Albenga
(lat. Albium Ingaunum, Albingaunum)
Città della Liguria in prov. di Savona. Dopo aver domato i Liguri Ingauni nel 181 a.C., i Romani fondarono A. in una pianura alluvionale formata dalla confluenza di quattro valli fluviali di transito verso l'entroterra e di sbocco di questa verso il mare. La ricostruzione della città a opera di Costanzo tra il 415 e il 420 d.C., spunto di ammirazione per Rutilio Namaziano, che nell'autunno del 417 ricorda per Albingaunum una nova urbs (Ferrari, 1973), è commemorata dalla nota iscrizione (CIL, V, 2, nr. 7781) affissa nell'atrio del palazzo vescovile. I versi dell'epigrafe ritagliano un profilo della città attualmente perduto quanto a morfologia di monumenti, ma che trova conferme per il forum, in attesa di sondaggi nel sottosuolo presso la cattedrale, il portus, oggi interrato a ridosso della località Monte e consegnato dal solo toponimo Vadino, i tecta, oggi individuati e delineati, all'interno del quadro urbano, i moenia, pervenuti con grosse lacune e, più in generale, il Constanti murus con le sue portae. Questo murus con i suoi valichi restituisce i contorni di quella rifondazione urbana operata da Flavio Costantino (divenuto poi imperatore con il nome di Costanzo III), tramite la quale si segna la nascita di A. come città medievale, ricostruita per volontà dell'imperatore dopo le incursioni di Goti e di Vandali. Incursioni che, enfatizzate da topoi di una letteratura antica quanto all'entità di danni inferti, non devono aver corrotto la maglia cittadina più di tanto se questa è pervenuta pressoché integra fino a oggi, consegnando un impianto in sostanza romano che ebbe origine negli anni immediatamente successivi all'89 avanti Cristo. In elevato questa facies ha restituito un solo edificio: il celebre 'Pilone', monumento funerario lungo la via Iulia Augusta, restaurato, che denuncia un ambiente di cultura gallo-italica e la via aperta a influenze d'Oltralpe.
Più delle fonti scritte, sono i resti anche esigui dei monumenti di pietra ad attestare continuità di immagine nel divenire del centro urbano, che fu sede di un comes e di un tribunus nel 568 d.C. e caposaldo nel quadro della Liguria maritima e del limes bizantino.
Il murus di Costanzo insiste esattamente sui moenia di età repubblicana sia a S, sia a O del perimetro, divenendo supporto assieme con questi delle successive mura del Medioevo.
La civitas medievale è connotata dai monumenti religiosi che nella cattedrale, battistero, basiliche cimiteriali e non, necropoli, si enucleano quale fulcro di una storia nuova con esordio sulla scena ufficiale quando Eusebio, vescovo di Milano nel 451, inviò la nota epistola a Leone I papa e Quinzio, "episcopus Ecclesiae Albingaunensis [...] cum aliis episcopis consentientibus", la sottoscrisse.
La dipendenza dalla capitale lombarda e dalla sua cultura architettonica è confermata dalla morfologia dei monumenti e più che dalle strutture della cattedrale paleocristiana (fine sec. 4° - inizi 5°), per la quale sussistono problemi di identificazione, dalla forma ottagona del battistero pressoché coevo (sec. 5°): un monumento di rilievo per la protocristianità della Liguria, i mosaici del quale - superstiti nel catino dell'abside - ribadiscono la filiazione milanese con una iconografia di accento trinitario in polemica antiariana tanto scoperta da non consentire dubbi, visualizzando la formula nuova del rito ambrosiano, codificato da Ambrogio con la sua liturgia (Musso Casalone, 1963; Sciarretta, 1966). Accanto, il ricordo di santi 'milanesi' quali Vittore, Lorenzo, ecc., menzionati nell'iscrizione musiva - restaurata con l'insieme del contesto a fine '800 (Marcenaro, 1987) - certifica un riferimento che si configura quale costante per i secoli avanti e per quelli a venire.
