AJANTA
Zona archeologica dell'India buddista, situata nello Stato di Haiderabad (Deccan centrale). A. comprende 29 caverne scavate nel fianco della costa dirupata, nelle gole rocciose della Trapti. Di queste grotte, sei si riferiscono al buddismo di Theravada, le altre al buddismo del Gran Veicolo o Māhāyana; esse costituiscono, per il loro stile architettonico e per le loro pitture murali, un insieme di eccezionale valore, tanto per l'arte indiana quanto per l'arte mondiale.
Le grotte di A. si dispongono lungo il periodo che va dal II sec. a. C. al VI sec. circa dell'era cristiana; secondo la cronologia recentemente stabilita da Ph. Stern, esse si succederebbero in quest'ordine: la caverna x sarebbe del II sec. a. C., la caverna ix della metà del I sec. a. C.; poi verrebbe, nel periodo della dinastia Gupta (v.) (V-VI sec.), una fase di formazione dello stile d'A. propriamente detto con le caverne vii, vi (piano inferiore), v, xi, xviii, xvi, iv e xvii; poi l'apogeo di questo stile con le caverne ii, i e xix; infine, un periodo durante il quale questo stile si protrae, con le caverne xx-xxvii, che sarebbero anteriori al 578 a. C. Uno dei fatti più notevoli che si rileva ad A. è appunto la straordinaria unità di stile perdurata attraverso Otto o nove secoli.
Nell'aspetto architettonico, queste caverne sono state sistemate secondo due tipi differenti: quattro di esse (x, ix, xix e xxvi) sono santuari (chaitya, v.) di pianta rettangolare con la parte posteriore arrotondata come l'abside di una chiesa; le altre sono monasteri (vihāra, v.), composti di una veranda ipostila, di un atrio quadrato, di un piccolo santuario di fronte all'entrata principale e di una serie di celle monastiche che si aprono tutte attorno all'atrio. La facciata dei chaitya si apre sulla costa con un grande vestibolo a ferro di cavallo (kudu); la loro vòlta a botte (a mezza botte per le navate laterali) è striata da finte travi arcuate, e tutto l'insieme riproduce fedelmente, nella roccia, la costruzione d'un edificio in legno. Al posto dell'altare, s'innalza un reliquiario (dàgoba) di profilo emisferico che deriva da quello degli stūpa più antichi, che a loro volta derivano dai tumuli funerari del periodo protostorico. I vihāra, invece, sono a soffitto orizzontale, dipinti a cassettoni. Tanto nei santuari che nei monasteri, le colonne hanno una essenziale funzione ornamentale; nei più antichi, esse sono semplici fusti di pietra poligonali senza nè capitello nè base; nell'epoca Gupta, invece, hanno il capitello sormontato da un abaco di forma oblunga, spesso decorato da scene scolpite con grande delicatezza: anche il loro fusto è rivestito di intagli assai fini.
Ma la celebrità di A. deriva, a ragione, dalle pitture murali che decorano le caverne i, ii, vi, vii, ix, x, xi, xvi e xvii: quelle dei chaitya x e ix appartengono rispettivamente agli stili di Sanchi (v.) (verso il I sec. d. C.) e di Amāravatī (v.) (II-III sec.); le altre debbono essere dei sec. V-VI. L'arte che vi si rivela è particolarmente raffinata: malgrado una prima impressione di confusione, l'occhio isola a poco a poco diverse scene che si sistemano secondo una composizione circolare sottilmente ricercata: la prospettiva vi è concepita quasi al modo dell'Occidente, ma intesa a espressione dinamica e non statica, e pertanto con diversi centri prospettici in una stessa scena. La figura umana è l'elemento essenziale dei dipinti, mentre le indicazioni di paesaggio e di architettura sono destinate soltanto a localizzare l'azione. Costruito secondo i canoni contemporanei dell'affresco, talora in pose languide, talaltra in piena attività, ma sempre ricco di grazia e di equilibrio, il corpo umano è delineato con profili morbidi sottolineati da leggero modellato. I soggetti rappresentati sono presi dall'iconografia delle vite antecedenti di Buddha, o jātaka; qua e là si trovano figure di proporzioni maggiori: sono i Bodhisattva (v.), personificazioni della carità e della compassione, di cui i più belli sono nella caverna i. La tecnica di queste pitture murali si distingue da quella dell'affresco propriamente detto per l'impiego d'un processo meno ricercato che quello dell'affresco italiano e per l'uso di colori vegetali e minerali con riprese a tempera e a secco, il che disgraziatamente ne ha reso facile il deperimento. La tavolozza usata ad A., è dominata da bistri, bruni, ocre, gialli: pochi verdi, qualche azzurro, un violetto e una gamma di terre rosse la completano (v. Tav. a colori).
Di tutte le altre zone antiche dove si sono ritrovate pitture murali (Bagh nel Gwalior, Sigiriya nell'isola di Ceylon, Sittanavasal nel Deccan, Badami ed Ellora nel paese di Maratha), A. senza dubbio ha il maggior numero di capolavori (anonimi come tutti quelli di questo periodo), i quali rappresentano con maggior maestria il gusto e le tendenze dell'arte Gupta.
Bibl: J. Burgess, Notes on the Buddha Rock-Temples of A., Bombay 1879; J. Griffiths, The Paintings in the Buddhist Cave Temples of A. Khandesh, Londra 1896-1897; Lady Herringham, The A. Frescoes, Londra 1915; M. C. Dey, My Pilgrimage to A. and Bagh, Londra 1925; V. Goloubew, Documents pour servir à l'étude d'A.: Les peintures de la première grotte, Parigi 1927; G. Yazdani, A.: The Color and Monochrome Reproductions of the A. Frescoes, Londra 1930-1955.
(R. Grousset - J. Auboyer)