ALAMANNI
Popolazione tedesca, nominata la prima volta nell'anno 213, quando Caracalla li combatte sul Meno (Dione Cassio, Epit. 77, 13, 4.6; 14,1). Essi, secondo numerose e sicure testimonianze posteriori, sono tutt'una cosa coi Suebi. Mentre per i Francesi il nome di Alamanni, essendo quello della stirpe tedesca a loro più vicina, indica tutti i Tedeschi (Allemands), gli Alemanni stessi si chiamarono, da principio "Svevi". Essi appartengono alla grande famiglia sveva (Tacito, Germania, c. 38 segg.; e cfr. la carta geografica di Tolomeo), il cui nucleo centrale, i Semnones (Tacito, Germania, c. 39), abitava la media regione dell'Elba, nell'Altmark, già verso il 500 a. C. Frazioni di essi, che portavano il nome di Svevi, si erano spinte già dal tempo di Cesare fino al Meno, coi loro resti si unì pure il grosso della stirpe, quando nel 200 d. C. emigrò anch'esso verso SO. A questo punto appare il nuovo nome Alamanni (collegato col gotico alamans "uomini in generale") che indica, assai probabilmente, l'unione delle varie stirpi sveve della Germania meridionale, in contrasto coi nomi delle stirpi stesse che vi si erano unificate (cfr. Much, art. Alemannen; v. Bibl.). Questa etimologia si trovava già nel III sec. in Asinio Quadrato, che è citato come fonte da Agathias (I, 6). Delle molteplici suddivisioni della stirpe sveva o alamanna si trovano tracce anche in tempi più recenti. Prima del 450 queste popolazioni stanno sotto una quantità di re (ne vengono nominati fino a 15); Teodorico parla di Alamannici populi (Cassiodoro, Var., II, 41), e di alcuni di essi noi conosciamo i nomi: p. es., gli Juthungi, i Lentienses (nel Linzgau), i Bucinobanti da Magonza fino alla Silva buchonia, cioè la Rhön (il suffisso bant vuol dire "cantone"; cfr. Brabant, Tubanten, ecc.). Essi irruppero, nel 260, attraverso il limes germanico-retico e occuparono prima il paese fino al Danubio, poi fino al lago di Costanza, il quale da loro ebbe il nome di Schwäbisches Meer. Occuparono anche la regione romana del Meno inferiore, e il Nassau fino al fiume Lahn; passato, nel 450, il Reno, trovarono i popoli svevi romanizzati (Tribolci, Nemeti e Vangiones, menzionati da Cesare), e si diffusero nella regione della Mosella, nel Palatinato e nell'Alsazia. Contemporaneamente, attraversarono l'alto Reno e invasero la Svizzera settentrionale; ma dovettero fermarsi davanti alle foreste vergini delle Alpi centrali. Invasioni a più riprese in Italia condussero allo stabilirsi di alcuni gruppi nel versante meridionale delle Alpi (cfr. il nome di Soave nell'alto veronese). I loro confini prima del 500 erano: a E., il fiume Lech; a S. lo spartiacque delle Alpi; ad O., i monti Vosgi; a N., il fiume Lahn. Dapprima essi si fissarono soltanto nelle pianure già coltivate dai Romani.
Circa il 450 gli Alamanni erano riuniti politicamente sotto un re. Le loro invasioni del sec. V nella Francia orientale fecero pensare che essi avrebbero potuto fondare, invece dei Franchi, uno stato germanico in quella regione. Ma la vittoria di Clodoveo decise del loro avvenire. L'iniziativa della guerra non sembra essere partita da Clodoveo, ma dai Ripuari sotto il re Childeberto in Colonia; e Clodoveo, che la leggenda franca colloca al centro dell'azione, vi prese parte soltanto come alleato. Ingiustamente si pone in dubbio la tradizione che parla della sua vittoria presso Zülpich (496 o 497); forse sull'alto Reno ebbe luogo ancora una seconda battaglia. Dopo la morte del re degli Alamanni, nella battaglia, il suo popolo si sottomise. e dovette cedere il paese a N. della foresta di Hagenau (nell'Alsazia inferiore) e del fiume Murg (nel Württemberg), paese che i Franchi colonizzarono. Il re degli Ostrogoti Teodorico, col suo intervento, impedì a Clodoveo di sottomettere gli Alamanni che erano rimasti liberi. Egli prese gli Alamanni della Rezia sotto la sua protezione, e lasciò loro quella regione fino ai confini d'Italia. Al principio delle guerre gotiche, il re Vitige (536) cedette gli Alamanni ai Franchi; ed essi allora fecero parte, in condizioni di relativa indipendenza, del regno franco di Austrasia. Erano soggetti a duchi della propria nazione, confermati dai re franchi. Le loro leggi, il Pactus (circa 650) e la Lex Al. (717-719), sono le fonti per la storia dei loro ordinamenti. Dopo la fine delle guerre gotiche, i loro duchi Butilino e Leutari fecero un'incursione in Italia, devastatrice ma infruttuosa (556). Dopo che Colombano, per alcuni anni (fino al 612), ebbe esercitato la sua attività di missionario presso il lago di Costanza, Pirmino, il fondatore del convento di Reichenau (724) e di altri, operò presso di loro a pro' della fede cristiana e, ad un tempo, della politica franca. Con la decadenza dei Merovingi, gli Alamanni avevano riacquistato l'indipendenza; ma il maggiordomo Carlo Martello li sottomise nuovamente e abbatté il potere del duca. Un nuovo ducato degli Svevi o Alemanni si poté ricostituire soltanto alla fine del periodo carolingio.
Bibl.: K. Zeuss, Die Deutschen und ihre Nachbarstämme, Monaco 1837 (ristampa, Gottinga 1904), p. 303 seg.; O. Bremer, Ethnographie der deutschen Stämme, in Paul, Grundriss der germanischen Philologie, 2ª ed., III, Strasburgo 1905, p. 930 seg.; L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme bis zum Ausgang der Völkerwanderung, II, Berlino 1915, pp. 236-324 con estesa bibliografia; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der classischen Altertumswissenschaft, I, coll. 1277-80; R. Much, Alemannen, in I. Hoops, Reallexikon der germanischen Altertumskunde, I, 1911-13, pp. 57-59; A. Dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturentwicklung von Caesar bis auf Karl den Gr., 2ª ed., Vienna 1923, I, pp. 259-268; K. Schumacher, Siedlungs- u. Kulturgeschichte der Rheinlande, III: Die Merovingische und Karolingische Zeit, Magonza 1925, pp. 7-16; A. Hund, Wanderungen und Siedel. der Al., in Zeitschr. für Gesch. des Oberrheins, LXXI, LXXIII (1915, 1917). - Sui confini verso il 500, cfr. Schmidt, op. cit., p. 293. - Sulla vittoria di Clodoveo sugli Alamanni, cfr. F. Schneider, in Handbuch für den Geschichtslehre, III (1928). Sul diritto, cfr. H. Brunner, Deutsche Rechtsgeschichte, 2ª ed., I, Lipsia 1906, pp. 448-454.