CHIAVELLI, Alberghetto
Figlio di Tomasso e forse la personalità di maggior rilievo della famiglia che esercitò il potere signorile a Fabriano, solo in anni recenti ha potuto deporre la veste biografica fasulla e sovrabbondante cui l'aveva condannato la credula storiografia cinquecentesca.
Per un errore compiuto la prima volta non si sa bene se dal Sansovino o dallo Scevolini, la vita del C. era stata saldata con quella del nonno omonimo: gli studiosi locali hanno così continuato a riproporre per secoli un uomo dalle doti fisiche eccezionali, nato intorno al 1258, anno della morte di Gualtiero padre del primo Alberghetto, e scomparso intorno al 1370, stranamente attivo come uomo d'armi anche nell'età che per i longevi è di sfinimento. È merito del fabrianese R. Sassi aver recuperato alcuni dati, non sempre definitivi, ma comunque utili e tali da indurre a considerare con cautela maggiore di quanto lo studioso non abbia fatto la vecchia letteratura sul personaggio e la famiglia.
Il nonno, Alberghetto (I), figlio di Gualtiero, pare sia nato intorno al 1230. Un documento notarile (22 febbr. 1271) lo indica come testimonio all'atto con cui Consiglio, decurioni e podestà di Fabriano danno mandato a Paolo di Attone di trattare la pace coi feudatari di Salmaregia. Nel 1295 risolve con una transazione la lite insorta tra lui e il Comune circa il dominio di alcuni monti.
Nel 1298 interviene, probabilmente come garante di parte ghibellina, in una deliberazione che interessa l'abbazia di S. Vittore delle Chiuse. Morì intorno al 1305.
Il C. era invece figlio di Tomasso, e nacque, pare, intorno al 1290.
La riscoperta di Tomasso, dai vecchi storiografi inspiegabilmente dimenticato, è stata determinante per inserire una cesura tra nonno e nipote omonimi. Tomasso nel 1307 fu primo allibratore del catasto del Comune; nel 1308, aiutato dai fratelli Aldobrandino e Casaleta, riuscì ad imporre, come abate di S. Vittore, Crescenzio, altro fratello, religioso dai pessimi costumi; nel 1313 fu podestà di Todi; già prima del 1320 svolgeva attività negoziale come capo della famiglia Chiavelli; nel 1325 ricoprì in patria la carica di gonfaloniere e di defensor populi. Non si conosce la data della sua morte, ma da un atto del 20 luglio del 1329 risulta che i figli hanno la disponibilità dei suoi beni.
L'acquisizione di questi pochi elementi certi, riferibili a Tomasso, mette in evidenza un altro errore compiuto dalla vecchia storiografia.
Secondo il Sansovino e lo Scevolini il C. nel 1306, per un'insurrezione del popolo, sarebbe stato cacciato da Fabriano insieme ai suoi; trasferitosi a Napoli avrebbe militato prima al servizio di Carlo II e poi di Roberto; avrebbe infine ripreso il potere sulla sua terra natale nel 1317 con l'aiuto di trecento cavalleggieri portati dal Regno. La carica ricoperta da Tomasso in patria nel 1307 e il colpo di mano da lui perpetrato nel 1308, per tacere d'altro, rendono del tutto inverosimile un così lungo esilio. Se non si vuole disattendere completamente la notizia, bisogna ritenere che l'esilio ebbe durata brevissima, e ciò non contrasta con quanto sappiamo circa la fluidità della situazione politica fabrianese del tempo e il rapido alternarsi delle fazioni cittadine.
Nei documenti pubblici fabrianesi relativi al terzo decennio del XIV secolo, finora emersi, il C. non compare mai; ciò nonostante non v'è motivo per disattendere le numerose testimonianze provenienti da vari centri della Marca che lo presentano tra i protagonisti di quegli anni tumultuosi durante i quali Fabriano, certamente coinvolta dai Chiavelli, partecipò attivamente alle controversie fra Papato e Impero, parteggiando, non senza periodici approcci di pace con Giovanni XXII, per Lodovico il Bavaro.
