ALA (dal lat. ala; fr. aile; sp. ala; ted. Flügel; ingl. wing)
Le ali sono appendici del corpo degl'insetti e degli uccelli, che servono alla locomozione nell'aria. Le ali degl'insetti, morfologicamente, non sono da considerarsi come estremità trasformate, ma come appendici dorsali costituite da evaginazioni della parete del corpo. Parliamo qui soltanto dell'ala degli uccelli, rimandando per le ali degl'insetti all'articolo che concerne questi animali; così pure rinviamo ai rispettivi articoli per quello che riguarda la trasformazione della mano de) pipistrelli (Chirotteri) in un organo di volo molto diverso da quello degli uccelli, il patagio di alcune proscimmie, di qualche marsupiale, di certi roditori, l'ala dei fossili Pterosauri (Pterodattili) o sauri volanti.
Negli uccelli le ali sono costituite dai membri o arti anteriori o estremità anteriori (corrispondenti alle estremità anteriori degli altri vertebrati tetrapodi e alle braccia dell'uomo), trasformate in organi del volo e profondamente modificate per questa loro trasformazione. I cambiamenti più profondi, e quindi più notevoli, sono avvenuti nella mano. Tutta l'organizzazione del corpo degli uccelli è dominata dalla loro attitudine al volo, e ciò si riflette in particolar modo su quelle parti che sono gli strumenti essenziali per tale caratteristica funzione, la quale distingue gli uccelli da tutti gli altri animali e si può esplicare appunto in virtù della struttura delle ali. Osservando l'ala dall'esterno, non vi sapremmo subito riconoscere la forma propria degli arti anteriori dei vertebrati tetrapodi, ai quali pure gli uccelli appartengono, e soprattutto non riusciremmo a scorgervi la caratteristica configurazione della mano pentadattila. Le dita non sporgono e non sono visibili esternamente; a un esame superficiale la loro posizione può essere determinata unicamente dall'esistenza, quando vi sono, di unghie di artigli. Vediamo soltanto che l'ala è pieghevole, formata, cioé, di più segmenti che si possono flettere ed estendere l'uno sull'altro in due punti, all'articolazione del gomito e della mano, e portano le penne, di cui l'ala è ricoperta. Di queste alcune sono notevolmente sviluppate e costituiscono col loro insieme, quando l'ala è espansa (aperta) e messa in moto dai potenti muscoli pettorali, il piano di sostegno e di progressione dell'animale nell'aria. L'arto anteriore serve quindi precipuamente di sostegno all'ala propriamente detta, che è da riferirsi a produzioni del tegumento. Quei segmenti corrispondono alle tre diverse parti di cui l'arto anteriore degli altri vertebrati terrestri, compreso l'uomo, si compone: ossia al braccio (parte prossimale, più vicina al tronco), all'antibraccio o avambraccio (parte media) e alla mano (parte distale) col rispettivo scheletro: omero, radio e ulna e le varie ossa della mano (carpo, metacarpo e falangi). Le tre porzioni, secondo la nomenclatura usata nell'indicare la costituzione generale degli arti dei vertebrati tetrapodi, si chiamano rispettivamente stilopodio, zeugopodio e autopodio. Questo ultimo, la mano, distinto poi in basipodio, metapodio, e acropodio. Appunto con lo studio dello scheletro e poi, più specialmente, con lo studio dello sviluppo embrionale dell'ala noi ci possiamo formare un adeguato concetto delle modificazioni a cui in essa è andato incontro il piano di architettura generale e fondamentale, che sta a base della costruzione dell'arto anteriore di tutti i tetrapodi. L'arto anteriore degli uccelli, in confronto con quello di altri vertebrati superiori, appare limitato nella sua funzione, perché alle sue parti, ai suoi segmenti scheletrici, sono permessi soltanto i movimenti di estensione e di flessione in un determinato piano. Infatti, mentre i segmenti scheletrici dell'ala possono piegarsi l'uno sull'altro nel piano dell'ala, e l'ala medesima può pertanto facilmente estendersi e flettersi in questo piano, le condizioni anatomiche delle loro connessioni articolari non permettono alle singole parti, cioè alle singole ossa dell'arto, alcun movimento o flessione in alto e in basso rispetto al piano dell'ala. Ma precisamente in ciò la solidità o, meglio, la rigidezza dell'ala nel volo trova le sue principali condizioni. E quindi lo scheletro dell'ala, quantunque poco sviluppato in confronto con quanto sembrerebbe richiedere la forza esplicata da questo membro, forma come un'asta rigida che può esser mossa, sull'articolazione della spalla, dai muscoli del volo, cioè dai pettorali. Nell'articolazione del gomito e nell'articolazione tra antibraccio e mano la pieghevolezza (la flessione) è molto grande, in modo da permettere il ripiegamento e il raccoglimento delle ali quando si chiudono. La mano gode soltanto di movimenti di abduzione (estensione) e di adduzione (flessione); le articolazioni delle falangi delle dita sono pochissimo flessibili, solo quanto basta perché la mano sia elastica.
