Alabastro
di F.W. Cheetham
L'a. è la forma compatta, criptocristallina, del gesso, un solfato idrato di calcio (CaSO4 2H2O), depositato per precipitazione dall'evaporazione di vasti mari interni durante i periodi permiano e triassico. Non deve essere confuso con il c.d. 'a. orientale' (o calcareo), molto più duro, che è carbonato di calcio stalagmitico, definito a. nell'antico Egitto e in Grecia, dove era usato specie per coppe, vasi e scatole. Molti depositi di gesso sono granulari o fibrosi, inadatti perciò a essere lavorati, e solo la forma compatta, che compare in blocchi, può essere utilizzata in scultura.
L'a. è tenero, facile da lavorare e particolarmente adatto per la realizzazione di sculture che necessitino di grande finezza di dettagli. Lievemente traslucido, si può lucidare ulteriormente in modo da ottenere superfici che sia possibile dorare o dipingere. La pietra è talora di colore bianco puro, ma più spesso presenta striature e macchie brunastre provocate da ossido di ferro. Si tratta di un materiale facile da incidere e scalfire - è infatti sufficiente un segno di unghia per inciderlo - che si danneggia gravemente se esposto all'acqua e quindi può essere utilizzato solo per sculture destinate a interni.
L'a. fu usato a lungo dagli scultori di tutta Europa. In Inghilterra è presente negli strati del Keuper superiore, nel Derbyshire meridionale e nelle zone limitrofe dello Staffordshire. In Italia lo si trova in forma particolarmente pura in Toscana, vicino a Volterra e a Castellina Marittima, dove viene estratto in grossi blocchi. In Francia, le cave di Lagny, presso Parigi, forniscono a. di buona qualità e anche in Spagna se ne trova in molte località, per es. vicino a Mérida. In quest'area, un bell'esempio di opera in a. è rappresentato dal coperchio di sarcofago del principe Giovanni, figlio dei sovrani cattolici Ferdinando e Isabella, nella cattedrale di Avila. In Germania la scultura in a. fu particolarmente diffusa nel sec. 15°, mentre nelle Fiandre un importante centro di produzione di lastre di questo materiale era, tra la metà del sec. 16° e il primo quarto del 17°, la città di Malines. La lavorazione dell'a. acquistò particolare importanza in Inghilterra: dopo essere stato in un primo tempo, agli inizi del sec. 14°, utilizzato per monumenti funebri, a partire dalla seconda metà dello stesso secolo e fino agli inizi del 16° venne usato sempre più diffusamente per pale d'altare, pannelli e statue, dando vita a un intenso commercio di esportazione.
Sembra che in Inghilterra l'a. sia stato utilizzato per la prima volta in una delle modanature interne del portale occidentale della chiesa del priorato di Tutbury, nello Staffordshire, intorno al 1160, e che la prima effigie realizzata in a. sia quella di un cavaliere, eseguita intorno al 1300, nella vicina chiesa parrocchiale di Hanbury. Sfruttate inizialmente per monumenti funebri, le cave di a. dalla seconda metà del sec. 14° vennero utilizzate sempre più frequentemente e il materiale estratto impiegato per statuette e piccoli pannelli; all'inizio del sec. 15° questi pannelli venivano disposti verticalmente, misurando in genere cm. 40 di altezza e cm. 28 di larghezza. Le statuette erano di varie dimensioni, alte di solito una quarantina di centimetri. Molti dei pannelli venivano utilizzati come pale d'altare: il rilievo era inserito infatti in una cornice di legno e fissato ingegnosamente mediante fili di ottone, bloccati sul rovescio entro tasselli di piombo.
A giudicare dalla documentazione, nel 1367 Nottingham divenne il centro inglese più importante per la scultura in a. e tale rimase fino alla Riforma, specializzandosi soprattutto nella produzione di rilievi per pale d'altare, di statuette, tavolette e piccoli reliquiari, spesso raffiguranti la testa di s. Giovanni Battista. Opere in a. venivano prodotte anche altrove, per es. a York, Londra, Burton-on-Trent e Chellaston. In questi ultimi due centri era particolarmente sviluppata la produzione di tombe in alabastro. Purtroppo non è possibile riconoscere la città da cui provengono le opere superstiti (tutte anonime) né in base allo stile, né in base al modo in cui sono realizzate; ma è molto probabile che per la maggior parte provengano da Nottingham perché, per quanto lacunosi e incompleti siano i documenti dell'epoca, i riferimenti alla lavorazione dell'a. in questa città sono molto più numerosi e riguardano un periodo molto più lungo di quanto avvenga per qualunque altra città inglese.