Probabilmente il C., finché era vivo il padre, si limitò ad assecondarne la politica mediante interventi militari, certamente concordati e spesso fruttuosi, in varie località della Marca. Nell'agosto del 1322 egli, a capo di duecento soldati, combattè nello schieramento ghibellino impegnato a restituire ai Gozzolini, tiranni spodestati di Osimo, la città sottratta loro pochi mesi, prima da Amelio di Lautrec, rettore della Marca. L'esito favorevole dell'impresa e l'appoggio politico degli alleati, soprattutto osimani e recanatesi, pare abbiano riaperto Fabriano ai Chiavelli anche essi estromessi dalla Terra. La presenza sicura dei Gozzolini a Fabriano, dall'ottobre 1323 al febbraio 1324, ne potrebbe essere la prova. I primi, colpiti da scomunica per ribellione al Papato e per nefandezze incredibili consumate, a dire dei guelfi, contro la religione, conquistarono alla causa antipapale molti cittadini fabrianesi di rilievo, inclusi preti e religiosi.
Nel maggio del 1325 il C. accorse di nuovo in soccorso dei Gozzolini assediati dall'esercito guelfo: Fabrianesi e Fermani entrarono di notte ad Osimo e l'indomani, con improvvisa sortita, seminarono la strage fra gli avversari sparsi nelle campagne circostanti intenti a depredare. Nel gennaio 1326, avvalendosi dell'aiuto dei Fermani, il C. conquistò Roccacontrada (oggi Arcevia), castello fedele al Papato, e fece trucidare moltissime persone. Sfortunati invece gli scontri con i guelfi, capitanati da Tano Baligani di Iesi, presso i castelli di Morro d'Alba e Fornoli, avvenuti rispettivamente nel luglio del 1326 e nel 1327.
I numerosi morti fabrianesi lasciati sul campo servirono ai nemici interni dei Chiavelli per rinfocolare l'opposizione. Dopo il 1330 il C., ormai successo al padre come capo della famiglia, cercò di consolidare il potere di fatto su Fabriano, sovrapponendosi alle istituzioni comunali. Ma il suo non era un potere incontrastato. Nel 1336 Benedetto XII insistette, minacciando pene spirituali, per ottenere il risarcimento dei danni arrecati dai Fabrianesi durante le ostilità contro Giovanni XXII. Nel 1338 il C., con intrighi, sottrasse al Comune la rocca di Almatano. Il partito antichiavellesco, sfruttando l'ondata di diffuso risentimento provocata dall'usurpazione, ebbe finalmente il sopravvento: il "popolo" non solo riconquistò la rocca, ma passò al contrattacco assediando quella di Bellario e radendo al suolo quella della Mitola, entrambe da tempo in mano ai Chiavelli. In Fabriano fu la guerra civile fra i sostenitori e gli avversari dei tiranni. Il pontefice nel mese di maggio inviò come messaggero di pace Lippaccio di Osimo, ormai peccatore tornato all'ovile, ma per tanta parte responsabile primo della militanza ghibellina e degli attuali guai di Fabriano. La cessione al Comune della rocca di Bellario e la restituzione ai Chiavelli di alcuni beni familiari non valsero a riportare la pace. Riuscì nell'intento, impegnandosi personalmente, Giovanni di Riparia, rettore della Marca. Dagli Excerpta ex processu de statu Marchiae Anconitanae (in Theiner, II, n. CXXVIII) dell'anno 1341 apprendiamo che il dominio dei Chiavelli su Fabriano e il suo distretto, durato secondo le testimonianze, ovviamente approssimative, venti anni e più risulta, in quel momento, invero troppo ottimisticamente, estirpato. Fabriano, i suoi castelli e terre, con l'eccezione di Roccacontrada subordinata alla iurisdictio del Comune più importante, sono tornati da circa tre anni al dominio diretto del Papato. In tutte le deposizioni rese durante l'inchiesta è ricordato Tomasso come instauratore della tirannide; a lui sono successi il C. e i fratelli.
