Al-Qaida dopo bin Laden
A dieci anni dall’11 settembre 2001 molte sfide attendono al-Qaida. Perso il suo fondatore, Osama bin Laden, quel poco che resta dell’organizzazione centrale deve trovare una nuova leadership. E non si tratta soltanto di nominare un capo ma di creare un apparato che funzioni. Non sarà facile. Chiunque indosserà il mantello lasciato da bin Laden è difficile che possa avere lo stesso carisma e la capacità di unificare. Per questo alcuni degli ideologi hanno ipotizzato una soluzione pragmatica: «Al-Qaida non è più un’organizzazione gerarchica basata su nomi specifici, ma piuttosto una missione condivisa da tutti i mujaheddin che compongono la umma, la comunità musulmana».
Questo permetterà di superare – in parte – le divisioni che sono emerse dopo l’uccisione di Osama, lasciando a una serie di gregari il compito di indirizzare chi ancora crede nel progetto. Nel contempo i collaboratori di bin Laden cercheranno di presentarsi come una ‘avanguardia’ che indica la strada, mentre concederanno libertà d’azione agli affiliati.
Una scelta obbligata. Con pochi uomini a disposizione, la al-Qaida centrale continuerà a concentrarsi sulla propaganda, grazie anche a Internet. Con i loro interventi diffusi via web, i messaggeri della jihad manterranno acceso il fuoco ‘rivoluzionario’. Quanto alle operazioni militari o terroristiche il peso passerà sulle spalle di alleati, gruppi associati e persino singoli individui.
La futura leadership, oltre a guardarsi le spalle, dovrà preservare il patto con i talebani afghani e pachistani. Senza la copertura di questi complici preziosi al-Qaida rischia di perdere santuario e protezioni. Due requisiti per mantenere il minimo di operatività. Un asse contro il quale manovreranno sia gli Stati Uniti sia attori regionali come l’Arabia Saudita.
Mantenendo alto il tono nell’arena virtuale, al-Qaida vuol dare l’impressione che sia ancora lei a ispirare quanti usano la sua etichetta nei diversi scacchieri, dallo Yemen all’Algeria. Un legame difficile da stabilire e che si presta a valutazioni contrastanti, ma che consente ai qaidisti di essere presi sul serio.
La riduzione di peso dei capi storici potrebbe poi rafforzare una tendenza, emersa in questi ultimi anni, che raccoglie tre fronti di minaccia. La prima è quella degli affiliati: i qaidisti yemeniti, quelli somali o gli algerini. Uniscono agenda locale e obiettivi internazionali; sfruttano l’instabilità che si è creata in molti paesi; provano ad agganciare reclute anche in Occidente.
È presto per dirlo ma la ‘primavera araba’ potrebbe aprire loro altre finestre di opportunità.
La seconda minaccia è rappresentata da fazioni le cui basi sono al confine afghano-pachistano. Di nuovo, il loro focus è prevalentemente regionale ma se possono allungano il tiro contro il ‘nemico lontano’, inteso come gli Stati Uniti e in seconda linea gli europei.
Sono gruppi violenti, bene addestrati, che godono di appoggi in ambienti ufficiali pachistani.
Infine i lupi solitari.
Nei video diffusi nel biennio 2010-11, i propagandisti hanno insistito sulla necessità della jihad individuale, meglio se condotta nei ‘paesi dei crociati’.
Il militante si autoindottrina, si organizza e passa all’azione come e quando crede.
Un fenomeno temuto dai servizi di sicurezza, perché difficile da intercettare, ma al tempo stesso un segnale del fatto che per i terroristi è diventato più complicato infiltrare delle cellule di fuoco. In conclusione, al-Qaida appare più debole e in crisi di identità, privata del suo faro storico, superata dalle rivolte popolari che hanno fatto saltare i dittatori in Nord Africa.
E probabilmente è entrata in una fase di declino. Non sarebbe, però, una sorpresa se il qaidismo venisse sostituito da qualcosa dai contorni per ora indecifrabili.
Una realtà meno globale, più frammentata, ma comunque in grado di fare danni.
Il terrorismo, in certe aree, è endemico e Osama, pur sconfitto, ha insegnato come sia possibile mettere in crisi un Occidente sempre meno disposto al sacrificio.
Lo sceicco del terrore
Sceicco di origine saudita (1957-2011). Nato a Riyad, in Arabia Saudita, da madre siriana, diciassettesimo di 52 fratelli e figlio di un facoltoso imprenditore originario dello Yemen del Sud, Muhammad ibn Awad ibn Ladin (attivo nel settore delle costruzioni sotto il beneplacito della famiglia reale saudita), alla morte di quest’ultimo ne ereditò un notevole patrimonio. Conseguito il diploma in ingegneria civile all’Università di Gedda (1979), abbracciò la causa dei mujaheddin nella resistenza contro l’invasione sovietica in Afghanistan (1979-89) creando il Maktab al-Khidmat (MAK), un organismo che provvedeva, grazie anche all’appoggio finanziario e logistico della CIA, al reperimento di fondi, armi e combattenti per la guerra afghana.
Alla fine degli anni Ottanta, bin Laden fondò l’organizzazione terroristica al-Qaida (nella quale confluirono molti dei militanti del MAK): l’obiettivo era il finanziamento, l’addestramento e la promozione della guerriglia islamica contro il governo afghano sostenuto dalle forze sovietiche. Dopo il ritiro dell’URSS dal territorio afghano (1989) e la guerra del Golfo (1990-91), al-Qaida, costituita da militanti prevalentemente di origine araba, rivolse la propria iniziativa contro gli Stati Uniti, contando su una rete internazionale di sostegno.
