ROMANO, Alberico
da. – Penultimo dei sei figli di Ezzelino II e di Adelaide dei conti di Mangona, Alberico nacque certamente dopo il 1194, cioè dopo il fratello maggiore Ezzelino III che lo precedeva immediatamente, e probabilmente entro il 1198, presunta data di nascita della sorella minore, Cunizza (si vedano le voci Romano, Ezzelino II da, Romano, Ezzelino III da e Romano, Cunizza da in questo Dizionario).
Secondo la cronaca di Gerardo Maurisio, il causidicus vicentino fedelissimo del casato da Romano e dell’Impero, Alberico fece la sua comparsa nella vita pubblica non prima del 1221 (o 1222), quando la sua fazione (pars domini Alberici) venne riammessa a Vicenza dopo una breve estromissione dell’intero clan romaniano (Cracco, 1988, p. 91). Il destino di Alberico sembra in effetti in questi anni decisamente legato alla città berica. Di lì a poco, nel 1223, avvenne la spartizione tra i due fratelli dell’immenso patrimonio familiare e al fratello minore toccò proprio il blocco vicentino, comprensivo anche dei diritti sulla Valsugana, su Bassano e sostanzialmente sulla sponda di destra del basso corso del Brenta fino a Fontaniva (Gli Acta comunitatis..., a cura di A. Michielin, 1998, doc. 29, p. 59; Bustreo, 2001, pp. 198-201; Il “Regestum possessionum comunis Vincencie” del 1262, a cura di N. Carlotto - G.M. Varanini, 2006, ad ind.). Allo stesso torno di anni, tra il 1221 e il 1222, risale anche il primo matrimonio di Alberico, che impalmò una non meglio precisata «domina Beatrix», forse consumando il matrimonio pubblicamente («duxit in uxorem et in palatio communis fecit nupcias et ipsius domine virginitatem defloravit»; Gerardi Maurisii Cronica..., a cura di G. Soranzo, 1913-1914, p. 20, e nota 6), mentre poco dopo Ezzelino III sposava Zilia dei veronesi conti San Bonifacio, e Rizzardo di San Bonifacio a sua volta si univa a Cunizza da Romano. Negli eventi che si successero tra il 1221 e il 1223 si può intravedere dunque una regia, presumibilmente quella del vecchio Ezzelino II, in procinto di ritirarsi a vita religiosa, volta a proiettare i fratelli da Romano in primo piano nello scenario politico regionale.
Subito però Alberico incontrò delle difficoltà proprio a Vicenza, dove il podestà Loderengo da Martinengo aveva favorito la costituzione di un Comune popolare ‘fittizio’ (una comunanza) cui aveva attribuito un terzo delle cariche complessive (Gerardi Maurisii Cronica, cit., p. 21), in contrasto con gli interessi di Alberico e di altri nobili, che furono banditi. Seguì a Vicenza una serie di podestà, prevalentemente lombardi, tutti ostili ai da Romano. Alberico poteva comunque contare ancora su molti sostenitori in città, tanto che orchestrò un colpo di mano con l’aiuto del fratello, accorso appositamente da Verona, e di altri esponenti di primo piano dell’aristocrazia vicentina (p. 22). Nel 1227 si fece così nominare podestà, secondo il cronista Rolandino per decisione del fratello Ezzelino (Rolandino, Vita e morte..., a cura di F. Fiorese, 2004, p. 92), carica che mantenne ininterrottamente per 29 mesi, fino alla fine del 1229. Avversato in città dal vescovo e dai potenti da Breganze, e fuori da Venezia, da Padova, dai Camposampiero, dai San Bonifacio e dagli Este, cioè dalla crème dell’aristocrazia della Marca, alla fine dovette abbandonare la guida di Vicenza e ritirarsi ancora una volta a Bassano. La presenza qui di Alberico e della sua masnada sollecitò però la reazione di una pars avversa, la sedicente ‘parte dei liberi’. In discussione era il diritto albericiano di esercitare nel castello bassanese i diritti di governo (comitatus et iurisdictio). Pur vicino alla Lega, l’arbitro – il veneziano Filippo Giuliano (in quel momento podestà di Vicenza) – si pronunziò in favore di Alberico: ciononostante gli albericiani vennero emarginati dalla vita politica cittadina, e contrastati nel territorio (Gerardi Maurisii Cronica, cit., p. 27). Risale a questa fase anche la notizia di un primo screzio tra i due fratelli da Romano, definito dalla fonte cronistica una quedam indignatio (ibid., p. 26), di cui non conosciamo le ragioni.