In parallelo al nucleo episcopale, sorto nel cuore della città di Costanzo, non molto è dato conoscere circa la morfologia di basiliche funerarie extra muros, delle quali è stata rinvenuta l'esistenza e che l'archeologia sta recuperando. È il caso di S. Calocero a S e di S. Vittore a N della città. Del primo, che si trova presso la zona del Monte e che dipendeva dal monastero dell'isola Gallinaria, è significativa la dedica a un martire locale la cui inventio dovuta all'abate Marinaces è giunta tramite un'epigrafe di menzione privilegiata (Lamboglia, 1965); gli scavi in corso denunciano una stratigrafia complessa e una cronologia da revisionare (Pergola, 1987). Del secondo, confermato al sec. 4°-5° (Costa Restagno, 1985, p. 56) e di cui permangono i ruderi, si impone il titolo di chiara ascendenza milanese. Entrambi si collocano all'interno di vaste necropoli extra moenia, di confessione cristiana in seconda battuta, sorte a latere della via Iulia Augusta già dai tempi della romanità, con un servizio protratto fino al Tardo Medioevo.
Dell'arredo di questa civitas christiana le testimonianze sono scarse, riferendosi, quasi in esclusiva, a un sarcofago tuttora custodito nel Civ. Mus. Ingauno che rinvia all'area più genericamente norditalica piuttosto che a quella in specifico milanese (Cavalli, 1987, pp. 30, 33). In pietra locale, di quella struttura a cassa che è comune al territorio della Padania, il pezzo acquisisce rilievo non certo per qualità quanto per la sua iconografia singolare, utile a illuminare la cultura artistica di A. nella sua genesi dal Paleocristiano all'Alto Medioevo e nel suo patrimonio di ascendenze e correnti culturali (Quartino, 1978). In quest'ottica si impone non tanto l'immagine della c.d. 'runa', quanto l'economia dello spartito a perno sulla croce, campita nella pagina anteriore con sviluppo dei bracci in orizzontale così anomalo da scompaginare il prototipo del signum salutis e della sua mediazione ravennate sotto la spinta di modelli astili, qui evocati in dissolvenza e ruotati di 45° quanto a direzione di lettura; questo contesto significa un modo nuovo di intendere e di scolpire e introduce nel primo Alto Medioevo nonostante la cronologia del reperto, già assegnato al 6° secolo.
Poco dopo - nel 643 - l'invasione di Rotari segnò sul terreno quella svolta di storia preannunciata dalle immagini: le parole plurimenzionate dello pseudo-Fredegario (Chronicum continuatum; PL, LXXI, col. 651), che la celebrano con un'enfasi superiore alla realtà dell'accaduto, stanno a significare piuttosto un nuovo corso di tempi e di civiltà.
Il giro di boa non interessa tanto la figura urbana di A., quanto piuttosto l'arredo del complesso episcopale, che denuncia una presenza forte della cultura 'delle capitali' nell'orizzonte del regno romano-barbarico se si valuta l'attività in loco della 'bottega delle Alpi marittime', riconosciuta da Casartelli Novelli (1978), per il decoro - fissato al primo sec. 8° - della celebre tomba ad arcosolio nel battistero.
A seguito di un'impasse d'inizio nella vicenda della città ascrivibile all'impatto con la conquista di Rotari e al decollo di una cultura fatta di nuovo e d'antico, A. avrebbe guadagnato una posizione prestigiosa di risulta collocandosi in attivo nel quadro del comitato longobardo e quindi franco. La conferma di una egemonia reale viene dal carattere colto, se non proprio aulico, della cultura figurativa elaborata nel cantiere episcopale fra il sec. 8° e il 9°, laddove l'arredo liturgico in marmo, restituito frammentario da scavi recenti e oggi nel Mus. Diocesano, testimonia la rinascita di un centro urbano che si polarizzava nella propria cattedrale.
Il rarefarsi del tessuto cittadino e la presenza di terreno alluvionale negli strati corrispondenti ai livelli da assegnare a un periodo tra i secc. 9° e 10° stanno a certificare uno stato di abbandono generale con contrazione demografica, probabilmente dovuto a modifiche sostanziali nella morfologia del paesaggio e forse anche a quelle incursioni dei Saraceni che nessuna storia scritta tramanda.
