ALBANESI d'Italia
Gli Albanesi vennero nell'Italia meridionale a varie riprese, dalla metà del sec. XV in poi. Il primo contingente, comandato da Demetrio Reres, giunse per invito di Alfonso I d'Aragona che, in stretti rapporti con l'Albania, si servì dei suoi uomini per domare una rivolta calabrese e ricompensò il loro condottiero dandogli delle cariche nella Calabria ultra (1448). Con tali elementi si popolarono allora in questa provincia i paesi di Amato, Andali, Arietta, Casalnuovo, Vena, Zangarona; mentre due figli del Reres, Giorgio e Basilio, con parte delle truppe, si trasferirono in Sicilia. L'immigrazione si accentuò, quando divennero più intense le relazioni tra l'Albania ed il regno, per i notevoli soccorsi dati a Ferdinando I da Giorgio Castriota Scanderbeg nelle lotte sostenute dalla monarchia contro gli Angioini, pretendenti al trono, e contro i baroni. I Castriota ebbero feudi in Puglia; e qui rimasero molti dei loro soldati, cui se ne aggiunsero altri, inviati per rinforzo, ed altri ancora, in gran numero, quando, morto lo Scanderbeg (1467), si affievolì la resistenza alla conquista turca sull'opposta riva dell'Adriatico, e i cristiani preferirono batter la via dell'esilio. Così furono ripopolate le quasi deserte terre di Faggiano, Martignano, Monteparano, Roccaforzata S. Giorgio, S. Martino, S. Marzano, Sternatia, Zollino, Chieuti, Casalnuovo, Campomarino, Casalvecchio, S. Paolo, Portocannone, S. Croce di Magliano, Ururi.
Quando Irene Castriota andò sposa al principe di Bisignano, grande feudatario della Calabria, molti di questi Albanesi di Puglia preferirono seguire in Calabria la loro connazionale (1470), prendendo dimora nei paesi di S. Demetrio, Macchia, Cosmo, Vaccarizzo, S. Giorgio Spezzano. Un nuovo contingente di profughi giunse dopo la caduta di Kruj in mano dei Turchi (1478), e popolò, anche in Calabria, le terre di Acquaformosa, Castroregio, Cavallarizzo, Cervicato, Cerzeto, Civita, Falconara, Firmo, Frascineto, Lungro, Mongrassano, Plataci, Porcile, Rota, S. Basilio, S. Benedetto Ullano, S. Caterina, S. Giacomo, S. Lorenzo, S. Martino, S. Sofia, Serra di Leo. E, finalmente, moltissimi ne giunsero allorché cadde in possesso dei Turchi la fortezza di Corone (1533-34): alcune famiglie si fermarono in Napoli, altre si recarono nell'isola di Lipari, la maggioranza fu dispersa fra varie università (così Melfi ne fu piena, finché nel 1597 non se ne distaccarono per formar Barile; altre popolarono Brindisi di Montagna, Maschito, S. Costantino, Farneta). Con questi Coronei terminarono le grandi immigrazioni albanesi. Ma anche in seguito giunsero altri profughi; e se non è sicuro che fossero propriamente Albanesi i provenienti da Maida, che nel 1647 si stabilirono in Barile, lo furono senza dubbio coloro che, nel 1744, popolarono in Abruzzo il feudo di Badessa, appartenente ai Farnesi, e coloro che, nel 1774, ottennero il permesso di stabilirsi in Brindisi di Montagna per coltivarvi quelle terre.
