Al-Kuwait
di Albertina Migliaccio
Stato dell'Asia sud-occidentale. Al censimento del 1995 la popolazione era di 1.575.983 ab., per il 50% circa concentrati nell'agglomerato urbano della capitale al-Kuwait. Nel 2005 stime anagrafiche attribuivano al Paese circa 2.687.000 ab., oltre il 50% dei quali sono immigrati ed entrati nel Paese dopo la guerra del Golfo. L'economia di questo piccolo Stato semidesertico è sempre strettamente connessa con la produzione e la commercializzazione di petrolio e gas naturale. Nel 2004 sono state estratte circa 120 milioni di t di greggio e oltre 9,6 milioni di m3 di gas naturale e questa cospicua quantità di risorse contribuisce per circa il 50% alla formazione del PIL, per il 95% alle entrate valutarie derivanti dalle esportazioni e per il 75% alle entrate dello Stato. Il Paese, date le scarsissime risorse agricole, deve ricorrere all'importazione pressoché integrale di generi alimentari, come pure dell'acqua necessaria alla vita quotidiana (in alternativa viene prodotta per mezzo della dissalazione). L'industria, con l'esclusione del comparto petrolifero, e quindi della raffinazione e della produzione di fertilizzanti, ha un peso irrilevante, mentre è in forte aumento il contributo fornito dal settore dei servizi. Dopo la crisi degli anni Novanta il reddito del Paese è tornato a crescere, sostenuto dagli alti costi del petrolio sui mercati internazionali. La bilancia commerciale è solidamente attiva, ciò permette allo Stato di assicurare ai propri cittadini servizi sociali molto evoluti, ma anche sovvenzioni per l'approvvigionamento alimentare e per l'acquisto di beni immobili. Il Fondo di riserva per le generazioni future, istituito con lo scopo di tutelare gli abitanti dai rischi derivanti dall'ineluttabile esaurimento delle risorse petrolifere, dopo il rifinanziamento effettuato alla fine del conflitto con l'Irāq viene costantemente alimentato. Le previsioni per il futuro prevedono un calo delle entrate sia per l'impossibilità di aumentare la produzione, anche se sono in corso trattative per lo sviluppo di nuovi campi nel Nord del Paese, sia per il contenimento della domanda internazionale legata all'alto costo del greggio.
di Silvia Moretti
Alla fine del 20° sec. nell'emirato del K. si registrava, ancora una volta, la secca sconfitta delle istanze liberali e riformiste. Nel novembre 1999, infatti, fu respinto di misura il decreto per estendere il voto alle donne, ma la battaglia per le riforme non si arenò, incentrandosi sull'incostituzionalità dell'articolo che escludeva l'elettorato femminile dal voto e dall'iscrizione nelle liste dei candidati. Anche la libertà di stampa fu minacciata dalle continue intimidazioni e censure del governo verso gli organi di informazione.
Nel luglio 2003 le elezioni legislative videro significativamente ridimensionati i candidati liberali e indipendenti, mentre ottennero un discreto successo gli islamisti più radicali e i candidati filogovernativi che riguadagnarono posizioni rispetto alle precedenti elezioni. Negli anni successivi la battaglia per il voto alle donne procedette a rilento, mentre si fecero spesso tesi i rapporti tra il governo e il Parlamento. Il 16 maggio 2005 quest'ultimo finalmente approvò la legge che concedeva il voto alle donne e la loro eleggibilità in Parlamento.
Nel gennaio 2006, la morte dell'emiro al-Šayẖ ǧābir al-Aḥmad al-Ṣabāḥ, al potere dal 1977, ma già sofferente da alcuni anni, delineò una crisi nella successione al trono. Il principe ereditario al-Šayẖ Sa̔d al-̔Aldallād al-Sālim al-Ṣabāḥ, avanti negli anni e in condizioni precarie di salute, venne cancellato dalla successione in favore dell'allora primo ministro in carica al-Šayẖ Ṣabāḥ al-Aḥmad al-ǧābir al-Ṣabāḥ, di fatto già reggente nel Paese dall'inizio del 21° sec. e appartenente allo stesso ramo della famiglia reale dell'emiro deceduto. Il nuovo governo, che vedeva per la prima volta una donna tra i ministri in carica, scontentò i riformatori per l'esclusione dal consiglio di un loro esponente di spicco.
Pochi mesi dopo l'insediamento del governo, un'accesa polemica accompagnò l'iter della proposta di legge che riduceva drasticamente il numero delle circoscrizioni elettorali. Appoggiata dai parlamentari liberali, islamisti e nazionalisti, che la consideravano un'arma per combattere i fenomeni di corruzione e compravendita del voto, la legge fu osteggiata da molti potenti membri del governo, e fu sul punto di provocare una crisi istituzionale. Sciolta d'autorità l'Assemblea nazionale, l'emiro indisse nuove elezioni per il mese di giugno, elezioni che fecero registrare il successo con una trentina di seggi della coalizione riformista che, seppur attraversata da profonde lacerazioni, seppe mantenersi unita. Nel mese di luglio, dopo la formazione di un nuovo governo, l'Assemblea nazionale, a schiacciante maggioranza, votò la riduzione a 5, dalle precedenti 25, delle circoscrizioni elettorali. L'esito della crisi ancora una volta sottolineò il ruolo centrale del Parlamento nell'emirato, che a differenza di quanto avveniva nelle altre monarchie del Golfo, ricopriva un'importante funzione istituzionale nella vita politica del Paese.