al-Mūmyā
(Egitto 1968, 1969, La mummia, colore, 105m); regia: Chadi Abd el-Salam; produzione: Ente Generale del Cinema; sceneggiatura: Chadi Abd el-Salam; fotografia: Abdu Al Aziz Fahmi; montaggio: Kamal Abu Al Ila; scenografia: Salah Marei; costumi: Chadi Abd el-Salam; musica: Mario Nascimbeni.
1881. Durante una riunione degli effendi, Maspero presenta ai suoi collaboratori la riproduzione di un papiro funerario trafugato dall'Egitto, per essere contrabbandato, cinque secoli prima e appartenente a Pinedjem I della 21° dinastia. È inevitabile che qualcuno conosca il luogo segreto dalle parti di Tebe dove sono custodite le tombe saccheggiate di quella dinastia. Ahmed Kamel, uno degli effendi presenti alla riunione, propone di recarsi a Tebe per compiere un'indagine. A Tebe, in occasione della cerimonia funebre di Selim, capo di una potente tribù di pastori, lo zio rivela ai due figli del suo defunto fratello un segreto trasmesso di generazione in generazione: il loro popolo ha sempre vissuto commerciando i tesori delle tombe dei faraoni e gli attuali capitribù sono i soli a conoscerne il nascondiglio. I due fratelli sono sconvolti: il maggiore rifiuta di continuare un'attività che trova scandalosa. La madre lo maledice e ben presto egli viene assassinato. Nel frattempo sopraggiungono gli effendi, a bordo di un battello. Wanis, il fratello più giovane, è sedotto da una donna, inviata come esca dai cugini per corromperlo, ma non cede alle sue provocazioni e neppure alle torture degli uomini del mercante Ayoub, che controlla il traffico degli oggetti sacri. Il giovane riesce infine a raggiungere Ahmed Kamel e a rivelargli tutto. Gli effendi scoprono i tesori di cinque dinastie e li salvano, trasportandoli sulla nave. Gli uomini della tribù sono impotenti. Wanis rimane solo, abbandonato, perduto.
Opera d'esordio di Chadi Abd el-Salam, al-Mūmyā è anche l'unico lungometraggio firmato dal regista. Un film fondamentale per la storia del cinema egiziano, inscritto in una ricerca sperimentale che disorientò prima la critica e poi il pubblico. Realizzato con molte difficoltà produttive, al-Mūmyā uscì nelle sale solo nel 1975: i produttori continuavano a rimandarne la distribuzione, timorosi che gli spettatori non lo avrebbero gradito. Fu solo dopo i numerosi successi nei festival internazionali (a partire da quello di Londra) che finalmente si decisero a programmarlo, anche se in un solo cinema, per ragioni economiche (l'investimento pubblicitario fu minimo) e di disponibilità delle sale, non politiche o di censura.
Ispirato alla scoperta del nascondiglio delle mummie a Deir el Bahri nel 1881, al-Mūmyā è opera labirintica che si immerge nei cunicoli delle piramidi, nei sotterranei delle montagne, e ancor prima nelle stanze dove si radunano i rappresentanti degli effendi. Il film è dotato di un potere straordinario che, ogni volta, lo rende fonte di nuove scoperte. La soggettività dello sguardo dell'autore si manifesta per reinterpretare l'oggettività del punto di partenza, quella che si riferisce ai fatti storici. Il mistero, vero e proprio personaggio aggiunto, è qualcosa che non viene detto a parole, è un sentimento e una percezione che si insinua nei luoghi e nei corpi, che li impregna di uno strato continuamente sospeso tra l'invisibile e il visibile. Le coordinate spazio-temporali si perdono in quel set fatto di montagne e sabbia, di deserto e vento, di statue che occupano posti all'interno delle inquadrature come fossero scenografie filmate con movimenti avvolgenti e fluidi (in evidente sovrimpressione con l'opera di un altro esemplare e appassionato sperimentalista, il francese Jean-Daniel Pollet). In al-Mūmyā la visione è una questione teorica che si pone su più livelli, coinvolgendo anche la scrittura dei geroglifici che, fin dall'antefatto, è collocata in stretta relazione con le parole e i gesti dei personaggi, fonte visiva e misterica.
Come in tutto il cinema di Chadi Abd el-Salam, si manifesta un profondo rapporto con l'architettura e la scultura, con gli spazi che diventano luoghi della dimensione geometrica, della tensione astratta e fisica dalla quale far riaffiorare l'età dei faraoni, la magnifica ossessione del regista, coltivata per buona parte della sua vita e del suo lavoro, espansa in quattro dei sei mediometraggi successivi ad al-Mūmyā: Shakwa al-fallāh al fasīh (I lamenti del contadino eloquente, 1970) e il trittico Kursi Tutankhamn al ḍahabi (La sedia d'oro di Tutankhamun, 1982), al-Ahrām (Le piramidi, 1984), ῾An Ramsis (A proposito di Ramsis, 1985). Un'ossessione che avrebbe nuovamente dovuto trovare posto nel lungometraggio con Akhnatûn, sul primo faraone monoteista, progetto iniziato nel 1976 e bloccato dalla morte dell'autore dieci anni dopo. Inoltre, al-Mūmyā sgretolava molte regole del cinema egiziano tradizionale: non c'erano star (solo la splendida Nadia Lotfi, in un piccolo ruolo trovatole da Abd el-Salam su insistenza del direttore della compagnia cinematografica statale, che continuava a lamentarsi perché nel film non figuravano nomi famosi) e tantomeno scene di danza o di melodramma; altra scelta all'epoca non convenzionale, che aumentò il budget a disposizione, fu quella di effettuare molte riprese fuori dagli studi.
Fondamentale, alla fine degli anni Sessanta, fu la collaborazione di Chadi Abd el-Salam con Roberto Rossellini, in Egitto per girare alcune parti del film televisivo La lotta dell'uomo per la sua sopravvivenza (1967). Abd el-Salam, scenografo sul set di Rossellini, gli espose il progetto di al-Mūmyā ricevendo consigli e suggerimenti sia in fase di preparazione (con la lettura delle varie stesure della sceneggiatura) sia di post-produzione (che fu fatta a Roma, dallo sviluppo al montaggio alla musica, quest'ultima firmata da Mario Nascimbeni, che rielaborò in chiave moderna una melodia tradizionale turca).
Interpreti e personaggi: Ahmed Marei (Wanis), Abdel Mon'im Aboulfoutouh (lo zio), Abdel Adhim Abdel Hak (il vicino), Ahmed Hijazi (il fratello), Zouzou Hamdi Al Hakim (la madre), Ahmed Khalil (il primo cugino), Hilmi Hilali (il secondo cugino), Mohamed Abderrahmane (il terzo cugino), Ahmed Anane (Albadawi Bek), Mohamed Khairi (Ahmed Kamel), Gabi Kiraz (Maspero), Chafik Noureddine (Ayoub), Mohamed Nabil (Mourad), Nadia Lotfi (Zena).
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Onde del desiderio. Il cinema egiziano dalle origini agli anni Settanta, a cura di M.S. Bazzoli, G. Gariazzo, Torino 2001.