Le ali, negli uccelli, sono d'ordinario di notevole lunghezza, segnatamente negli uccelli buoni volatori, ma possono essere corte, molto ridotte, sino ad apparire rudimentali negli uccelli cattivi volatori, o che hanno perduto la facoltà di volo (nei Ratiti e in certi Carenati).
Di solito braccio e antibraccio sono di quasi uguale lunghezza, ma questo può essere più lungo di quello; la mano è alquanto più corta dell'antibraccio o ad esso uguale per lunghezza, ma talvolta ne è assai più lunga. Quando l'ala è ripiegata e tenuta nella posizione di riposo, chiusa, l'omero sta addossato al corpo, scende obliquamente indietro e ha la sua faccia di flessione volta piuttosto verso l'interno; l'antibraccio si dispone presso il braccio dirigendosi in avanti; la mano, addotta (inclinata cioè verso il lato ulnare), si dirige indietro costeggiando in basso l'antibraccio. Quando l'ala è aperta, il braccio si dirige verso l'esterno e un poco indietro, l'antibraccio e la mano vengono estesi (la mano abdotta) e diretti lateralmente.
L'omero (stilopodio: fig.1, h), di solito robusto, è cilindrico e con leggiera torsione; varia molto nella sua lunghezza, la quale non sta sempre in rapporto con la forza dell'ala (straordinariamente lungo in Diomedea, corto in Cypselus e in Trochilus). La sua estremità prossimale, che porta, alla sommità, una testa articolare (fig. 1, a), negli uccelli forti volatori, e quindi con ali molto sviluppate, si presenta allargata, appiattita, provvista di due grossi tubercoli, uno dal lato interno, tubercolo interno o mediale (tuberculum ulnare), situato sul margine ventrale dell'estremità appiattita, l'altro dal lato esterno, tubercolo esterno o laterale (tuberculum radiale), posto sul margine dorsale, dove, in continuazione di esso, si trova pure una cresta od una spina (crista deltoidea o cresta deltopettorale), molto pronunziata per le inserzioni del potente muscolo pettorale (fig. 1, b). La testa articolare dell'omero (fig. 1, a), che si articola con la cavità glenoidea del cinto scapolare, non è sferica ma a guisa di un condilo ellissoidale, non distinta dal corpo dell'osso mediante un tratto ristretto o collo; il suo asse maggiore fa spesso un angolo retto, talora un angolo acuto, con l'asse della diafisi omerale.
Le due ossa dell'antibraccio (zeugopodio), l'ulna o cubito e il radio (radius), quella in genere più grossa di questo, appaiono, in confronto all'omero, piuttosto sottili (fig. 1, cb, r). Ad ala aperta l'ulna guarda posteriormente (caudalmente) e il radio in avanti, ad ala chiusa l'ulna all'esterno e il radio all'interno, oppure il radio è dorsale, l'ulna ventrale; essa, dietro l'articolazione del gomito, si prolunga in un olecranon che completa la cavità articolare nella quale è ricevuta l'estremità distale dell'omero. Il radio e l'ulna si articolano tra di loro prossimalmente e distalmente, mentre coi loro corpi o diafisi delimitano uno spazio interosseo. In alcuni uccelli, come nelle rondini, le ossa dell'avambraccio sono il doppio più lunghe dell'omero. Sul margine posteriore o, più precisamente, sulla faccia dorsale dell'ulna si osserva spesso una serie di scabrosità, di tubercoletti o spine ossee (esostosi) dovuti all'inserzione dei ligamenti perpendicolari della membrana fibrosa, che corre lungo la linea d'impianto delle grandi penne di questa regione (remiganti del braccio), le quali col loro estremo basale riposano sull'ulna.