Una svolta nella vicenda politica di Alberico si ebbe nel maggio del 1232, quando i due fratelli da Romano si misero sotto la protezione di Federico II, incontrato da Alberico a Pordenone (Cracco, 1988, p. 99; Gerardi Maurisii Cronica, cit., p. 30). Iniziava dunque una fase di scontri e scaramucce (nel 1233 Alberico attaccò e devastò i dintorni di Cittadella), brevemente interrotta dalla precaria pacificazione realizzata nella Marca dal carisma mistico-emotivo del predicatore Giovanni da Vicenza (v. la voce in questo Dizionario). Anche negli anni immediatamente successivi (1233-36) Alberico si ritrovò immerso nelle questioni che laceravano la vita politica vicentina, nella quale dettava legge una composita aggregazione costituita dal cosiddetto ‘partito degli usurai’ e dalla fazione filopadovana avente come riferimento il marchese Azzo VII d’Este.
Alberico da Romano aveva accettato nel 1233 una delle clausole della pace di frate Giovanni, dando in sposa l’amatissima figlia Adeleita a Rinaldo d’Este, rampollo della famiglia marchionale che contendeva ai da Romano l’egemonia sul territorio tra Adige e Livenza (Gerardi Maurisii Cronica, cit., p. 35; Rolandino però, ancora nel 1239, definisce Adeleita «uxorem sibi [a Rinaldo] iam deputatam et nondum datam»; Rolandino, Vita e morte..., cit., p. 200).
Le sorti dei da Romano non poterono risollevarsi fino a quando Federico II non intervenne a ribaltare la situazione politica dell’intera Marca. Alla vigilia di Ognissanti del 1236 l’imperatore attaccò Vicenza, allora sotto la podesteria del marchese d’Este, la conquistò e la saccheggiò. Ne approfittò soprattutto Ezzelino III, che godeva di una speciale fiducia da parte di Federico, mentre Alberico da questo momento dovette muoversi, per un paio d’anni, nell’ombra del fratello.
Il cronista-panegirista Maurisio certo ne continuò a decantare il vigor mentre attaccava nel 1237 i cavalieri padovani nella località di Carturo, o mentre assediava per quaranta giorni il castello di Montorso, appartenente al nemico giurato Uguccione Pilio (Cronica, cit., p. 41). E tuttavia Alberico sembrava escluso da responsabilità dirette nell’organigramma federiciano nella Marca. In particolare, dovette irritarlo l’estromissione da qualunque ruolo a Vicenza, dove venne eletto podestà imperiale Tebaldo Francigena, a cui Alberico nel 1238 rifiutò l’obbedienza. A questo punto, pare su suggerimento di Ezzelino, Federico prese l’iniziativa di confinare in Puglia come ostaggi il marchese Rinaldo d’Este e la sua consorte, Adeleita, figlia appunto di Alberico (aprile 1239). Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Il 14 maggio 1239, infatti, in combutta con due esponenti del casato dei da Camino, Guecellone e Biaquino, con un colpo di mano Alberico tolse Treviso al controllo del podestà federiciano e ne assunse il dominio (Biscaro, 1931, p. 60). Nei giorni seguenti l’insediamento a Treviso, Alberico fu oggetto di una stretta marcatura da parte della Curia pontificia, testimoniata da una fitta corrispondenza indirizzata a lui e alle autorità ecclesiastiche della Marca perché si astenessero dal molestarlo (Gli Acta comunitatis..., cit., docc. 21, 22, 20, 19, 23, 24, 25, pp. 46-53). Iniziava così per Alberico una sorta di seconda vita politica, paradossalmente nella città che nella spartizione del 1223 era stata assegnata al fratello.
Nella prima fase la signoria albericiana assunse la veste formale di una podesteria consociata con Guecellone da Camino e – a quanto sembra in una posizione inizialmente di secondo piano – Biaquino da Camino. Ben presto il nuovo regime trevigiano incontrò però gravi ostacoli, perché Ezzelino attaccò sistematicamente i castelli del territorio e i possessi albericiani in genere, a cominciare dall’importantissimo castello di Bassano (1239; Biscaro, 1931, p. 62) ove Alberico possedeva una «domus magna […] dopnicalis in qua […] solebat habitare, posita super placiam» (Il “Regestum possessionum comunis Vincencie”..., cit., p. 183). Mai Ezzelino affrontò direttamente Treviso, preferendo lasciare al fratello il territorio trevigiano «come un osso ben spolpato», secondo l’efficace metafora di Gerolamo Biscaro (1931, p. 65). Morto Guecellone nel 1242, Alberico pensò ben presto a sbarazzarsi anche di Biaquino da Camino, accusandolo nel 1244 di tradimento. Nel contempo, molti esponenti di famiglie nobili trevigiane furono inviati al confino a Venezia, e molti altri si trasferirono nel capoluogo lagunare di spontanea volontà, dopo aver subito feroci persecuzioni e distruzioni di case e torri in città, come nel caso dei Bonaparte e degli Enghenolfi (I documenti..., a cura di D. Canzian, 1995, p. 116; Rando, 1996, p. 108). Si trattava di un fuoruscitismo che per essere antialbericiano non era comunque filoezzeliniano.
