/99, Adria-Wien Pipeline GmbH and Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke GmbH c.Finanzlandesdirektion für Kärnten).
La soluzione per attenuare l’eterogeneità tra i diversi sistemi tributari, delineando un regime di imposizione “ordinario” tendenzialmente comune, risiede nelle politiche di coordinamento, ravvicinamento e armonizzazione. Non può essere, invece, ricercata attraverso una radicale applicazione del divieto di aiuti di Stato.
Altro profilo relativo alle esigenze di coerenza interna del sistema tributario riguarda gli obiettivi pubblicistici extra-fiscali perseguiti attraverso la misura agevolativa rilevanti tuttavia solo ove trovino corrispondenza nelle deroghe espressamente previste dall’art. 107 TFUE o in altri strumenti normativi, quali il Reg. generale di esenzione per categorie di aiuti ammissibili 6.8.2008, n. 800, modificato dal recente Reg. 29.11.2013, n. 1224.
L’attribuzione di potestà impositiva a livelli territoriali sub-statali, nell’ambito di modelli federali o decentrati, presuppone la possibilità che si configurino regimi tributari differenziati in talune regioni o territori di uno Stato membro.
L’art. 2, co. 2, lett. mm), l. delega n. 42/2009, attuativa del cd. federalismo fiscale, contempla tra i propri principi direttivi «l’individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo», sia con riferimento alle regioni a statuto “ordinario” che a quelle a statuto “speciale”, a prescindere dal loro grado di sviluppo economico e sociale.
La Corte di Giustizia, discostandosi dall’interpretazione tradizionalmente proposta dalla Commissione, ha finito con l’ammettere la possibilità di ritenere, a certe condizioni, gli aiuti introdotti da enti territoriali diversi dallo Stato alla stregua di “misure generali”, non rientranti ipso iure nella definizione di aiuto vietato, ai fini del requisito della selettività (C. giust., 6.9.2006, C-88/03, Repubblica portoghese c. Commissione delle Comunità europee; C. giust., 11.9.2008, da C-428/06 a C-434/06, Unión General de Trabajadores de La Rioja (UGT-Rioja) and Others c. Juntas Generales del Territorio Histórico de Vizcaya and Others; Trib. primo grado, 18.12.2008, T-211/04 e T-215/04, Government of Gibraltar e Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c. Commissione delle Comunità europee).
Qualora le misure vengano poste in essere da un ente territoriale nell’esercizio della propria autonomia finanziaria, senza che le conseguenze economiche della riduzione di gettito debbano essere compensate da contributi provenienti da altre regioni o dal governo centrale, il contesto territoriale di riferimento ai fini della valutazione del requisito della selettività, può essere quello proprio di tale ente e non quello dell’intero Stato membro. Diverso, invece, il caso di una misura introdotta da un ente centrale, ma destinata a trovare applicazione soltanto in una parte del territorio nazionale, in deroga al regime di tassazione “normale” (C. giust., 19.9.2000, C-156/98, Federal Republic of Germany c. Commission of the European Communities).
In particolare, nei casi di cd. decentramento “asimettrico” (in cui soltanto taluni enti territoriali siano dotati di particolari forme di autonomia), affinché la misura adottata non venga “di per sé” considerata selettiva ex art. 107, occorre verificare in concreto (compito spettante al giudice interno) che l’ente interessato goda di un “sufficiente” grado di autonomia “istituzionale” (occorre, cioè, verificare che la decisione sia stata presa da un’autorità territoriale munita di uno statuto politico e amministrativo autonomo), “procedurale” (senza la possibilità di un intervento diretto da parte dello Stato centrale sul suo contenuto) e “finanziaria” (le conseguenze economiche della riduzione del carico tributario non vengano compensate dallo Stato centrale).
Riteniamo che il requisito dell’“autonomia finanziaria” venga meno solo ove sia possibile individuare una correlazione diretta e specifica tra l’aiuto adottato dall’ente regionale e la compensazione erogata dal livello centrale. Cosa che non si verifica, a nostro avviso, in presenza di strumenti generali di perequazione (art. 119, co. 3 e 5, Cost.), rispondenti ad esigenze generali di solidarietà (art. 2 Cost.). Una contraria interpretazione finirebbe col precludere di fatto il ricorso agli strumenti fiscali di incentivazione, proprio nei confronti di quegli enti territoriali che più ne avvertono la necessità, per rilanciare la propria economia, attraverso l’attrazione di investimenti.