Tutto lo scheletro della mano (autopodio) è notevolmente modificato (fig. 1). La mano ornitica è lunga, talvolta notevolmente, anche più dell'avambraccio, ma si mostra all'incontro stretta, molto semplificata, specialmente perché è diminuito il numero delle dita, ridotto a tre; tuttavia essa ha robusta costruzione. Anche nell'Archaeopteryx, primitivo uccello fossile, le dita erano in numero di tre. Con la diminuzione del numero delle dita, la regione della radice della mano, quella regione si che chiama carpo (carpus, basipodio) ha subita, negli uccelli, una forte riduzione. In essa dovrebbero esistere varî ossicini, disposti in una serie o fila prossimale e in una distale, e con uno o due pezzi centrali interposti tra l'una e l'altra serie, eome si vedono originariamente nel carpo dei rettili, con i quali gli uccelli hanno molte somiglianze di struttura, e nel carpo di mammiferi, particolarmente di quelli in cui la mano conserva cinque dita.
Di grande interesse morfologico è però il fatto che allo stato embrionale, in confronto dello stato adulto o di completo sviluppo, il carpo degli uccelli è composto di un maggior numero di elementi (secondo il Prein otto elementi carpali) alcuni dei quali si presentano già tra loro coalescenti fin dal loro primo apparire o si uniscono insieme molto presto, in stadî precoci dello sviluppo. Allo stato adulto nel carpo della mano ornitica, anche negli uccelli fossili, si riscontrano soltanto due ossicini, i quali, come dimostra lo studio del loro sviluppo nell'embrione, sono da riportarsi alla serie prossimale degli ossicini del carpo (carpali prossimali) e vengono ordinariamente indicati, col nome di radiale (os carpi radiale), l'ossicino situato dal lato del radio e in rapporto con questo, e di ulnare (os carpi ulnare), l'altro ossicino (mancante in Apteryx e in Dromaeus) posto dal lato dell'ulna, in rapporto con essa, e che sporge alquanto in fuori dal contorno delle altre ossa di questo lato (fig. 1, cr., cc.). Il radiale è rotondeggiante, l'ulnare triangolare o semilunare; e insieme con il loro ligamento interosseo, formano una cavità articolare, per ricevere la superficie articolare convessa, il condilo, del metacarpo (carpometacarpo). Ad onta delle varie ricerche embriologiche eseguite in proposito tra le quali vanno ricordate quelle di Elisa Norsa, del Sieglbauer e del Prein, non si è ben certi sul preciso valore morfologico da assegnarsi a questi ossicini.
Senza entrare in una minuta disamina dell'importante questione, basterà qui rilevare soltanto il fatto essenziale, dímostrato da tutte le ricerche, che cioè ciascuno di essi risulta di due o più elementi, pur variando l'interpretazione dei diversi autori circa il numero e la corrispondenza morfologica di questi elementi rispetto alla costituzione della mano pentadattila (v. Chiropterigio e Chiridio). Secondo la Norsa il radiale contiene in sé anche l'ulnare, l'intermedio e un centrale, l'ulnare è rappresentato in gran parte dal pisiforme e forse in parte dall'ulnare. Secondo il Sieglbauer l'ulnare è un ulnare-pisiforme o soltanto un pisiforme e il radiale un radiale-intermedio. Il Prein ritiene che il radiale sia fuso con l'intermedio, e rappresenti quindi un intermedio radiale, e l'ulnare sia costituito dal pisiforme. Nell'adulto mancano carpali distali distinti, ma nell'embrione si abbozzano pure, sotto l'aspetto di addensamenti precondrali, e anche di pezzi cartilaginei, uno o due e persino tre ossicini carpali della serie distale (carpali distali), precisamente c2, c3, c4+ 5, ma essi ben presto, talvolta prima di manifestarsi come pezzi cartilaginei, si saldano tra loro, e il pezzo cartilagineo unico, che in loro luogo si presenta, si fonde con le estremità prossimali delle ossa della parte di mezzo della mano, cioè del metacarpo (metapodio), formandosi un carpo-metacarpo. Per tal guisa i due ossicini distinti (carpali prossimali) dell'adulto, radiale e ulnare, vengono in definitiva a trovarsi interposti tra radio e ulna da una parte e metacarpali (carpo-metacarpo) dall'altra. Abbiamo già detto sopra che nella mano ornitica esistono tre dita, ed infatti gli uccelli, in massima parte, ne posseggono tre; alcuni un numero minore. È