Nel 1344 il C., con l'aiuto di Nolfa da Urbino, riuscì ad impadronirsi di nuovo di Fabriano, e in seguito superò agevolmente due tentativi di spodestamento. Nel 1347 ospitò Luigi d'Ungheria diretto nel Regno di Napoli per vendicare la morte del fratello e lo seguì nella spedizione a capo di mercenari. Tornato nella Marca difese, con fortuna varia, località a lui contese da Comuni limitrofi e da altri tirannelli.
I primi successi politici e militari conseguiti dal cardinale Egidio d'Albornoz indussero il C. a mettersi al servizio del vicario e legato pontificio, nella speranza di ottenere un riconoscimento, sia pure non formale, alla sua signoria. Il 10 dic. 1354, ad Orvieto, non solo fu assolto dalla scomunica inflittagli per aver fatto lega coi nemici della Chiesa, ma ottenne l'esenzione decennale dal pagamento dei tributi immobiliari. Nella Descriptio Marchiae (in Theiner, II, n. CCCXXV) che si fa risalire all'anno 1356, Fabriano e distretto, sia pure sine titulo, risultano essere ancora in mano dei Chiavelli. Ma un incontro con gli esuli fabrianesi perseguitati dai tiranni offrì all'Albornoz il pretesto per promuovere un'inchiesta e per autorizzare il rientro di coloro che erano stati banditi. I due provvedimenti e la ribellione del castello di Albacina sembrano aver provocato l'aperta rivolta del C. contro l'autorità pontificia.
Nel luglio del 1362 il realismo politico indusse però l'Albornoz a concludere la pace coi Chiavelli che così tornarono ad insediarsi a Fabriano; nel 1365 sono tuttavia nuovamente cacciati e dichiarati ribelli. Un breve ritorno nel 1367 portò il 28 dicembre a una gravissima insurrezione contro di loro, provocata a quanto pare dal figlio del C., Guido, capace come pochi altri di suscitare odi feroci o consensi incondizionati. Il cardinale Anglico, vicario in temporalibus della Chiesa in Italia, inviò il 1º gennaio successivo, come reformator, Enrico di Sessa, vicario in spiritualibus della Marca. I Chiavelli, ospiti dei conti e castellani della Genga loro parenti, reputarono opportuno sottomettersi al papa. Dapprima si pacificarono col Comune, che riconobbe validità a tutti gli atti compiuti dai signori, ad eccezione di quelli di natura finanziaria ancora sospesi (doc. del gennaio 1368); il 10 genn. 1368 conclusero la pace col card. Anglico, che si impegnò ad annullare le sentenze pronunciate ed i processi pendenti contro di loro. Il 26 settembre lo stesso cardinale assegnò ai Chiavelli, in particolare al C. e al fratello Giovanni, per il decoroso mantenimento delle rispettive numerose famiglie, duemila fiorini d'oro annui; concesse loro inoltre, come luoghi sicuri di residenza, i castelli di San Donato e di Chigne.
Il Sassi fissa induttivamente la morte del C. intorno al 1376: gli atti negoziali della famiglia fra il 1370 e il 1375, pur compiuti dal figlio Guido, testimoniano che il padre era vivo anche se lontano dalla vita attiva e forse impedito.
La figura del C., innumerevoli volte al comando della sua Terra e altrettante cacciato, può essere assunta come esempio di indomito attaccamento al potere. Né l'avversa politica dei grandi né la più fiera resistenza delle libertà comunali riuscirono a flettere la sua pervicacia. Probabilmente solo l'importanza strategica di Fabriano, definita dal card. Anglico clavis provincie - equindi indispensabile alla Sede apostolica per il controllo della Marca -, e l'opposizione cittadina, singolarmente strenua, gli impedirono di conseguire risultati politicamente più solidi. Va però aggiunto che nel panorama dei tiranni locali il C. non fu tra i più abili nel prevedere gli schieramenti vincenti o nel procurarsi consensi a livello cittadino.