La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, opera, rispettivamente ai sensi dell’art. 108, par. 1 e 3, TFUE, in modo permanente il monitoraggio degli aiuti di Stato “esistenti” (quelli vigenti prima dell’entrata in vigore del Trattato di Roma e quelli già autorizzati, in modo espresso o tacito, decorsi due mesi dall’inizio dell’istruttoria preliminare e non oggetto di modifiche sostanziali, come quelle relative all’ambito di applicazione soggettivo) e di quelli “nuovi” (categoria residuale rispetto a quelli esistenti), comunicando agli stessi Stati le opportune modifiche da intraprendere.
Le norme che introducono aiuti nuovi devono essere notificate «in tempo utile prima che acquistino efficacia». Ex art. 108, par. 3, «Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto ad una decisione finale» (clausola di sospensione o obbligo di stand-still).
L’art. 2, Reg. del Consiglio n. 659/1999, modificato recentemente dal Reg. 22.7.2013, n. 734, cd. “Regolamento di procedura” (art. 109 TFUE), che disciplina gli obblighi procedurali per rendere effettivo il divieto di aiuti di Stato, stabilisce che la notifica degli aiuti di Stato nuovi debba avvenire “tempestivamente”, correlata da parte dello Stato membro di tutte le informazioni necessarie per consentire all’esecutivo dell’Unione europea la valutazione sulla loro compatibilità. Non sono soggette all’obbligo di notifica gli aiuti disciplinati dal già richiamato Reg. n. 800/2008.
In casi di inadempimento, l’aiuto è definito “illegale”. La Commissione, in via cautelare, può ordinare allo Stato trasgressore il recupero a titolo provvisorio dell’aiuto, qualora, ad esempio, sussista un grave rischio di danno “consistente” e “irreparabile” ad un soggetto concorrente. Un aiuto “illegale”, tuttavia, non è detto che sia anche “incompatibile”. Soltanto dopo la decisione sul merito, la Commissione procederà a richiedere il recupero definitivo dell’aiuto. La mancata notifica dell’aiuto non esime, infatti, i competenti uffici di Bruxelles dal giudizio sulla compatibilità della misura con la normativa europea (C. giust., 14.2.1990, C301/87, French Republic c. Commission of the European Communities; C. giust., 21.11.1991, C354/90, Fédération Nationale du Commerce Extérieur des Produits Alimentaires and Syndicat National des Négociants et Transformateurs de Saumon c. French Republic).
Durante la fase istruttoria, la Commissione europea può rivolgere allo Stato membro richieste di informazioni e adire la Corte di giustizia, qualora quest’ultimo non adempia alle indicazioni ricevute. Criticabile a nostro giudizio il fatto che allo Stato membro non venga garantito un vero e proprio diritto al contraddittorio. Lo stesso può rivolgersi in sede contenziosa alla Corte per impugnare la decisione della Commissione. La mancanza di contraddittorio è ancora più significativa considerando, che il diritto primario dell’Unione conferisce alla Commissione un forte potere discrezionale ed esclusivo, che le sue decisioni sul divieto di aiuti di Stato, direttamente applicabili all’interno degli ordinamenti interni (Cass. trib., 10.12.2002, n. 17564), non sono considerate sindacabili nel merito né dalla Corte di giustizia né dal giudice interno.
La stessa Commissione europea, attraverso l’emanazione di una serie di atti atipici di soft law (lettere agli Stati membri; inquadramenti, codici, vademecum), non soggetti all’obbligo di pubblicità, disciplina sia gli aspetti sostanziali che procedurali di talune categorie di aiuto. Atti formalmente sprovvisti di efficacia coattiva, ma che di fatto si impongono quali limiti imperativi all’esercizio del potere legislativo e regolamentare degli Stati membri. In materia di aiuti a finalità regionale, ad esempio, gli Orientamenti e le Carte degli aiuti definiscono il concetto di aiuto e le sue forme, indicano il livello dei massimali e le spese ammissibili, le regole per il cumulo degli aiuti, le aree geografiche eleggibili e così via.
La giurisprudenza ha riconosciuto, quale espressione del principio di certezza del diritto, il loro “effetto di liceità”, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, qualora lo Stato membro interessato si sia conformato ad essi e intervengano modifiche successive (C. giust., 3.5.1978, C-112/77, August Töpfer & Co. GmbH c. Commission of the European Communities; C. giust., 21.9.1983, da C-205 a C-215/82, Deutsche Milchkontor GmbH and others c. Federal Republic of Germany; C. giust., 26.4.1988, C-316/86, Hauptzollamt Hamburg-Jonas c. Firma P. Krücken), in modo analogo si ritiene, mutatis mutandis, a quanto si verifica nel caso in cui il contribuente si conformi alle circolari dell’Amministrazione finanziaria.
L’introduzione di un aiuto di Stato illegale o incompatibile con il diritto dell’Unione attribuisce al beneficiario un vantaggio illegittimo rispetto ai concorrenti e crea una grave distorsione delle regole del mercato unico. A seguito di una decisione negativa della Commissione incombe, pertanto, l’obbligo in capo allo Stato membro interessato di assicurare “senza indugio” il suo recupero, con gli interessi (art. 14 Reg. di procedura).