incerto ancora a quali delle cinque primitive dita della mano pentadattila corrispondano le tre dita ridotte degli uccelli. Dalla maggioranza degli autori, seguendo il Gegenbaur, queste tre dita si fanno corrispondere, anche in base ai confronti con la mano di Archaeopteryx e di certi rettili fossili, dei Dinosauri e dei Pterosauri, al primo, secondo e terzo (I, II, III). Altri autori, tra i quali sono principalmente da ricordarsi la Norsa, il Leighton, il Sieglbauer e il Prein, fondandosi sui loro studî embriologici intorno allo sviluppo dell'ala, e particolarmente della mano, nel pollo, nell'anitra ed altri uccelli, riguardano con ragione (secondo avevano già pensato il Humphry e l'Owen) quelle tre dita come corrispondenti al secondo, terzo e quarto (II, III, IV). Il Vialleton, che sostiene tale corrispondenza, fa rilevare che nell'autopodio degli uccelli i pezzi hanno uno sviluppo particolare, che li differenzia dai loro omologhi negli altri tipi. Nel primo caso, adunque, viene ammessa una riduzione al lato ulnare, nel secondo si ritiene, come l'embriologia dimostra, che la riduzione si verifichi da ambedue i lati, tanto al lato ulnare, quanto al lato radiale, comparendo fugaci accenni così del primo dito come del quinto, ossia abbozzandosi nell'embrione cinque dita, di cui le due marginali regrediscono e scompaiono. Ad ognuna delle tre dita permanenti corrisponde un osso metacarpale e ciascun dito è rappresentato da falangi. I metacarpali terzo e quarto sono lunghi e saldati l'uno coll'altro alle loro due estremità, sicché, tra il metacarpale del dito mediano (III), forte, diritto e sempre più lungo degli altri due, e il metacarpale esile e ricurvo del lato ulnare (IV) è compreso uno spazio interosseo, talora però assai angusto. Il metacarpale II, o del dito radiale, è più corto degli altri due e si unisce all'estremità prossimale del III, pur conservandosi libera, per breve tratto, la sua estremità distale: pertanto a completo sviluppo il metacarpo risulta di un unico pezzo osseo derivato dai tre metacarpali, sempre completamente fusi alla loro base, e dai carpali distali saldati con essi; così che questo pezzo osseo va, più precisamente, riguardato come un carpo-metacarpo. Nell'embrione si abbozzano tre metacarpali distinti (corrispondenti alle tre dita di mezzo della mano pentadattila, ossia al II, III, IV), di cui il II rimane corto, il III e il IV divengono lunghi e il terzo è il più robusto. In certi uccelli è stato così osservato, dalla Norsa, l'abbozzo cartilagineo di un quinto metacarpale (corrispondente al V della forma pentadattila), il quale però si unisce tosto col quarto e scompare, e inoltre l'abbozzo, allo stato precartilagineo, di un primo raggio, che ben presto si dilegua. Avvenuti i saldamenti e le trasformazioni ricordati, troviamo da ultimo alla base (al basipodio) della mano degli uccelli due ossicini prossimali (radiale e ulnare) ed un osso distale (carpo-metacarpo) derivato nella maniera indicata, dalla fusione dei metacarpali tra loro e con i carpali distali (fig. 1, m 3).
Il dito ulnare o primo dito dell'ala dell'animale adulto si è continuato a chiamare pollice (fig. 1, p) anche da autori che lo considerano corrispondente non al primo ma al secondo raggio (all'indice) della mano pentadattila. Il Vialleton, ad evitare equivoci, propone di denominarlo appendice.
Delle tre dita (acropodio), il terzo è assai lungo e di solito costituito da due falangi, il secondo (appendice) e il quarto appaiono molto regrediti e posseggono una sola falange (fig. 1, de, dm). In qualche caso (Anser, Cygnus, Anas, Mergus, Colymbus, Scolopax, Grus, Struthio) si osserva che il terzo dito possiede tre falangi (la terza è sempre molto piccola) ed allora anche il secondo (il cosiddetto pollice) è meno ridotto e presenta due falangi. Forse in un gran numero di uccelli questo secondo dito possiede una seconda falange, la quale però è così piccola da andare perduta nella preparazione dello scheletro. Probabilmente anche il dito medio (il terzo) possiede, più comunemente che non si creda, una piccola falange ungueale che va con facilità perduta. Il quarto dito soltanto eccezionalmente può essere munito di due falangi, come in Struthio.
