Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra
. Questa canzone-sestina (Rime CI) è citata due volte nel De vulgari Eloquentia, con richiamo al poeta provenzale Arnaldo Daniello: la prima volta come esempio di stanza di canzone indivisa, cioè senza ripetizione di alcuna modulazione e senza diesis, del quale genere di stanza usus est fere in omnibus cantionibus suis Arnaldus Danielis, et nos eum secuti sumus cum diximus ‛ Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra ' (II X 2); la seconda, come esempio di stanza senza consonanza di rime all'interno di essa: huiusmodi stantiis usus est Arnaldus Danielis frequentissime, velut ibi, ‛ Sem fos Amor de donar '; et nos dicimus, ‛ Al poco giorno ' (II XIII 2). Non è citata invece, e sarebbe stato non meno opportuno, come esempio della struttura metrica che Arnaldo aveva adottato nella canzone-sestina Lo ferm voler q'el cor m'intra, e che D. aveva evidentemente imitato facendola di sei stanze di sei versi endecasillabi ciascuna con sei parole-rima che, dalla seconda stanza in poi, debbono ripetersi secondo un ordine prestabilito (retrogradatio cruciata) e un congedo di tre versi in ognuno dei quali riappariranno due delle sei parole-rima.
Fra i codici di più antica tradizione manoscritta che contengono la sestina Al poco giorno, ricordiamo il codice Martelli, il Chigiano L VIII 305, il Magliabechiano VI 143, il Veronese 445, i due autografi del Boccaccio (Chigiano L V 176, Toledano 104, 6), dove è al settimo posto, seguita da Amor, tu vedi ben e da Io son venuto, nella serie di 15 canzoni che comincia con Così nel mio parlar. Fu stampata in appendice all'edizione veneziana di Pietro Cremonese della Commedia (1491) insieme con le altre 14 canzoni della tradizione Boccaccio, che qui corrono dal n. 3 al n. 17. Nell'edizione Giuntina del 1527 è nel Libro III della sezione dantesca, al 7° posto, seguita da Io son venuto e da Amor, tu vedi ben, nella serie di 9 " canzoni amorose e morali ", che comincia con Così nel mio parlar. Nell'edizione del 1921 il Barbi la collocò col n. CI al secondo posto, dopo Io son venuto e prima di Amor, tu vedi ben, nel Libro IV che contiene soltanto le " Rime per la donna pietra ", con Così nel mio parlar al quarto e ultimo posto.
L'ordine proposto dal Barbi e la cronologia connessa con l'interpretazione della perifrasi astronomica con cui si apre la canzone Io son venuto (prima dell'esilio, intorno al 1296-98), sono comunemente accettati; ma, quanto all'ordine, recentemente il Pézard ha preferito ritornare a un 'antica sistemazione con Così nel mio parlar al primo posto, e, quanto alla cronologia, la collocazione al tempo dell'esilio ha avuto non pochi sostenitori, fra i quali il Serafini, il Santi, il Torraca, il Ciafardini, lo Zonta, il Santangelo, il Misciatelli. Scarso interesse suscita ormai nella critica moderna la questione dell'identificazione della donna oggetto dell'esasperato amore di D. in questo gruppo di rime (l'Imbriani era convinto che fosse una sola persona con Pietra di Donato di Brunaccio, moglie di Francesco, fratellastro di D.); ma, rimandando alla voce Rime per più ampie notizie sull'argomento, sarà utile ricordare in questa sede che, fra i sostenitori dello spostamento della cronologia al tempo dell'esilio, c'è chi include fra le rime petrose anche la canzone Amor, da che convien, e perciò identifica la donna pietra con l'alpigiana del Casentino vi sono critici che ne fanno una donna sola con la Donna gentile, con o senza significato allegorico; altri critici ne fanno una donna sola con la pargoletta di I' mi son pargoletta, Chi guarderà già mai, ecc. Fra tanti dissensi è confortante e di grande importanza la concordia con cui la critica moderna riconosce che, con le rime petrose, D. ha sperimentato, con risultati critici che incideranno su particolari aspetti dello stile della Commedia, un nuovo stile, dopo quello dello stilnovo e l'altro delle rime dottrinali, all'insegna di un 'approfondita conoscenza della poesia provenzale in genere, e di quella di Arnaldo Daniello in particolare, al quale D. tributerà un significativo ed esaltante omaggio nel canto XXVI del Purgatorio.
Componendo la prima stanza, D. ha potuto scegliere liberamente le sei parole-rima e disporle a suo piacere nell'ordine da un verso all'altro (ombra, colli, erba, verde, petra, donna; se, com'è probabile, Io son venuto fu composta prima di Al poco giorno, D. aveva già usato le ultime due come parole-rima nel distico finale, rispettivamente, della prima e della seconda stanza di quella canzone, e altre tre, ombra, erba, verde, in rima, rispettivamente, ai vv. 9, 31, 42), adattando l'insieme a proemio con accenno dei motivi che saranno svolti nel seguito: il tempo stagionale, lo spazio delimitato da colli, il verde dei prati, la donna-pietra, dura e inaccessibile. Dalla seconda stanza in poi, il poeta opera dentro i limiti obbligati non solo delle sei parole-rima già stabilite, ma anche dell'ordine con cui esse vanno disposte, e dello svolgimento dei temi accennati nella prima stanza-proemio.
Rispetto alla sestina Lo ferm voler di Arnaldo Daniello, che nell'invenzione della nuova struttura metrica attuava rispondenze della sua ossessiva passione amorosa, questa di D. non poteva non risentire delle conseguenze che il modello imponeva alla sua vigile attenzione per la difficile esecuzione tecnica. La consapevolezza dell'impegno formale, mentre allentava la concentrazione sulla fissità di sentimenti chiusi ed esasperati, all'espressione dei quali D. si sentiva disposto, apriva nello stesso tempo la valvola a varietà di paesaggi e di immagini che davano aria e luce allo stato ossessivo della passione amorosa. Si veda nella seconda stanza, destinata a presentare la costante freddezza e durezza della donna in corrispondenza con la costante vitalità del desio amoroso del poeta presentata nella prima stanza, l'apertura al dolce tempo che riscalda i colli, e al paesaggio che questi offrono rivestendosi di fioretti e d'erba. E anche nelle stanze successive è evidente la prevalenza dei temi imperniati sulle parole-rima colli, erba, verde: l'immagine della donna inghirlandata di verde che si mescola con bell'effetto al crespo giallo dei capelli; il paesaggio in movimento di piani e di colli percorsi in una vana fuga dal poeta per potere scampar da cotal donna (v. 22); il fascino irresistibile della donna vestita a verde; la disperata richiesta d'amore in un bel prato d'erba / ... chiuso intorno d'altissimi colli (vv. 28, 30). Il motivo della durezza della donna risulta attenuato perfino nella stanza (la sesta) dove è più decisamente affermato, con quel ricorso a un imprestito di derivazione classica: Ma ben ritorneranno i fiumi, ecc. Appare così una conclusione naturale quella dei tre versi del congedo (Quandunque i colli fanno più nera ombra, / sotto un bel verde la giovane donna / la fa sparer, com'uom petra sott'erba) in cui ritornano tutte e sei le parole-rima, ma solo per mettere l'accento sulla luminosità del bel verde, che emana dalla donna e che fa sparire l'ombra dei colli dovunque essi la facciano più nera.
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