Sul profilo di Alberico come signore di Treviso, in conseguenza del ritrovato accordo con il fratello Ezzelino che segnò gli ultimi quattro anni della sua vita (vedi infra), è prevalsa l’immagine demolitrice della pubblicistica antiezzeliniana. Anzi, ad Alberico rispetto a Ezzelino si rimproverò un sovrappiù di depravazione sessuale e perversione al limite del sadismo. L’anonimo autore degli Annali di Santa Giustina menziona la sua «insaciabilis libido matronarum et virginum» (Annales..., a cura di G.H. Pertz, 1866, p. 178); Salimbene da Parma ricorda la morbosa determinazione con cui Alberico fece denudare davanti ai loro occhi le mogli, le figlie e le sorelle di trenta condannati, prima di impiccarli, per poi disperdere le sventurate così ridotte per i campi e i boschi. Secondo il frate di Parma, poi, Alberico era soggetto a tali scoppi d’ira che una volta, per aver perso il suo falco da caccia, si sarebbe abbandonato a gesti di sacrilega scurrilità davanti al duomo e persino sull’altare della chiesa (Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, 1966, pp. 363-367). In realtà, anche se provvedimenti di confinamento e persecuzione sono testimoniati almeno dal 1242, fu soprattutto dopo il 1258 che Alberico ricorse indiscriminatamente alle maniere forti, attuando quella che Rolandino non a caso chiamò «nova tyrampnis» (Vita e morte..., cit., p. 475).
La rozza malvagità di Alberico contrasta con l’immagine di cultore delle arti, e della letteratura trobadorica provenzale in particolare, pure ampiamente attestata. Protettore e mecenate dei trovatori Sordello da Goito (amante della sorella di Alberico, Cunizza) e soprattutto Uc de Saint-Circ, negli anni Quaranta attivo alla corte del signore di Treviso, Alberico fu partecipe in prima persona della temperie letteraria dell’epoca componendo almeno due testi in provenzale, sulle orme del suo maestro Uc (Peron, 1991, pp. 501-515).
Quanto al rapporto con la cittadinanza, gli studi di Daniela Rando (1996) hanno provato che anche a Treviso, come del resto nelle altre città sottoposte a signoria romaniana, è assai probabile che si fossero aperti spazi di partecipazione politica per la componente di ‘popolo’, e soprattutto dei notai, come provato dalla presenza di consiliatores populi nel 1245. Nel caso trevigiano questa partecipazione pare agevolata anche dall’assottigliarsi della «parte alta della piramide sociale» (p. 116) a causa dello scollamento del contado e del fuoruscitismo. Il regime albericiano, certamente, come sottolineato di recente da Gian Maria Varanini, non mancò di consenso interno fin quasi alla fine della sua parabola. La configurazione formale del potere del signore di Treviso appare oscillare tra il rispetto dell’assetto costituzionale (mantenimento del titolo podestarile) e il suo stravolgimento in direzione di una criptosignoria (condivisione iniziale della carica suprema, prolungamento indefinito della sua durata, mancanza di rinnovo consiliare, intermittenza nella menzione del titolo nella documentazione, specie quella più tarda, o alternanza rispetto ad altre qualifiche come capitaneus e dominus; Rando, 1996, p. 109; Varanini, 2013, pp. 55 s.).