Oltre che dal patrimonio personale di bin Laden, si ritiene che le principali fonti di finanziamento siano provenute dalle organizzazioni islamiche occidentali, da fondi americani e sauditi originariamente destinati alla guerriglia afghana, da contributi di ricchi uomini d’affari. Dopo il ritorno di bin Laden in Afghanistan nel 1996 (aveva lasciato il paese nel 1989), al-Qaida accentuò il suo legame con il regime dei talebani. L’organizzazione è ritenuta responsabile di numerosi atti terroristici, tra i quali gli attentati alle ambasciate statunitensi in Tanzania e Kenya nell’agosto 1998 (per i quali bin Laden smentì il proprio coinvolgimento) e gli attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington. Considerato il mandante morale e materiale della strage, bin Laden diventò il nemico principale degli USA. Solo il 1° maggio 2011, dopo un decennio di ricerche e grazie a mirate operazioni di intelligence, le forze militari statunitensi hanno individuato il suo rifugio, nei pressi di Islamabad.
La promessa (mantenuta) di Obama
Durante la campagna elettorale, Barack Obama aveva promesso ripetutamente (per esempio durante un dibattito televisivo tenutosi il 7 ottobre 2008) che in caso di necessità avrebbe autorizzato l’uccisione di bin Laden dovunque si trovasse, con o senza il consenso dello Stato in cui fosse stato scoperto. In effetti, l’operazione Neptune Spear è stata portata a termine senza preavvisare il Pakistan, nel timore che potessero verificarsi fughe di notizie tali da compromettere il buon esito del raid.
Al Zawahiri, il successore
Nel giugno 2011 è stato annunciato che il posto di bin Laden a capo di al-Qaida sarà preso dal suo vice, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri (n. Il Cairo, 1951). Arrestato e forse torturato con l’accusa di essere coinvolto nell’uccisione del presidente egiziano Sadat (1981), al-Zawahiri ha lasciato l’Egitto dopo essere stato scarcerato, per recarsi prima in Arabia Saudita e poi in Pakistan, dove avrebbe incontrato bin Laden, a Peshawar. Autore della fatwa del 1998 con cui al-Qaida dichiarava guerra a «ebrei e crociati», nonché del manifesto ideologico dell’organizzazione terrorista (il libro Cavalieri sotto la bandiera del profeta, pubblicato nel 2001), al-Zawahiri è però generalmente considerato privo del carisma di bin Laden.
Ripercussioni in Pakistan
L’uccisione di bin Laden ha avuto ripercussioni all’interno del Pakistan che non si sono esaurite negli attacchi terroristici, interpretati come ‘vendette’ per la morte del capo di al-Qaida. In particolare, si sono raffreddati i rapporti tra i servizi d’informazione e di sicurezza americani e pachistani, come ha mostrato l’arresto di alcuni cittadini pachistani accusati di aver fornito informazioni agli Stati Uniti. A livello politico il Pakistan si è inoltre riavvicinato alla Cina, comprando un numero significativo di aerei da caccia cinesi e offrendo a Pechino l’opportunità di creare una base navale nel porto di Gwadar.
Resta quindi incerto il futuro dell’alleanza tra Stati Uniti e Pakistan; alleanza che risale agli anni immediatamente successivi alla fondazione di quest’ultimo e che ha avuto non poca importanza sia durante la Guerra fredda sia in tutto il periodo della cosiddetta ‘guerra al terrore’, iniziata nel 2001.
I ‘lupi solitari’, un segno di debolezza?
La strategia dei ‘lupi solitari’, cioè la rivendicazione di azioni intraprese da singoli terroristi che operano autonomamente da al-Qaida, ma facendo sempre riferimento a essa, è stata utilizzata in varie occasioni, come gli attacchi contro i militari americani a Fort Hood, nel novembre 2009, e all’aeroporto di Francoforte, nel marzo 2011. Gli analisti la interpretano però come un sintomo di debolezza militare: raccomandare azioni isolate significa, di fatto, riconoscere che il nucleo dell’organizzazione è messo in difficoltà dall’azione dell’antiterrorismo, e che costituisce un rischio collegarsi a esso per colpire bersagli occidentali. Questa strategia rende peraltro problematico, se non impossibile, organizzare attacchi di vasta portata come quelli dell’11 settembre 2001 o quelli del 1998 contro le ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania.
La parola
Il termine italiano drone (pl. droni) viene usato per indicare quelli che tecnicamente sono denominati ‘aerei senza pilota’ (Unmanned Aerial Systems, UAV). Si tratta di aeromobili senza equipaggio, pilotati a distanza, usati in missioni di ricognizione e talvolta armati per operazioni di attacco contro bersagli al suolo. Più volte questi aerei sono stati impiegati contro presunti terroristi che si trovavano al di là del confine pachistano ed erano quindi irraggiungibili dalle forze terrestri della NATO schierate in Afghanistan.
I libri
Manuel Castells, Il potere delle identità, 2003
Jason Burke, Al-Qaeda. La vera storia, 2004
Jonathan Randal, Osama, 2005
Rod A. Beckstrom, Ori Brafman, Senza leader. Da internet ad Al Qaeda: il potere segreto delle organizzazioni a rete, 2007
Guido Olimpio, Alqaeda.com, 2008
Daveed Gartenstein-Ross, Why Al Qaeda is winning, 2011.