Il recupero con gli interessi dell’aiuto è teso a garantire la restituito in integrum delle condizioni di libera concorrenza e il ripristino della situazione del mercato comune prima dell’alterazione degli scambi intra – europei (C. giust. 10.10.2013, C-353/12, Commissione c. Repubblica italiana).
Il recupero, richiedibile nel corso del decennio decorrente dal momento di fruizione dell’aiuto (periodo suscettibile di essere interrotto), va effettuato secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato (principio di assimilazione), a condizione, tuttavia, che esse consentano l’esecuzione effettiva della decisione della Commissione.
La restituzione dell’aiuto deve essere richiesta al soggetto nel cui patrimonio, al momento del recupero stesso, si trova il relativo vantaggio economico, anche se diverso dall’originario beneficiario, ad esempio, in caso di trasferimento anche parziale dell’azienda o di morte dell’imprenditore persona fisica.
Dibattuta la natura giuridica tributaria dell’atto di restituzione. Per il recupero degli aiuti fiscali indebiti, si ritiene opportuno il ricorso al procedimento di accertamento e di riscossione disciplinati per i tributi oggetto dell’agevolazione. In caso di impugnazione, infatti, quello tributario crediamo essere il giudice più qualificato, anche per l’eventuale formulazione di domande pregiudiziali alla Corte di giustizia. In presenza di un atto presupposto prevalente (la decisione della Commissione recante l’obbligo di recupero) non si ritengono, tuttavia, applicabili tutti gli istituti relativi alla fase di accertamento e di riscossione dei tributi. Si ritiene, ad esempio, non opponibile dal contribuente lo spirare degli ordinari termini di decadenza dell’azione di accertamento. Sull’Amministrazione finanziaria grava, infatti, un vero e proprio obbligo di richiedere la restituzione fino alla decorrenza del termine decennale previsto dalla normativa europea. La Corte di Cassazione ha affermato che la normativa nazionale sulla prescrizione debba essere disapplicata per contrasto col principio di effettività del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto dichiarato incompatibile con decisione divenuta definitiva della Commissione (Cass., 19.11.2010, n. 23418). Al contribuente dovranno, comunque, essere garantiti i diritti e le garanzie previsti dallo Statuto, ad es. il diritto alla motivazione dell’atto.
De iure condendo, la specificità dell’atto di recupero suggerirebbe l’adozione di una disciplina generale ad hoc, con la relativa integrazione dell’elenco degli atti soggetti ad impugnazione ex art. 19, d.lgs. 31.12.1992, n. 546.
La Corte costituzionale (ord. 6.2.2009, n. 36), riconoscendo la presenza di un vero e proprio obbligo in capo allo Stato membro di assicurare il recupero dell’aiuto (con configurabile alla stregua di una nuova imposta con efficacia retroattiva, bensì come il pagamento di una somma corrispondente ad un tributo già spettante) ha considerato non opponibili le eccezioni relative ai principi di attualità della capacità contributiva (art. 53) e di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
La preminenza delle esigenze di ripristino della legalità comunitaria in materia di divieto di aiuti di Stato è così avvertita che la Corte di giustizia non ha esitato ad affermarla perfino rispetto al principio dell’autorità della cosa giudicata, espressione del principio di certezza del diritto, pur se riconosciuto de plano in ambito europeo, in occasione della celebre sentenza Lucchini (C. giust., 18.7.2007, C-119/05, Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato c. Lucchini SpA).
La giurisprudenza della Suprema Corte ha stabilito che il recupero dei tributi non corrisposti non possa essere precluso neppure in caso di adesione del contribuente all’istituto del condono (Cass., 16.5.2012, n. 7663).
La Commissione europea ha il potere di non imporre la ripetizione dell’aiuto qualora ciò si ponga in contrasto con il principio del legittimo affidamento ingenerato dalle stesse istituzioni dell’Unione europea, ipotesi straordinaria la cui applicazione in senso restrittivo viene affidata al giudice interno ove adito: la decisione di incompatibilità, ad esempio, successiva ad una preventiva autorizzazione da parte della stessa Commissione (C. giust., 19.5.1983, C-289/81, Vassilis Mavridis c. European Parliament).