Nel procedimento di produzione di opere in a. era importante anche la policromia; allo stato attuale, peraltro, molti pannelli e statuette non ne conservano tracce se non, a volte, molto parziali, così che non si può avere un'idea del loro aspetto originario. La pietra stessa forniva una superficie liscia e non assorbente, su cui spesso il colore poteva essere applicato senza preparazione. La parte inferiore delle lastre era usualmente dipinta in verde con applicazioni di un motivo 'a margherita', consistente in una serie di puntini bianchi disposti intorno a uno rosso centrale. La parte superiore dei pannelli era invece per lo più dorata, su superfici spesso decorate preventivamente con puntinature in gesso applicate. Nel dipingere l'a. gli artisti erano di solito sensibili alla peculiare qualità traslucida della pietra stessa e quasi sempre venivano lasciate zone non dipinte a sottolineare per contrasto la ricchezza della cromia.
Le sculture erano tutte, senza eccezione, di soggetto religioso, ispirate al Nuovo Testamento o alle storie di santi raccolte nella Legenda aurea del vescovo Jacopo da Varazze (m. 1298). La Passione di Cristo e la Vita della Vergine erano i temi più comuni sulle pale d'altare in a., solitamente composte da cinque pannelli, di cui quello centrale lievemente più alto degli altri, affiancati dalle immagini di due santi a figura intera. Rimane un certo numero di queste opere, più o meno complete: per es., le pale con la Passione di Cristo di Nottingham (City Art Gall. and Mus.) e quella con le Gioie della Vergine (ora a Londra, Vict. and Alb. Mus.). In Italia si conservano pale d'altare inglesi in a. con scene della Passione a Ferrara (Mus. Civ. d'Arte Antica di Palazzo Schifanoia), a Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), nella chiesa della SS. Annunziata di Venafro (Molise) e pale con la Vita della Vergine a Pisa nella chiesa di S. Benedetto a Settimo e a Maiori (Salerno) nella chiesa di S. Maria a Mare. Nel corso del sec. 15° i temi si diversificarono e divennero più comuni le pale d'altare in a. dedicate a singoli santi, come per es. quella di S. Caterina a Venezia (Ca' d'Oro, Gall. G. Franchetti) e una, frammentaria, a Trieste (Mus. Civ. di Storia ed Arte).
Pannelli e statuette in a. venivano scolpiti anche come singole immagini devozionali come, per es., nel caso del pannello con la Vergine e il Bambino conservato ancora nell'originaria cornice di legno dipinto nella cattedrale di Worcester, in Inghilterra. L'Annunciazione, il Compianto e le scene della Passione di Cristo sono soggetti rappresentati anche in forma autonoma, analogamente alla Trinità, come risulta da un pannello in un alloggiamento di legno dipinto proveniente da Selardalur, Islanda (Reykjavik, Thjódminjasafn Islands). La testa di s. Giovanni Battista era anch'essa un soggetto iconografico che godeva di grande diffusione come immagine devozionale: se ne conservano almeno novanta esemplari, fra cui cinque nell'originario alloggiamento di legno. Questi alloggiamenti avevano la forma di piccoli armadi con due porte su cardini, dipinte nella parte interna, che potevano essere aperte per mostrare il rilievo.
Le pale d'altare e molte statuette erano indubbiamente destinate alle chiese, ma è noto da testamenti e inventari che anche nelle case private si trovavano opere devozionali per uso domestico - in particolare la testa di s. Giovanni - poste in genere in una delle stanze principali.
È provato che pale d'altare venivano eseguite anche su specifica commissione, come per es. nel caso di un esemplare inglese in a. con S. Giacomo maggiore, nella cattedrale di Santiago de Compostela, in Spagna, o in quello della pala di S. Caterina a Venezia, che fu probabilmente scolpita su richiesta, perché originariamente si trovava nella chiesa dedicata alla santa. La pala d'altare di Santiago de Compostela è datata con certezza, poiché un documento del 1456 riferisce che un prete inglese di nome John Goodyear la offrì in dono alla cattedrale. Il confronto stilistico fra questa e altre opere analoghe mette in evidenza che la maggior parte delle pale d'altare inglesi in a. risale al periodo fra la seconda metà del 15° e gli inizi del 16° secolo. Uno sviluppo più tardo è rappresentato dalle pale d'altare con due ordini di pannelli sovrapposti, di cui un buon esempio è nell'Hôtel de Ville di Compiègne (Francia nordorientale).
