ALBA (A. T., 24-25-26)
Città del Piemonte, provincia di Cuneo, in un'ubertosa pianura circondata da amene colline, che costituiscono il limite settentrionale delle alte Langhe, presso la confluenza del torrente Cherasco col Tànaro. Il comune ha una popolazione di 14.213 ab., di cui 9251 nel centro. Gli abitanti del centro erano 3762 nel 1734, 3710 nel 1753; quelli del comune 7135 nel 1774, 8286 nel 1839, 12.178 nel 1881, 13.900 nel 1901, 14.176 nel 1911.
Posta nel mezzo di una varia e fertile regione folta di paesi e di borgate, dove la popolazione è dedita all'agricoltura e abita spesso in case sparse per la campagna, Alba è un fiorente centro commerciale, a cui convergono d'ogni lato numerose vallate. Possiede grandi fornaci di laterizî, fabbriche di macchine agricole, distillerie; è sede di un attivissimo traffico di bestiame, di bozzoli, di cereali e di foraggi; e soprattutto è un importante centro vinicolo, accanto a Asti e a Dogliani, il maggiore del Piemonte. Tutti i vini più rinomati del Piemonte provengono infatti dalle colline da cui essa è circondata: a N. è la zona del barbera e della freisa, a NO. quella del nebiolo, a SO. quella del barolo, a SE quella del dolcetto e a E. quella del moscato. Ai mercati di settembre affluiscono talvolta sulla piazza più di 100.000 miriagrammi d'uva al giorno. Alcuni dei suoi stabilimenti enologici sono fra i più vasti e meglio attrezzati d'Italia. E la Scuola enologica di Alba è molto frequentata anche da giovani di altre regioni.
A pochi chilometri dal castello reale di Pollenzo, attorniata da colli su cui sorgono frequenti pittoreschi castelli (Serralunga, Grinzane, Barolo, ecc.), Alba sta acquistando, anche come centro turistico, importanza sempre crescente: alcune delle strade su dorsale di collina, soprattutto quelle verso Ceva e verso Dego, offrono per decine di chilometri, panorami vastissimi con vista sterminata sulla pianura piemontese e le Alpi dal colle di Cadibona fino al monte Rosa.
Nell'età romana il suo nome era Alba Pompeia. Secondo il Holder (Altceltischer Sprachschatz, s. v. Albion), il nome Alba sarebbe ligure, e significherebbe "città bianca". La via della valle del Tànaro, dominata da Alba, era già aperta alla fine del sec. II a. C. (via da Dertona a Pollentia). Il nome di Alba Pompeia appare in Plinio III, 5, 49), in Tolomeo (III, 1, 48) e in altre fonti. Nulla si sa dell'origine della città: quasi nello stesso luogo fu scoperta una delle maggiori stazioni neolitiche finora note in Italia. Ebbe verisimilmente l'appellativo di Pompeia da Pompeio Strabone, il console dell'anno 89 a. C., che estese la cittadinanza romana alla Cispadana, e il ius Latii alla Transpadana. Divenne municipio ascritto alla tribù Camilia; fu patria dell'imperatore Publio Elvio Pertinace. Il suo territorio confinava con quello di Albingaunum, Aquae Statiellae, Hasta, Pollentia, Augusta Bagiennorum (XI reg. augusta o Liguria). Ebbe, secondo iscrizioni, duumviri, edili, questori, seviri. Un'iscrizione nomina pure un flamen divi Augusti (Corp. inscr. lat., V, p. 867).
Della città romana, di forma poligonale, restano notevoli avanzi, fra cui i ruderi di una porta fortificata e delle mura laterizie di cinta, attribuibili agli ultimi tempi della repubblica. Numerosi i ritrovamenti in varî punti della città: fittili, iscrizioni, una testa di Giunone d'insigne lavoro. Non poche le tombe scoperte fuori della città.
