al-Ghazzali
(o al-Ghazālī; Algazel negli scolastici latini) Teologo, mistico e giurista musulmano (Ṭūs nel Khorāsān 1058 - ivi 1111). Nell’anno 1091 al-Gh. insegnò nella madrasa Niẓāmiyya, dove divenne uno dei personaggi più eminenti. Nel 1095, in seguito a una profonda crisi (forse anche per vicende politiche o per una malattia nervosa), abbandonò la sua carriera di giurista e teologo per dedicarsi a una vita tutta rivolta al sufismo, nell’ambito del quale al-Gh. rappresentò l’iniziatore dell’ala moderata. In questi anni scrisse il suo capolavoro Iḥyā’ ‛ulūm al-dīn («Rivivificazione delle scienze religiose»; trad. it. Il concerto mistico e l’estasi) che, sulla base di un’originale sistemazione del sapere, tratta delle pratiche del culto, dei costumi sociali, dei vizi e delle virtù. Ripresa l’attività universitaria, scrisse al-Munqidh min al-ḍalāl («La liberazione dall’errore»), in cui, ripercorrendo il proprio cammino conoscitivo, riprende e critica diverse posizioni teologiche. Oltre al suo interesse per la teologia dogmatica – nel «Giusto termine della credenza» (al-Iqtiṣād fī al-i‛tiqād) emerge la sua adesione al kalām (➔) asharita – vanno ricordati i suoi trattati di diritto (fiqh). Nel dicembre del 1111 al-Gh. si ritirò a Ṭūs, dove fondò una khanqa, un istituto di accoglienza per i ṣūfī, in cui venivano formati i giovani. In complesso l’opera di al-Gh. favorì il definitivo accoglimento del sufismo moderato entro l’ortodossia e ravvivò con un’esperienza mistica la religiosità ufficiale, che minacciava di inaridirsi in un puro formalismo. La sua riflessione mistica e teologica passò però sempre al vaglio le tesi filosofiche, di cui al-Gh. fu profondo conoscitore. E – come la critica sta sempre più rilevando – il suo pensiero teologico fu ampiamente influenzato dalla filosofia. al-Gh. professò una sorta di scetticismo, di cui intese far beneficiare la religione. Prese di mira le teorie dell’eternità del mondo (cui oppose la tesi coranica della creazione quale opera di un Dio personale), della processione delle sfere (cui contrappose la teoria dell’onnipotenza di Dio e della sua libertà d’azione) e della causalità naturale (che reinterpretò alla luce della libertà divina e della conseguente possibilità del miracolo). Le critiche alle tesi della falāsifa («filosofia»), intrinsecamente contraddittoria e accusata nelle sue estreme posizioni di infedeltà (kufr), sono espresse nel Tahāfut al-falāsifa («L’incoerenza dei filosofi»), terminato nel 1095. L’introduzione a questo scritto, i Maqāṣid al-falāsifa («Le intenzioni dei filosofi»), in cui al-Gh. si limita a esporre le tesi filosofiche, senza confutarle, e utilizza probabilmente uno scritto avicenniano riconducibile al Libro della scienza (in persiano: Dānesh nāmeh), fu nota al mondo latino già nei secc. 12° e 13° e molto apprezzata. al-Gh. venne assimilato così agli stessi filosofi che intese confutare. A «L’incoerenza dei filosofi» rispose Averroè con L’incoerenza dell’incoerenza (in lat. Destructio destructionis, 1328).