Di contro, la stabilità di vita urbana deve essere stata reinstaurata a opera di Berengario II e dalla costituzione della marca arduinica di cui A. rappresentò un centro di primo piano che si industriò a ricostruire la propria cattedrale e a erigere dappresso il campanile. In città e nel suburbio dovevano esistere una curtis regia non ancora localizzata, ma citata in un diploma di Adelaide di Susa del 4 luglio 1049 (Historiae Patriae Monumenta, VI, coll. 145-146), nonché "cazas cum suis atriis et ingressibus ortis accessibus et palmario" - quest'ultimo verisimilmente un ospizio - menzionati nel 1047 in un diploma di Enrico III del 1 maggio (MGH. Dipl. reg. imp. Germ., V, pp. 250-255). La carenza quasi totale di esistente da riferirsi a questa stagione della città non comporta di suo il sottovalutare del persistere in loco di una cultura aulica ancora senza volto, che si colloca tuttavia quale presenza documentata e di rinvio verso l'entroterra e l'Oltralpe nel programma di una campagna di fondazioni monastiche e di donazioni, promossa a partire da Adelaide di Borgogna (931-999) fino ad Adelaide di Susa (1015 ca.-1091) e forse oltre, interessata all'intero suolo ligure, attraverso la quale si viene a creare un connettivo di cultura fra il Levante e il Ponente con un epicentro in Genova e che spiega alcune manifestazioni auliche altrimenti indecifrabili (Dufour Bozzo, 1987).
Fra i secc. 12° e 13° la spinta edilizia deve essersi consolidata e incrementata con l'esito dei commerci fiorenti nel quadro dell'orizzonte crociato e con l'istituzione del Comune. Fu a partire da questa fase che A. si creò ancora una volta un'identità forte, lottando poi a lungo per mantenerla a fronte degli appetiti di Genova, cui peraltro dovette capitolare in definitiva nel 1251 a seguito di numerose convenzioni, fra le quali una - rinvenuta di recente - ricorda nel 1196 la cattedrale di S. Michele, il battistero di S. Giovanni, il monastero di S. Martino alla Gallinaria e la chiesa di S. Maria in fontibus (Lamboglia, 1958). Della cultura artistica all'esordio di questo nuovo corso, presumibilmente in dialettica con il capoluogo ligure, sono pervenute tracce assai esigue anche perché, all'inizio del sec. 13°, la deviazione del fiume Centa lungo le mura a S cancellò gli indizi e infranse la continuità di immagine urbana. L'esito dell'intervento dettato dalla violentia fluminis fu l'allontanarsi della linea di costa con il definitivo interro del porto e il declino della vocazione marinara della città a favore di quella agricola.
Dall'analisi archeologica del tessuto urbano di oggi risulta che la maggior parte delle costruzioni pervenute risale a questa tappa del percorso di A. di cui danno ampiamente notizia gli statuti inediti del 1288 conservati nella Bibl. D'Oria di Camporosso.Il perimetro del murus civitate Albingane, attestato per l'edizione del Medioevo nel 1167, fu ampliato e corredato di fossata, barbacanas (1288 ss.), berteschis (1363), porte e pusternas (1288 ss.). A S-E doveva aprirsi la porta Sancti Anthoni oggi perduta, non lontana dalla porta Pertuxii, invece esistente a S e rifatta, mentre la porta Sancte Cecilie è di difficile localizzazione e la porta Turlate si trova spostata verso N-O con un'immagine nuova. Alle quattro porte maggiori facevano capo altrettanti quartieri in cui era suddivisa la città sotto il profilo economico e amministrativo (Statuti, 1288 ss.). La cattedrale fu ricostruita nel 1270 a opera del vescovo Lanfranco di Negro e restituita a tre navate con un'immagine di identità debole che studi in corso intendono recuperare; il campanile fu riedificato nel 1393-1398 su progetto di Serafino Mignano 'prete architetto', cui si deve ancora il ripristino delle mura di città e di conseguenza esperto d'architettura militare così come visualizza a tutt'oggi il poderoso saliente; S. Maria in fontibus di oscura origine altomedievale e forse concattedrale, esistente vicino al duomo, conobbe un ripristino nel Basso Medioevo; S. Domenico fu eretto entro le mura a O del quarterium Sancti Syri alla fine del sec. 13° e S. Francesco, nel 1244 ubicato extra moenia, poco dopo il 1322 fu ricostruito in città nel quarterium intramurano Sancte Marie a N; entrambi, dotati di un chiostro all'inizio del sec. 15°, furono aboliti con altri monasteri nel 1798 e oggi sono adibiti a magazzini e abitazioni; S. Bernardino - quasi completamente perduto - fu costruito fuori città sulla collina nella seconda metà del sec. 15° con un chiostro che recepisce la lezione di un Rinascimento alle porte.