Nello scheletro della mano dell'Archaeopteryx si riconoscono ancora i caratteri della mano rettiliana, sebbene vi siano tre dita soltanto (secondo qualche autore avrebbe forse avuto quattro dita): in essa i metacarpali sono completamente separati, non fusi tra loro, e nel primo dito troviamo due falangi, nel secondo tre e nel terzo quattro (secondo il Vogt, tre). Circa l'omologia delle dita, mancando dati embriologici, non è possibile, come osserva il Vialleton, stabilire se le tre dita dell'Archaeopteryx corrispondano a quelle degli uccelli attuali, ossia al II, III, IV. Nell'Archaeopteryx il basipodio mostra un solo pezzo scheletrico e secondo altri autori due pezzi, il radiale e un carpale distale.
Nei Pinguini, nei quali l'ala è molto ridotta e foggiata a guisa di pinna, manca il pollice (il secondo dito) e il terzo è notevolmente lungo.
Nei Ratiti le dita possono essere ridotte a due, oppure, sebbene raramente, ad uno solo, al III, come nel Chivi (Apteryx), nell'Emù (Dromaeus) e nei Casuarî. Nell'Apteryx si hanno il secondo e terzo metacarpali saldati senza traccia del quarto. Nei Casuarî sono riconoscibili tutti e tre i metacarpali. Nello struzzo i tre metacarpali sono presenti, come pure le principali ossa del carpo, ma essi non sono saldati tra loro alle loro estremità e la loro parte prossimale non è confusa con la serie distale del carpo, di guisa che la mano sembra rimasta allo stato embrionale.
Le parti molli dell'ala sono costituite dai muscoli e dalla cute o pelle che ricopre muscoli e ossa. I muscoli (fig. 2) sono rappresentati da quelli che dal cinto scapolare e dalla gabbia toracica si estendono al braccio e s'inseriscono all'omero (tra i quali sono da ricordare il muscolo grande pettorale, fig. 2 pc, che è un abbassatore energico dell'ala nel volo, e i muscoli deltoidei che ne sono elevatori, come lo sono anche il gruppo muscolare scapulo-humeralis e il muscolo pettorale medio, m. supracoracoideus), e inoltre dai muscoli proprî dell'antibraccio e della mano, addossati alle ossa e in parte situati negli spazî sul margine anteriore e sul margine posteriore dell'ala. La piega cutanea anteriore (propatagium) si estende dalla sommità della spalla fino al margine radiale del carpo, riempiendo l'angolo tra il braccio e l'antibraccio, in corrispondenza dell'articolazione del gomito. Essa è tesa da uno o due muscoli, che per la massima parte sono tendinei e formano il muscolo tensore della piega, musculus extensor plicae alaris o musculus propatagialis (Fürbringer; fig. 2, ea, tp), che viene dalla vicinanza dell'angolo della spalla e alla cui composizione contribuiscono parti propatagiali del muscolo deltoideo, pettorale, bicipite e talvolta anche del cucullare. I due muscoli tensori si distinguono in tensore lungo (tensor longus) e tensore breve (tensor brevis). Ambedue si originano dalla regione anteriore della spalla, e il tensore lungo va ad inserirsi al carpo, più precisamente ad un tubercolo del secondo metacarpo, mentre il tensore breve s'inserisce ordinariamente vicino all'articolazione del gomito, alla fascia dell'antibraccio o guaina del cubito e al tendine d'origine del muscolo lungo estensore del carpo (m. extensor carpi radialis longus).
Il tendine del muscolo tensore lungo segue il margine anteriore della piega ed appare quale un ligamento elastico esteso, come ora si è detto, dalla spalla all'articolazione della mano dal lato del pollice (del secondo dito) e determina, oltre alla tensione della piega, anche, simultaneamente, l'estensione della mano. La parte propatagiale del muscolo deltoideo funziona pure come flessore dell'articolazione del gomito. La piega cutanea posteriore (metapatagium) si estende fra il tronco e la faccia interna del braccio e pare serva a fissare l'arto al tronco: essa riempie l'angolo ascellare e arriva al gomito, ove si confonde con il grande ligamento comune delle penne cubitali. Durante il volo viene tesa da un muscolo tensore (musculus metapatagialis, Fürbringer) fornito dal gran dorsale e dal gran dentato.