Per quel che riguarda il governo signorile attuato dal C. e dai suoi consortes è da ritenere che sotto il profilo politico e giuridico non si discostasse da altri simili coevi: nessuna legittimazione da parte di un'autorità esterna superiore; piuttosto probabile, nonostante i continui singulti di rivolta, una qualche investitura formale da parte del Comune. I Chiavelli, infatti, non si limitarono ad influire sulle sue scelte politiche, ma spesso si sostituirono agli organi tradizionali compiendo atti di governo, amministrativi e finanziari. Il documento del gennaio 1368 - con cui il Comune cerca un modus vivendi coi Chiavelli rimossi ma attestati nel contado - fa chiaro riferimento a questi atti talora compiuti, talora determinati, da vari membri della famiglia. Il Comune, ratificandoli, mette ben in rilievo come tali provvedimenti, pur non posti in essere dai suoi organi, sarebbero rientrati nelle sue competenze.
Fonti e Bibl.: A. Theiner, Codex diplom. dominii temporalis S. Sedis, II, Rome 1862, nn. XXIII pp. 13 s., CXXVIII pp. 106 ss., CXLIV, pp. 144 ss., CCCXXV pp. 338 ss., DXXVII pp. 527 ss.; A. Zonghi, Carte diplom. fabrianesi, I, in Collez. di doc. stor. antichi delle città e terremarchigiane, a cura di C. Ciavarini, II, Ancona 1872, n. CCLXV, pp. 303 s.; R. Sassi, Le pergam. dell'Arch. domenicano di S. Lucia di Fabriano, in Fonti per la storia delle Marche, Ancona 1939, nn. VII, p. 139; IX, p. 140; Id., Docum. chiavelleschi,ibid., Ancona 1955, ad Indicem;Id., Le carte del monastero di S. Vittoredelle Chiuse sul Sentino, Milano 1962, n. 461, p. 142; n. 538, p. 170; n. 553, p. 174; n. 640, p. 203; n. 664, pp. 208 s.; J. Glénisson-G. Mollat, L'administration des Etats de l'Eglise au XIVesiècle. Correspondance des légats et vicaires-généraux: Gil Albornoz et Androin de la Roche (1353-1367). Paris 1964, ad Indicem; F. Sansovino, Della orig. et de' fatti delle fam. ill. d'Italia, Vinegia 1582, ff. 194r-196v; G. D. Scevolini, Dell'ist. di Fabriano, in G. Colucci, Delle antichità picene, XVII, Fermo 1792, pp. 74-96; O. Marcoaldi, Guida e statistica della città e comune di Fabriano, Fabriano 1874, pp. 51 s.; F. Montani, Lettere sule origini di Fabriano, Fabriano 1922, ad Indicem. V. Benigni, Compendioso ragguaglio delle cose piùnotabili di Fabriano, Tolentino 1924, p. 81; R. Sassi, Un abbate guerriero,mondano e simoniacodei tempi di Dante, in Atti e memorie d. Deput. di storia patria per le Marche, s. 4, III (1926), pp. 219-39; Id., La partecipazione di Fabrianoalle guerre della Marca nel decennio 1320-1330,ibid., s. 4, VII (1930), 1-2, pp. 57-129; Id., Notizie sui cardinali e vescovi fabrianesi, Fabriano 1930, p. 11; Id., IChiavelli, Fabriano 1934; B. Molajoli, Guida artistica di Fabriano, Fabriano 1936, passim (v. soprattutto il sommario storico, pp. 8 s., redatto dal Sassi); R. Sassi, L'anno della morte di A. II C., in Atti e memorie della R. Deput. di storia patria per le Marche, s. 6, III (1943), pp. 1-30; Id., L'albero geneal. dei Chiavelli signori di Fabriano,ibid., s. 9, XI (1956), pp. 15-26.