La puntuale determinazione degli importi da recuperare spetta al giudice interno (C. giust., 13.2.2014, C-69/13, Mediaset SpA). È criticabile l’orientamento che ritiene proporzionato richiedere all’operatore economico, quale obbligo di diligenza, l’onere di vigilare sul rispetto del diritto europeo da parte del legislatore nazionale, includendo il dovere di accertare, ad esempio, che l’aiuto sia stato previamente notificato o meno (C. giust., 11.7.1996, C-39/94, Syndicat français de l'Express international (SFEI) and others c. La Poste and others; C. giust., 11.11.2004, C-183/02 e C-187/02, Territorio Histórico de Álava c. Commission; C. giust., 15.12.2005, C-148/04).
Anche per tributi, quali l’IVA e le imposte sui redditi, cd. “auto-liquidabili”, gli obblighi procedurali verso l’Unione europea incombono, infatti, nei confronti degli Stati membri e non dei consociati. Graverà semmai sull’A. f. il dovere di sorveglianza sul rispetto della normativa europea, che potrà, ove lo ritenga necessario, disapplicare la disciplina interna agevolativa e richiedere la maggiore imposta al contribuente. L’eventuale inerzia dell’ufficio, o a fortiori il consenso (espresso o tacito) alla soluzione interpretativa proposta dal contribuente in sede di interpello, consoliderebbe l’affidamento di quest’ultimo sulla legittima spettanza dell’agevolazione. Conseguentemente, a nostro avviso, non dovrebbero almeno essere irrogate sanzioni tributarie (esimente delle obiettive condizioni di incertezza), né nei confronti del beneficiario dovrebbe configurarsi una responsabilità civile extra-contrattuale verso i soggetti concorrenti.
In tutti i casi, tuttavia, in cui l’affidamento del privato non si fondi su un atto o su un comportamento della Commissione europea, l’interesse individuale del beneficiario deve piegarsi alle superori esigenze di ripristino della legalità europea.
Il contribuente, obbligato a restituire l’aiuto, ricorrendone i presupposti, potrebbe chiedere il risarcimento nei confronti dello stesso Stato membro per violazione del diritto dell’Unione europea, secondo i principi generali individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (C. giust., 19.11.1991, da C-6/90 a C-9/90, Andrea Francovich e Danila Bonifaci c. Repubblica italiana). Si pensi ad un aiuto notificato ma, tuttavia, reso efficace dallo Stato membro prima del vaglio di compatibilità, seguito da una decisione di incompatibilità della Commissione.
La liquidazione del danno non dovrà corrispondere all’ammontare dell’aiuto indebito. A nostro parere il danno ingiusto sopportato potrebbe, comunque, essere superiore, qualora, ad esempio, l’adempimento dell’obbligo di recupero rischi di condurre l’impresa al fallimento.
Accertata la natura fiscale dell’atto di recupero, in caso di impugnazione il giudice competente e il rito saranno quelli tributari. Le esigenze di effettività e di celerità sottese all’obbligo di recupero non consentono, tuttavia, l’applicazione di tutti gli istituti del processo tributario, simmetricamente a quanto abbiamo già commentato in merito agli istituti del procedimento tributario. Il legislatore, senza predisporre una disciplina generale sugli atti di recupero, né integrare con un rinvio espresso l’ambito applicativo della giurisdizione tributaria ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 546/1992, in materia di tutela cautelare del contribuente ha predisposto una disciplina ad hoc, più restrittiva di quella ordinaria, introducendo l’art. 47 bis.
Le stesse esigenze di celerità hanno spinto il legislatore ad escludere le controversie in esame dall’ambito applicativo del reclamo e della mediazione (art. 17 bis, co. 4, dello stesso decreto).
Sul giudice nazionale incombe un obbligo di sospensione dell’aiuto, anche prima dell’intervento della Commissione, qualora riconosca la violazione della clausola di stand-still (C. giust., 13.1.2005, C-174/02, Streekgewest Westelijk Noord-Brabant c. Staatssecretaris van Financiën).
Al contribuente dovranno, comunque, essere garantiti i diritti correlati al “giusto processo” (art. 111 Cost.). Alle parti dovrà essere consentito il contraddittorio su eventuali elementi acquisiti a seguito di informazioni o pareri richiedibili dalla Commissione tributaria alla Commissione europea, in virtù del principio di leale collaborazione (si veda sez. 3 della Comunicazione sull’applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali, n. 2009/C 85/01).
Tali pareri, anche se non dotati di forza probatoria piena, rivestono grande rilevanza in quanto la valutazione sul merito della compatibilità dell’aiuto spetta “esclusivamente” agli uffici dell’esecutivo europeo. Il giudice nazionale non può annullare la decisione della Commissione europea, potendosi limitare a sospendere l’ordine di recupero, ove nutra «grandi riserve sulla validità dell’atto comunitario» (punti 6.7 e 6.8 della citata Comunicazione), oppure potrà proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, il cui sindacato è circoscritto, comunque, ai soli vizi di legittimità.
Artt. 107 - 109 TFUE
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