Nel riordinamento provinciale dell'epoca costantiniana, Alba fu compresa nella vasta provincia di Liguria. Verso il 416, con buona parte dell'antica Cispadana, costituì la nuova provincia delle Alpes Apenninae, detta pure Liguria Alpium o Liguria Maritima, fino al tempo delle invasioni dei Longobardi, quando, aggiuntisi alle Alpes Apenninae gli avanzi delle Alpes Cottiae, prevalse il più recente nome di Maritima. In questo periodo di oltre 600 anni la città vide sorgere e affermarsi il cristianesimo: il primo vescovo storicamente certo è Lampadio (499). La città ebbe molto a soffrire dalla conquista longobarda. Rimase residenza del vescovo, ma cessò di essere sede dell'amministrazione locale, che, surrogato al comes imperiale un gastaldo longobardo alla diretta dipendenza del re, fu portata a Diano sui vicini colli della Langa. Solo più tardi ricompare un Comitato albese. Fra i conti di Alba, che appartengono alla famiglia degli Arduinici, è degno di speciale ricordo Oberto, figlio di Oddone e nipote di Arduino III conte di Auriate, che difese, come poté, Alba contro la rovinosa invasione saracenica. Alla morte di Folcardo, il clero albese elesse vescovo Guido, figlio secondogenito del conte Oberto, e riuscì così a impedire l'unione della diocesi d'Alba, ridotta in tristi condizioni, a quella di Asti: unione caldeggiata, e già ottenuta, dal potente Bosone, vescovo di Asti. Morto il conte Oberto senza eredi maschi, il comitato albese sembra toccasse a Olderico Manfredi, abbiatico di Arduino il Glabro, e pertanto lontano consanguineo di Oberto. A governare la regione rimase nominalmente una famiglia di visconti. Nella lotta fra imperatori e papi, per la riforma della Chiesa, Bosone, vescovo d'Alba dal 1059 al 1085, è tra i più arditi consiglieri ed eccitatori dell'impero contro Alessandro II e Gregorio VII, a difesa del clero simoniaco e concubinario; ma Alba si leva contro il belligero e mondano pastore. In mezzo a questa agitazione, l'autorità del governo centrale s'indebolisce sempre più: le forze locali si emancipano e usurpano i diritti pubblici; i vecchi ordinamenti cittadini si evolvono nella nuova forma del comune. Compaiono così, il 18 maggio 1179, i consoli; nel 1194 s'inizia con Rolando Balbo il regime del podestà, che tuttavia solo molti anni dopo diventa definitivo; nel 1197 il comune accoglie nella cittadinanza signori e popolani delle terre vescovili, provocando lunghe contese col vescovo Oggero. Più tardi, gli artieri albesi si levano minacciosi, capitanati, come sempre, da un comunale di antica e nobile famiglia, Rolando di Morozzo, che fa stabilire in Alba gli statuti fin dal 1221-1222. Intanto Alba viene in conflitto con Asti, più popolosa e più forte, soprattutto più ricca, sebbene gli Albesi, in Italia e fuori, gareggino bene con gli Astigiani nel commercio e nella banca.
Durante la lotta del Barbarossa contro i comuni, Alba, costretta da Asti, aderisce alla Lega lombarda. Ma solo alla fine del secolo erompono tra le due città quelle lotte di carattere economico, commerciale e politico che si trascineranno per tutto il sec. XIII. Tra il 1225 e il 1228, Genova ed Asti, il marchese di Monferrato e Chieri guerreggiano contro Alba, Alessandria, Torino, Tortona: mediatrice e arbitra di pace, Milano. Ma è brevissima sosta. Scoppia nuova guerra, e la pace non si ristabilisce che nel 1231; arbitro, tra gli altri, Sardo, arciprete e poi vescovo d'Alba. Nel 1238, s'inizia la ristorazione del governo imperiale diretto in Piemonte. Ma, alla morte di Federico II, comuni e signori ghibellini del Piemonte meridionale si stringono intorno ai due centri, ora congiunti, di Asti e di Alba. Nella grossa guerra contro Tomaso II di Savoia, Alba cerca di sostituirsi ad Asti nella direzione della lega ghibellina. La potenza e l'autorità del comune albese toccano in questo momento