In genere, gli Albanesi immigrati nel regno erano soldati e contadini, sebbene non mancassero famiglie illustri, destinate ad aver parte nella vita politica del paese, come i Castriota e i Tocco. Regolari "capitoli" determinarono gli obblighi delle colonie verso i signori locali, che affidarono ai loro componenti lo sfruttamento delle campagne; le quali colonie fornirono notevoli contingenti di militari alla Spagna che, unendoli ad Albanesi arruolati in patria, se ne servì sia per le sue guerre europee, sia per la difesa del regno (particolarmente famosa rimase la loro cavalleria, detta degli stradiotti). Il governo vicereale concesse ai profughi una riduzione d'imposte ed ai Coronei speciali sussidî; mentre la Chiesa, a più riprese, proibiva che il clero latino s'ingerisse nelle loro pratiche di culto, seguaci com'essi erano del rito greco. Ma, in realtà, gli Albanesi vissero povera vita: la Spagna, specialmente quando fu costretta ad abbandonare la sua politica orientale, per la quale aveva contato sul loro aiuto, nulla fece per migliorarne le condizioni; i singoli vescovi cercarono di imporre a quanti più poterono l'osservanza del rito latino; e la miseria spinse talvolta al delitto gl'infelici coloni. In alcuni luoghi essi si acquistarono fama di gente dedita alla pirateria e al saccheggio: già nel 1509 Cosenza domandava che gli Albanesi fossero dispersi in piccoli gruppi, per renderli poco pericolosi; ed anche tre secoli dopo quelli del Molise dovevano rendersi tristamente famosi per i terrihili eccessi commessi durante la reazione del 1799. Il risorgimento s'iniziò nella prima metà del Settecento. Nel 1719, su proposta del sacerdote Stefano Rodotà, fu approvata la formazione di un collegio ecclesiastico di rito greco in Calabria e la nomina di un vescovo, parimenti greco, per l'ordinazione dei sacerdoti di tal rito. Ma, per l'opposizione dei vescovi latini che avrebbero dovuto fornire i mezzi, nulla poté conchiudersi sino al 1732, quando Clemente XII riuscì a destinare a tale scopo i beni dell'abadia di S. Benedetto Ullano, elargendo di più una forte somma dal suo tesoro. Il collegio, sorto allora in S. Benedetto Ullano, su proposta di Giuseppe Zurlo ebbe nel 1794 migliore e definitiva sede in S. Demetrio Corone, nel monastero basiliano di S. Adriano; saccheggiato nel 1799 e nel 1806, fu sempre ricostituito; ed infine dal governo italiano è stato regificato e reso uguale agl'istituti d'istruzione di secondo grado. Da Clemente XII il vescovo ottenne piena potestà nel recinto del collegio, la facoltà di promuovere agli ordini sacri i suoi alunni, il diritto di visitare tutte le chiese greche, per ciò che riguardava l'esattezza del rito; ma gli ecclesiastici di esso rito rimasero sotto la giurisdizione dei vescovi latini, che conservarono tutti i loro poteri nelle immutate diocesi, e, per quanti sforzi facessero poi gli Albanesi per ottenere vere e proprie diocesi greche, tale ordinamento non fu sostanzialmente modificato.
La rinascenza albanese diede ancora molti altri frutti, originando un notevole movimento spirituale e intellettuale. È della seconda metà del Settecento l'importante opera di Pompilio Rodotà, Dell'origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia; albanese fu uno dei più nobili martiri del 1799 napoletano: Pasquale Baffi; ed anche nell'Ottocento il collegio di S. Demetrio fu scuola di patriottismo, e perciò minacciato di soppressione dal Borbone: ché, ad es., suo alunno fu Agesilao Milano. Ma tale movimento non si arrestò alle colonie italiane. Già Carlo III aveva creato per gli Albanesi dell'opposta sponda uno speciale reggimento di fanteria, il Real Macedone, che tanto si seppe distinguere per bravura e fedeltà da meritare l'equiparazione ai corpi di truppe italiane. Poi, alla fine del sec. XVIII, e più nella prima metà del sec. XIX, gli Albanesi d'Italia, che tennero lo sguardo rivolto ai loro antichi connazionali, e amarono ricordarne il glorioso passato ed auspicare per essi un migliore avvenire, pur rimanendo legati alla propria terra, di cui amorosamente ricercarono la storia, contribuirono con i loro libri a far meglio conoscere l'antica patria e collaborarono al suo risorgimento. Ricordiamo fra questi scrittori il Masci, il Morelli, il Dorsa, che nel 1847 dedicò il suo libro alla "nazione" albanese "divisa e dispersa, ma una", e specialmente Girolamo de Rada.
In Sicilia i primi Albanesi giunsero, dicemmo, con i figli del Reres. Ad essi molti altri se ne aggiunsero tra il 1480 ed il 1501, i quali popolarono Piana de' Greci, S. Cristina Gela, Contessa. La loro storia è pressoché uguale a quella degli altri Albanesi. Per ordine di Carlo III anch'essi ebbero un collegio in Palermo; e da Ferdinando IV ottennero un vescovo parimenti in Palermo (1784). Finalmente, e per altre ragioni, delle piccole colonie furono create sulle coste dell'Istria, nel territorio di Parenzo e nel villaggio di Peroi, vicino a Pola: quest'ultima sorse nel 1657 con il consenso di Venezia, che vi permise l'insediamento di alcune famiglie sfuggite ai Turchi.