Esistono ancora gli attestati dell'edilizia pubblica civile di cui è giunta notizia dalle fonti scritte e di cui permangono resti di pietra in elevato o per lo meno indicazioni relative agli spazi d'uso. Un edificio denominato nei rogiti Capitolum, sito dinanzi al duomo e quasi distrutto nel 1600, fu sede degli uffici comunali dal 1275 assieme con il Palacium comunis; uno dei numerosi carceri comunali, ubicato nei fundi Turris del giudice, fu più volte riparato (anni 1389, 1406, 1407, 1419, ecc.) e ancora esiste; un molendinum con annesse chiuse - oggi perduto - fu eretto a spese del Comune nel 1175 a N delle mura, per essere incluso entro il circuito del 1421 dando il nome alla porta urbana adiacente; il puteus Aure poi Aronorum nella regione di S. Siro a S e il puteus Turlate a ponente presso la porta omonima erano di proprietà del Comune nel 1288; al pari della clavica a S-O, ricordata dagli statuti del 1288, e del balneus, testimoniato sempre nel 1288 e da localizzare presso S. Domenico a O, o ancora del macellum presso le mura a settentrione, costruito nel 1381. Esistevano anche degli ospedali, uno dei quali posto all'angolo S-E delle mura ebbe vita duratura.In relazione agli spazi urbani sempre di uso pubblico, è nota una serie di plateae, come quella ubi venduntur fructus, ovvero ubi vendunt panem, ricordate nel 1288, o ancora la clapa piscium fuori porta castri a E, ritenute mercati di importanza spicciola accanto a empori di frequenza più qualificata come il forum carnium (1420 ss.) presso l'attuale piazza Cavour a N, il forum ubi venditur oleum presso la chiesa di S. Lorenzo a O (1414 ss.), il forum lane accanto a S. Siro ancora a O (1440 ss.), la platea canapi sempre presso S. Siro (1413 ss.) e soprattutto il "forum platea callegariorum o scoperiorum", mercato più importante che si svolgeva nell'area vicino al battistero e al palazzo vescovile. Il paesaggio urbano vede inoltre spazi affidati a orti, come quello de la clapa presso la riva del mare, e aree riservate a fiere annuali, come le nundinae all'inizio di luglio, regolate dagli statuti del 1288, svolte in una non meglio identificata ripa (forse maris), o il mercato settimanale del sabato che si riuniva nella già ricordata platea canapi (1387, 1391 ss.).