l'apogeo, talché Genova stringe con esso regolare trattato di commercio. Ma nel 1258 Asti assale Alba. Gli Albesi, concordi ora di fronte al nemico comune, lo volgono in fuga; e poco dopo, seguendo l'esempio di tutte le città del Piemonte meridionale, si dànno a Carlo d'Angiò. Sotto i siniscalchi angioini, Alba, centro del governo regionale, continua a fiorire nei commerci e nelle banche; ma le sue finanze sono dissestate, e deve provvedere ai suoi bisogni facendo prestiti e impegnando i proventi di tasse e di redditi. Nel 1275, le milizie astigiane compaiono sotto le mura di Alba angioina, costringendola a tornare all'alleanza con Asti. Ma. il 26 gennaio 1283, Alba acclama Guglielmo VII di Monferrato. Nel 1303, dopo accolti in città i Solari, grande famiglia guelfa di Asti, Alba ritorna agli Angioini, ai quali resta fida circa mezzo secolo. Sfasciata la signoria provenzale, Savoia ed Acaia, Milano e Monferrato si gettano sulla preda. Il 16 giugno 1349, Alba soggiace alla signoria dei Visconti, che la tengono per un decennio, fino a che, nel 1356, i cittadini cacciano i Milanesi e si sottomettono al marchese di Monferrato, Giovanni II Paleologo. Nel 1358, Galeazzo Visconti, avutala da Carlo IV, la dà in dote, con altre terre del mezzodì subalpino, alla figliuola Violante, andata sposa a Lionello duca di Clarence. Morto quasi subito dopo il giovane principe, quelle terre rimanevano in potere dei suoi Inglesi; ma, date in pegno a Giovanni II nel 1369, esse rimangono definitivamente nelle mani dei marchesi di Monferrato, tranne che nel breve tempo dell'occupazione savoiarda (1432-1445), e della saluzzese (1533) Alba poi passerà dai Paleologi ai Gonzaga, al tempo del vescovo Marco Gerolamo Vida, umanista cristiano e animoso difensore della città contro lo straniero. Disputata tra Francesco I e Carlo V, presa e ripresa da Francesi e da Imperiali, coinvolta nelle guerre per la successione di Mantova e Monferrato, conquistata e riperduta per ben tre volte da Carlo Emanuele I nel 1613, nel 1617 e nel 1628, Alba entrerà definitivamente nello stato sabaudo per il trattato di Cherasco del 6 aprile 1631. Nel 1796, i soldati del Bonaparte, comandati dal Laharpe, dopo avervi eccitato un tumulto, se ne impadronirono. Tre anni dopo ne furono cacciati. Dopo d'allora Alba condivise le sorti del regno di Sardegna.
Tra gli edifici, notevole per la sua ampiezza è il duomo di San Lorenzo (1486), di stile gotico-lombardo a tre navate, ricostruito interamente (1861-71) dall'architetto Arborio Mella. Nel coro vi sono stalli molto bene scolpiti e intarsiati (sec. XV). Nella chiesa di S. Giovanni Battista v'è una Madonna di Barnaba da Modena, Natività e Santi di Macrino d'Alba. Da notare, anche la chiesa di S. Domenico (sec. XV). Tra i palazzi, degni di menzione per la loro architettura sono la casa Traverso, il palazzo Fontana, il palazzo comunale, con una Incoronazione di Macrino d'Alba. Nel duomo è sepolto il celebre prosatore e poeta latino Gerolamo Vida, che fu per sette lustri vescovo d'Alba.
Bibl.: Corp. inscr. lat., V, p. 863 segg.; P. Barocelli, Repertorio dei ritrovamenti e scavi di antichità preromane avvenuti in Piemonte e Liguria, in Atti della Società piemontese di archeologia e belle arti, X (1926); F. Eusebio, Le mura romane di Alba Pompeia, Palermo 1906; E. Milano, Regestum Comunis Albae, in Biblioteca della Società storica subalpina, XX-XXI, Pinerolo 1902 e 1906; A. Ferretto, Documenti intorno alle relazioni tra Genova ed Alba, in Bibl. storica subalpina, XXIII; A. Piccarolo, La cattedrale antica di Alba e le sue relazioni col Comune Albese, Alba 1893; G. Mazzatinti, Note per la storia della città di Alba, Alba 1887; A. Manno, Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia, II, Torino 1891, pp. 72-95; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia, 2ª ed., Faenza 1927, II, p. 829 seg.