Infine a completare l'ala, anzi a costituire il vero piano di volo, troviamo formazioni dipendenti dal tegumento, quelle formazioni epidermoidali cornee rappresentate dalle penne (fig. 3), le quali sono la caratteristica principale degli uccelli ed essenziale per il loro volo (infatti il rivestimento di penne è quello che dà all'ala il carattere funzionale più notevole). Tra le penne del contorno che rivestono l'ala ve ne sono alcune che si fanno maggiormente notare per la loro grandezza: esse sono quelle inserite in una serie sul suo margine posteriore, e precisamente sul margine posteriore della mano e dell'antibraccio, le quali prendono un considerevole sviluppo e servono essenzialmente al volo: sono le penne remiganti (remiges) e formano nell'insieme una specie di ventaglio (fig. 3, a e b). Altre penne più numerose, ma piccole, ricoprono la faccia superiore e la faccia inferiore dell'ala, nonché il suo margine anteriore, e si dicono copritrici (fig. 3, f, g, h) o tettrici (tectrices). Il numero, la disposizione, la varia forma e grandezza o lunghezza, ecc. delle penne dell'ala offrono importanti caratteri per la tassonomia degli uccelli, donde l'attento studio ad esse dedicato dagli ornitologi. Tanto le remiganti quanto le copritrici si suddividono in varî gruppi.
Una parte delle remiganti sono portate dalla mano, dal metacarpo e dalle falangi delle dita, eccettuato il pollice (secondo dito); sono le grandi penne remiganti, le remiganti primarie (remiges primariae, pennae primariae), remiganti della mano, remiganti di prim'ordine, che nell'ala distesa s'irradiano obliquamente verso l'esterno (fig. 3, a). In tutti gli uccelli sono in numero di 9 a 10, di solito 10. Possono essere anche 11, raramente 12 (ad es., in Podiceps); lo struzzo ne ha 16. La prima remigante primaria, contando dalla mano, (altri designano le penne cominciando a contare dall'articolazione della mano coll'antibraccio, e andando verso l'apice della mano per le remiganti primarie e verso l'omero per le penne del braccio), varia assai nelle sue dimensioni; si dice penna spuria (fig. 3, c) o penna bastarda, o remiculus, quando è più piccola della seconda talora è piccolissima e può confondersi con una copritrice, a volte manca; qualche altra volta, all'incontro, è molto lunga, più sviluppata delle altre. Tutte le grandi remiganti s'impiantano nella pelle, che ricopre la faccia dorsale della mano, e le prime di esse si attaccano alla faccia cubitale della base della prima falange del dito di mezzo. Le remiganti primarie, che possono essere di varie forme e dimensioni, sono mobili e, quando l'ala è aperta, vengono distese da tendini inseriti nel connettivo dei loro follicoli; quando l'ala si chiude, vengono sovrapposte l'una all'altra come le stecche di un ventaglio.
Un'altra parte delle remiganti, più piccole e in numero maggiore, è portata dall'antibraccio e precisamente dall'ulna o cubito e sono esse le remiganti secondarie (remiges secundariae, cubitales o pennae secundariae), remiganti dell'antibraccio o remiganti del braccio, remiganti di secondo ordine, le quali si inseriscono sulla faccia dorsale dell'ulna e non proprio sul suo margine caudale (fig. 3, b); esse in numero vario, da 6 (in Trochilidae) fino a 30 (nei Tubinares; nello struzzo sono 20-23), costituiscono la parte principale del ventaglio dell'ala, ma sono meno potenti delle primarie.
In molti uccelli un gruppetto di penne remiganti, remiganti accessorie, in numero limitato, molto raramente più di quattro, spesso meno, separate dalle penne della mano (dalle remiganti primarie), è portato dal pollice (secondo dito), e precisamente dalla sua falange, e, posto dietro l'angolo dell'ala, forma la cosiddetta aletta, l'alula, ala bastarda o spuria o falsa (fig. 3, e). Talvolta l'alula è sostituita da un'evidente unghia o da uno sprone e l'ala si dice allora calcarata.
Vi sono anche, ma non in tutti gli uccelli, le remiganti terziarie o cubitali o secondarie interne e rappresentano una parte delle remiganti secondarie che si attaccano all'omero. Qualche autore le chiama ascellari. Tutte le secondarie possono talvolta, come nell'argo, essere molto lunghe e sorpassare le primarie.