A fronte di una documentazione scritta in rapporto all'edilizia pubblica - reperita negli archivi e proiettata sul suolo dall'indagine di Costa Restagno (1979; 1985), tanto ferace da consentire di recuperare l'immagine urbana di A. e il suo vissuto nel corso del Tardo Medioevo - emerge l'assenza di rogiti in relazione all'edilizia privata da imputare alla perdita dei cartulari notarili avanti il 15° secolo. Circa le fabbriche dei signori di questa stagione urbana l'esistente consegna indizi talora anche di pregio, tesi a certificare l'identità e lo spessore dell'incremento edilizio a partire dalla metà del sec. 13°, dovuto al vistoso fenomeno di inurbamento delle famiglie feudali con il loro cospicuo potenziale di ricchezza. La rinascita architettonica fra i secc. 12° e 13° riconosce la propria immagine più significativa nelle celebri torri, quei monumenti per cui A. va giustamente famosa giacché rappresentano a tutt'oggi il tratto peculiare del paesaggio urbano. Costruite su basi di pietra e con paramento laterizio, i salienti di altezza inconsueta e coronati per lo più da fastigi piombanti con serie scalari di archetti pensili, le torri rinviano a certa cultura architettonica che nel capoluogo ligure si afferma - fra le molte - nella torre superstite della curia Ebriaci (1186 e sec. 13°) o nella torre del palazzo Ducale e forse anche nella celebre torre-lanterna eretta sul molo già nel 1128 (Forti, 1971). Ad A. appartengono a un periodo di poco posteriore la casatorre in vico dell'Olmo coronata da merli ghibellini, forse quella presso via Roma e altre ancora poi resecate, senza contare la poderosa torre del Comune che assieme al campanile del duomo sovrasta le altre in altezza. Al di là di una sequenza di menzioni però - alle quali va aggiunta quella relativa alla torre della famiglia De Iustinice ricordata nel 1389 - la carenza di indagini specifiche non consente considerazione alcuna in rapporto alla cultura che informa questi edifici.
È da ricordare intorno alla metà del sec. 13° un numero cospicuo di 'villenove' delle quali la più antica, prestigiosa e abbastanza integra, è Villanova di A. edificata nel 1255.
Se l'immagine urbana di A. nel Basso Medioevo esiste, il suo arredo è quasi del tutto da recuperare. La testimonianza della cultura artistica in città è da affidare in esclusivo a quanto è pervenuto della sola produzione pittorica sul territorio urbano e nel contado. In città, poco si riconosce di botteghe attive fra i secc. 13° e 14°, benché il contratto del 1367 a Francesco da Genova pictor Sanctorum per una conca magna in cattedrale di cui s'è persa traccia depone a favore di una committenza - almeno religiosa - piuttosto efficiente. Nel contado, gli affreschi di S. Giorgio di Campochiesa nella loro stratigrafia dal sec. 13° in poi (del 1446 è il noto Giudizio universale) stanno a documentare una cultura rivitalizzata, la valutazione della quale esula dal quadro dell'immagine urbana. Intorno al 1420 un pittore, Noè de Ambroxii da Siena, stabilitosi ad A. dal 1406, è un nome ancora senza opere, forse da collegare alla coeva presenza di pisani e senesi attivi nel capoluogo ligure, ma nella seconda metà del secolo il panorama albingauno si trasforma per l'incremento di una corrente pittorica forte che scende con artisti dal Piemonte a immettere una 'moda cortese' di ascendenza d'Oltralpe (Castelnovi, 1970); il "presbiter Iohannis de Canavexiis de Pinayrolo" opera nel 1472, 1474, 1475 ed è fra i pittori più rappresentativi del gruppo (Crocifissione nella loggia comunale). Poco prima - nel 1463 - il vescovo Napoleone Fieschi commissionava a un maestro rimasto anonimo la decorazione della nuova cappella vescovile nella torre del suo palazzo ripristinato appositamente, l'iconografia della quale richiederebbe uno studio a sé tanto è indicativa e tipica del suo momento di cultura (ciclo dell'Infanzia di Cristo, Sibille, Dottori, Evangelisti, ecc.). Tommaso e Matteo Biazaci da Busca nel 1474 affrescarono il presbiterio di S. Bernardino con un Giudizio universale di prammatica e nel 1478 dipinsero il polittico per S. Maria in fontibus, commissionato loro almeno in parte dal Comune. In contemporanea o quasi, una scuola di orafi e argentieri che si affermò a lungo nel tempo lavorava a opere come il reliquiario di S. Verano, eseguito da Bernardo Folco nel 1475 e ora nel Mus. Diocesano.
Bibliografia
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Fonti edite:
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