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AIZEN-MYŌŌ

di Guido Perris - Enciclopedia Italiana (1929)
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AIZEN-MYŌŌ

Guido Perris

ŌŌ Originariamente una divinità indiana, introdotta in Giappone dal buddhismo esoterico della setta Shingon. È uno dei myōō o grandi dèi buddhistici. Secondo Fujii, i bonzi giapponesi tradussero con il termine Aizen (Ai "amore" + zen "tinta") il nome originario sanscrito rāgā, che significa sia amore sia colorito. Questa divinità viene raffigurata con tre occhi e sei braccia (qualche volta anche con due teste e otto braccia), con carnagione di color rosso, chioma irta e mascherone di leone ornato di goko (scettro sacro) sulla fronte. L'espressione del viso è corrucciata; il braccio sinistro è sollevato con la mano serrata in atto di minaccia, mentre le altre due mani stringono un arco e uno scettro sacro; le mani del lato destro tengono rispettivamente dall'alto in basso un fior di loto, una freccia e un campanello sacro. La divinità siede su un fior di loto, ed è circondata dal nimbo e dalle fiamme. Tutta l'immagine posa su un'anfora sacra hōhyō, dalla quale escono oggetti preziosi d'ogni genere.

Alla divinità viene attribuito il potere di estinguere le passioni morbose e di suscitare sentimenti di benevolenza, fornendo agli uomini ogni abbondanza di beni supremi. Spesso viene associata con la dea della pietà Kwannon e con Fudō-myōō, che simboleggia l'implacabile giustizia divina.

La statua che riproduciamo nella pagina innanzi è considerata comunemente opera di Kose Aimi (X secolo), ma per alcune particolarità essa non può essere anteriore al primo periodo Kama Kura (1156-1219).

Bibl.: S. Fuji, Bukkyō jirin (Dizionario buddhista), Tokio 1913, p. 4; Bukkyō iroha-jiten (Vocabolario buddhista), Tokio 1897, p. 329; Butsuzō zui (Iconografia buddhista, di cui esiste una traduzione nel vol. V del Nippon di Siebold), Edo 1783, II, f. 20 r.; Rekishi dai-jiten (Dizionario storico), Tōkyō 1908, pp. 1-2.

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