La pala di Santiago è un esempio tipico del fiorente commercio di esportazione di sculture in a. dall'Inghilterra verso tutta l'Europa continentale. Sembra che le prime fossero lastre orizzontali raffiguranti la Natività e l'Adorazione, diffuse nel Nord della Germania e sulla costa dell'attuale Polonia e risalenti alla seconda metà del sec. 14°; tuttavia il primo documento scritto relativo a questo commercio è datato 1382, quando Cosmato Gentili, legato pontificio di Urbano VI in Inghilterra, ottenne dal re Riccardo II l'autorizzazione a esportare da Southampton quattro immagini in a. della Vergine, di S. Pietro, di S. Paolo e della Trinità. In Santa Croce in Gerusalemme a Roma si trovano due belle statue inglesi in a. raffiguranti S. Pietro e S. Paolo, databili al 1380 ca., ed è probabile che siano proprio due di quelle importate da Cosmato Gentili. Nel 1408 il re concesse un salvacondotto per esportare a Nantes un coperchio di sarcofago in a., destinato al sepolcro di Giovanni, duca di Bretagna, morto nel 1399.
La pietra veniva esportata anche non lavorata: nel 1414 fu stipulato un accordo per una esportazione di questo tipo dalle cave di Chellaston all'abbazia di Fécamp, in Normandia.
Circa duemila opere inglesi in a. si trovano sparse in Europa occidentale e si può ritenere che per la maggior parte siano state acquistate nel Tardo Medioevo.
La Riforma, iniziata sotto il regno di Enrico VIII, diede uno slancio finale alle esportazioni, perché molte proprietà di monasteri furono poste in vendita: nel 1536 il re soppresse le case religiose minori e nel 1539 i monasteri e i conventi maggiori. Sotto il regno del figlio, Edoardo VI, prese il potere un governo protestante estremista che, nel 1550, decretò la distruzione di tutte le immagini nelle chiese, comprese, in modo specifico, le sculture in alabastro. Questo diede indubbiamente un'ulteriore spinta alla loro rapida esportazione, soprattutto verso la Francia; ma di fatto la produzione inglese di statue di soggetto religioso in a. si arrestò, per quanto si continuassero, durante l'età della Riforma e anche in seguito, a realizzare coperchi di sarcofagi in a., che non cadevano sotto i divieti riservati alle altre immagini religiose.
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di P.F. Pistilli
Oltre alla produzione gotica inglese, anche in altri paesi europei si sviluppa - si è visto - un uso dell'a. non solo di importazione dall'Inghilterra, ma lavorato direttamente per committenze particolarmente prestigiose. In Italia, dove l'a. era anche lavorato direttamente in loco già nell'Antichità, si continuò nel pieno Medioevo la sua estrazione nelle cave del volterrano e del senese. La testimonianza più antica è costituita dagli eleganti capitelli romanici e da alcune rifiniture esterne in onice alabastrino - soprattutto basi - nell'ambulacro dell'abbaziale cluniacense di S. Antimo a Castelnuovo dell'Abate (Siena), databili intorno al 1118 (Salvini, 1969; Moretti, Stopani, 1981).
È però nel Trecento che l'a. viene riscoperto per le sue indubbie qualità materiche, adatte a impreziosire non solo i sepolcri regali ma anche le casse reliquiari di martiri paleocristiani. L'arca di S. Eulalia nella cripta della cattedrale di Barcellona, opera di maestranze toscane, resta l'esempio più emblematico che sia pervenuto e sembrerebbe confermare, per la sua alta datazione (1327), che l'uso dell'a., sia in Spagna sia in Italia, fu inizialmente legato a precise committenze di carattere religioso. Infatti poco più tarde sono le sette formelle con episodi della vita dei santi martiri Vittore e Ottaviano, un tempo nel duomo di Volterra ma di incerta destinazione originaria (Volterra, Mus. Diocesano di Arte Sacra), attribuite al senese Agostino di Giovanni e alla sua bottega e definite da Carli (1978; 1980) veri anaglyptica marmora.
L'a. viene adoperato in Spagna dalla metà del Trecento nelle regioni pirenaiche per sepolture nobiliari (lastre tombali dei secc. 14° e 15° sono conservate a Barcellona, Mus. F. Marés e Mus. d'Art de Catalunya) e di committenza regale. Queste ultime sono documentate dalle monumentali, seppure frammentarie, arche dei re d'Aragona, ricomposte negli anni Quaranta da Marés (Marés Deuvolol, 1953) nell'abbazia cistercense di Poblet (Catalogna) e commissionate nel 1340 ca. da Pietro IV il Cerimonioso agli scultori Aloy e Jaime Cascalls; si ricorda inoltre il sepolcro tardogotico in a. di Carlo III di Navarra e di sua moglie Eleonora di Castiglia nella cattedrale di Pamplona (Navarra), capolavoro degli inizi del Quattrocento dell'artista fiammingo Janin Lomme di Tournai (Durán Sanpere, Ainaud de Lasarte, 1956).
Bibliografia
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