Un certo numero di penne copritrici sono inserite in corrispondenza dell'estremità superiore (prossimale) dell'omero (tectrices humerales superiores) e costituiscono le penne scapolari: sono lunghe penne, che si originano dall'omero e si dirigono verso la parte posteriore del tronco; esse nel loro insieme formano l'ala scapolare, l'ala della spalla degli uccelli, il parapterum o parapteron. Altre penne copritrici (tectrices humerales inferiores), chiamate impropriamente ascellari, sorgono dal lato inferiore del margine anteriore dell'omero, sono spesso molto lunghe e costituiscono l'hypopteron.
Presso il margine anteriore dell'ala, tanto nella sua faccia superiore, quanto nella sua faccia inferiore, vi sono piccole penne che, oltre a rivestire questa regione dell'ala, si estendono sulle remiganti. Sono le penne copritrici o tettrici (tectrices: fig. 3, d) e si distinguono in copritrici superiori, quelle della faccia superiore, e copritrici inferiori, quelle della faccia inferiore dell'ala. Tanto le superiori, quanto le inferiori, sono disposte in tre serie dall'avanti all'indietro, che si susseguono l'una all'altra e che scendono dall'alto al basso sulle remiganti aumentando un po' di lunghezza dalla prima alla terza serie e perciò s'indicano rispettivamente come piccole copritrici (tectrices minores), medie (tectrices mediae) e grandi (tectrices maiores), le quali ultime ricoprono la parte basale delle remiganti di primo e di secondo ordine (fig. 3, f, g, h). Sia nella faccia superiore, sia nella faccia inferiore dell'ala, a ricoprire la base delle remiganti sta adunque, come ora si è detto, una serie di grandi copritrici; dobbiamo aggiungere che queste sono ordinate in maniera che ad ogni remigante corrisponde una copritrice nella faccia superiore e nella faccia inferiore. In molti uccelli rispetto a questa disposizione si rileva la particolarità, della quale non si sa dare una spiegazione, che la quinta remigante secondaria o quinta remigante del braccio, a contare dall'articolazione della mano, manca, quantunque esistano le copritrici ad essa corrispondenti. Tale condizione si chiama aquintocubitale, ossia mancanza della quinta cubitale.
Si hanno infine piccole penne copritrici del margine anteriore dell'ala, che sorgono dalla piega cutanea anteriore e che s'indicano col nome di copritrici marginali (tectrices marginales), e formano nel loro insieme il campterio (campterium).
Come già dicemmo, uno dei segni che dall'esterno ci indicano l'esistenza di dita nella mano ornitica è la presenza di unghie a forma di artiglio o a forma conica, che sono appunto le unghie delle dita e stanno in rapporto colle ultime falangi (falangi ungueali). Ma non si hanno sempre unghie in tutt'e tre le dita, anche quando per ciascuna di esse esista lo scheletro rispettivo. Il caso più frequente è quello in cui soltanto il pollice o appendice (il secondo dito) si mostra fornito di unghia, è unguicolato; così in Cypselus, Fulica, alcuni Rapaci diurni. Forse una falange ungueale, vale a dire una seconda falange con un astuccio corneo prolungato in un artiglio, si ha in un numero maggiore di uccelli di quello già conosciuto, e d'altra parte la presenza di un'unghia al pollice (al secondo dito) fa pensare all'esistenza d'una seconda falange di questo dito. Nel pollo il secondo dito possiede unghia con falange ungueale. Rare volte si ha solo un'unghia portata dal terzo dito (dal dito mediano): ciò si riscontra in Dromaeus e Apteryx, nei Casuaridi, che posseggono solamente il dito mediano. Con una certa frequenza troviamo due unghie, portate l'una dal secondo dito (pollice) e l'altra dal terzo, come in Uria, Struthio, Palamedea, Phoenicopterus. In embrioni e nidiacei di Anseres (ad es. di Anser falklandicus), di Anas boschas e di Milvus (Milvus regalis) si hanno distinte unghie nel secondo (pollice) e terzo dito, le quali si riscontrano anche in alcuni individui adulti di Anseres. Raramente si rinvengono tre unghie, ossia tutte e tre le dita sono unguicolate: ciò si riscontra nei giovani struzzi e nandù (Rhea) e nei giovani Opisthocomus.
Alcune forme, ad es. la sterna o rondine di mare, posseggono unghie nella mano soltanto allo stato embrionale, poiche esse scompaiono allo stato adulto.