Ma quanti sono i cittadini italiani che ancor oggi possono considerarsi d'origine albanese e parlano un dialetto albanese, e quali sono le isole sopravvissute all'assorbimento delle antiche colonie? Il censimento del 1861 fa ascendere gli Albanesi a 55.453 persone. Il censimento del 1901 ci dà soltanto il numero delle famiglie (21.554) che, per calcolo, possono considerarsi complessivamente composte di 96.000 persone, con un forte aumento determinato, come allora si disse, dalla maggior cura posta negli accertamenti. Ed il censimento del 1911, ancor esso, ci da il numero delle famiglie, e più propriamente di quelle parlanti albanese: esse sono 20.467, che, per calcolo, possiamo dire formate da 90.670 persone, con una diminuzione prodotta dal movimento emigratorio, comune a tutto il mezzogiorno, e dall'assorbimento del dialetto da parte della lingua dominante. Secondo il censimento del 1921, le famiglie che parlano albanese sono 20.113, con 80.282 ab. Le isole albanesi sono così raggruppate: Avellino: Greci; Campobasso: Campomarino, Montecilfone, Portocannone, Ururi; Catanzaro: Andali, Caraffa, Marcedusa, Pallagorio, San Nicola dell'Alto, Maida, Nicastro; Cosenza: Acquaformosa, Castroregio, Civita, Firmo, Frascineto, Lungro, Plataci, San Basile, Santa Caterina Albanese, Spezzano Albanese, Trebisacce, Villapiana, Cerzeto, Mongrassano, San Benedetto Ullano, San Marino di Finita, Falconara Albanese, San Cosmo Albanese, San Demetrio Corone, San Giorgio Albanese, Santa Sofia d'Epiro, Vaccarizzo Albanese; Foggia: Casalvecchio di Puglia, Chieuti; Lecce: San Marzano di San Giuseppe; Palermo: Contessa Entellina, Palermo, Piana dei Greci, Santa Cristina Gela; Potenza: San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Barile, Maschito, Ripacandida; Teramo: Rosciano. Ma è da notare che in alcuni di questi comuni soltanto alcune frazioni sono albanesi; e che in altri i parlanti albanese sono una minoranza assai esigua (Maida 765 ab. su 4452, Nicastro 95 su 21.629, Trebisacce 32 su 2599, Villapiana 71 su 1690, Mongrassano 12 su 2123, Palermo soltanto 1580, San Cipirello 3 su 4998, Rosciano 163 su 3131), sia perché costituenti una frazione inserita poi in un più vasto comune, sia perché emigrate recentemente da antichi centri albanesi, come è il caso di Palermo e, forse, di S. Cipirello. I censimenti non dànno notizie utilizzabili sul numero di coloro che seguono il rito latino, quello greco unito e quello greco scismatico.
Bibl.: Dissertazione istorico-cronologica del Reggimento Real Macedone, Napoli 1767; Masci, Discorso sull'origine, costumi e stato attuale della nazione albanese, Napoli 1807 (e specialmente le edizioni segg., Napoli 1846 e 1847); Scutari, Notizie istoriche sull'origine e stabilimento degli Albanesi nel Regno delle Due Sicilie, Potenza 1825; Morelli, Cenni storici sulla venuta degli Albanesi nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 1842; Cenno storico sulla fondazione, progresso e stato religioso-politico delle quattro colonie greco-sicule, in appendice alla Storia di Scanderbeg, Palermo 1845; Borsa, Su gli Albanesi, ricerche e pensieri, Napoli 1847; Notizie storiche e documenti relativi ai comuni di S. Giorgio, Vaccarizo, S. Cosmo, Macchia, S. Demetrio, s. n. t.; Padiglione, Di Giorgio Castriota Scanderbech e de' suoi discendenti, Napoli 1879; Marchianò, Girolamo de Rada, Trani 1913; Marinelli, Il numero degli Albanesi in Italia, in Riv. geogr. ital., XX (1913), pp. 364-367. Per la lingua, v. albania.