L'opistocomo, uccello dell'America del sud, allo stato adulto possiede artigli, sotto forma di piccoli rilievi o tubercoletti, nel secondo e terzo dito della mano: allo stato giovane ne ha tre forti, ossia ne è provvisto in tutt'e tre le dita, e col loro aiuto, essendo mobili colle falangi terminali o ungueali, si arrampica sugli alberi; la quale abitudine vale a spiegarne la presenza.
Nell'Archaeopteryx tutt'e tre le dita dell'ala erano armate di unghie ben foggiate ad artiglio, libere e mobili, di cui anche questa forma fossile probabilmente si serviva per arrampicarsi.
Con le unghie non vanno confusi gli sproni che, in numero di uno o di due o anche di più, possono in alcuni uccelli trovarsi nell'angolo anteriore dell'ala, la quale allora dicesi speronifera o calcarata (dal lat. calcar "sprone"). Gli sproni sono dati da eminenze ossee coniche, rivestite di un astuccio corneo e somigliano quindi allo sprone delle gambe (tarso-metatarso) del gallo. Essi risiedono sul carpo e sul metacarpo; possono coesistere con l'unghia: ad es. in Chauna si hanno due grandi sproni metacarpali e un'unghia al secondo dito (pollice); similmente nelle Palamedee si osservano un'unghia al secondo dito e due sproni, negli Anseres spesso uno sprone e unghie al secondo e al terzo dito.
Le ali degli uccelli variano per forma e dimensioni e si hanno diversi tipi di ali a seconda dei diversi tipi di volo. Infatti la rapidità del volo e i movimenti che lo distinguono sono in stretto rapporto colla forma delle ali e colla struttura delle penne. Le ali lunghe, strette, appuntite, composte di penne assai compatte e resistenti e con brevi barbe, sono atte al volo rapidissimo e sono proprie dei buoni volatori (rondini, gabbiani); le ali brevi, larghe, ottuse, costituite di penne poco compatte, servono soltanto per un volo molto lento e si riscontrano nei cattivi volatori (pernici, passero); le ali larghe, grandi e arrotondate permettono all'uccello che ne è provvisto di volteggiare o di librarsi a lungo nell'aria.
Come già si accennò, in alcuni casi le ali possono essere atrofizzate in modo che esse sono inette e il volo non è più possibile. Ciò si verifica negli uccelli corridori, come in Dinornis, forma estinta, nel Kiwi (Apteryx), e negli struzzi, e inoltre in certi Palmipedi, quali i pinguini. Negli uccelli corridori, o Ratiti, che hanno perduto la facoltà del volo, o che forse non l'ebbero mai, le ali sono fortemente regredite, con riduzione anche delle dita, potendo in esse esistere soltanto uno o due dita. Nello struzzo l'ala può servire di aiuto alla corsa battendo l'aria. Nel Kiwi (Apteryx) della Nuova Zelanda l'ala, o più esattamente lo scheletro dell'ala, è quasi completamente nascosto sotto la pelle. In alcune specie dei Dinornidi, cioè degli uccelli giganti estinti della Nuova Zelanda, come nel moa, sembra che mancasse anche lo scheletro dell'ala.
Nei pinguini antartici le ali sono pinniformi, ossia molto compresse, a guisa di palette o di pinne, e coperte di piccole penne in forma di squamette cornee dentellate sui margini; gli animali si servono di queste loro ali, così particolarmente foggiate, come di remi e con esse battono l'acqua. Il loro omero, straordinariamente corto, è appiattito, coi margini anteriore e posteriore affilati, e pure piatte e larghe sono le ossa dell'avambraccio.
Bibl.: W. K. Parker, On the structure and development of the wings in the common fowl, in Phil. Trans. of the Royal Soc. of London, CLXXIX (1888); M. Fürbringer, Untersuchungen zur Morphologie und Systematik der Vögel, I e II, Amsterdam 1888; E. Norsa, Recherches sur la morphologie des membres antérieurs des oiseaux, in Arch. italiennes de Biol., XXII (1895); F. Sieglbauer, Zur Entwickelung der Vögelextremitäten, in Zeitschr. für wissensch. Zool., XCVII (1911); F. Prein, Die Entwicklung der vorderen Extremitäten beim Haushun, in Anatom. Hefte, XLI (1914); L. Vialleton, Membres et ceintures des vertébrés tétrapodes, Parigi 1924.