Dopo la morte di Federico II Alberico cercò ripetutamente e quasi compulsivamente di farsi riconoscere i beni del fratello Ezzelino (condannato per eresia), prima da Guglielmo d’Olanda (1250), poi da Innocenzo IV (1252) e Alessandro IV (1254; Biscaro, 1931, pp. 69-71). Nonostante le conferme, la saldezza della posizione di Alberico, che a sua volta dubitava dei suoi alleati, sembrò vacillare. Alla presa di Padova da parte dei crociati antiezzeliniani, nel 1256, pare che il signore di Treviso non avesse partecipato. Il sospetto sulla sua fedeltà doveva in realtà già serpeggiare, se la sua comparsa poco dopo al campo di Longare, dove si trovava l’esercito del legato pontificio, secondo Rolandino aveva suscitato molto stupore tra i presenti (Vita e morte..., cit., p. 423). Poco dopo, il podestà di Padova liberata gli rifiutò l’ingresso in città, costringendolo ad accamparsi con il suo esercito a un miglio dalle mura. Sfiduciato dai crociati antiezzeliniani e sempre più in difficoltà a Treviso (p. 475), Alberico finì per stringere davvero un patto di alleanza con il fratello il 3 aprile 1257, a Verona (Gli Acta comunitatis..., cit., p. 66, doc. 30), e l’8 maggio successivo a Castelfranco gli consegnò tre figli in ostaggio, suggellando il patto con il bacio della pace (Il Chronicon veronense di Paride da Cerea..., a cura di R. Vaccari, 2014, p. 15). Puntuale giunse dunque la scomunica della Sede apostolica (Codice diplomatico eceliniano, a cura di G.B. Verci, 1779, p. 398, doc. CCXXXVII, 1258 giugno 16).
Il seguito è la cronaca del progressivo deterioramento della relazione tra il signore e i cittadini di Treviso, mentre a Venezia i fuorusciti si coalizzavano nel «comune extrinsecum» (Rando, 1996, p. 108). Morto Ezzelino nel 1259, Alberico dapprima trasferì nei suoi castelli del pedemonte averi e famiglia, e poi, nel 1260, quando il Consiglio trevigiano già aveva eletto come rectores prima Marco Badoer e poi Giovanni Dolfin, abbandonò egli stesso la città (1260) per rifugiarsi nel castello di San Zenone, al limite occidentale dei colli trevigiani. Qui subì l’assedio di una compagine costituita da forze trevigiane, vicentine e padovane, e alla fine dovette arrendersi.
Secondo Rolandino, Alberico accettò di consegnarsi a patto di essere posto con tutta la sua famiglia sotto la tutela del marchese d’Este, suo consuocero. Ma il Comune di Treviso, con la delibera del 16 marzo 1260 (Codice diplomatico eceliniano, cit., doc. CCLI, p. 421), aveva già stabilito le modalità del supplizio a cui sarebbero stati sottoposti Alberico, la seconda moglie Margherita e i loro figli maschi e femmine, quando fossero stati catturati. Consegnatisi ai suoi assalitori, dunque, come raccontato con ricchezza di dettagli da Rolandino (Vita e morte..., cit., pp. 564-567) e da Salimbene (Cronica, cit., pp. 363 s.), Alberico e tutti i suoi congiunti vennero atrocemente giustiziati il 26 agosto 1260.
Fonti e Bibl.: Codice diplomatico eceliniano, in Storia degli Ecelini, a cura di G.B. Verci, III, Bassano 1779, ad ind.; I documenti del processo di Oderzo del 1285, a cura di D. Canzian, Padova 1995, ad ind.; Gli Acta comunitatis Tarvisii del sec. XIII, a cura di A. Michielin, Roma 1998, ad ind.; Mutui e risarcimenti del comune di Treviso (secolo XIII), a cura di A. Michielin, Roma 2003, ad ind.; Il “Regestum possessionum comunis Vincencie” del 1262, a cura di N. Carlotto - G.M. Varanini, Roma 2006, ad ind.; Il processo tra il comune di Treviso e il patriarca di Aquileia (1292-1297), a cura di R. Simonetti, Roma 2010, ad indicem. Fondamentale la cronachistica: Annales S. Iustinae Patavini, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, pp. 148-193; Gerardi Maurisii Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 1183-1237), a cura di G. Soranzo, in RIS2, VIII, 4, Città di Castello 1913-1914; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, ad ind.; Rolandino, Vita e morte di Ezzelino da Romano (Cronaca), a cura di F. Fiorese, Milano 2004; Il Chronicon veronense di Paride da Cerea e dei suoi continuatori, a cura di R. Vaccari, I, 1, La cronaca parisiana (1115-1260) con l’antica continuazione (1261-1277), Legnago 2014, ad indicem.
G. Biscaro, I patti della riconciliazione di A. da Romano col fratello Ezzelino. 3 aprile 1257, in Archivio veneto, s. 5, IX (1931), pp. 59-85; C. Polizzi, A. da R. Tiranni e popolo nella Marca Trevigiana, Romano d’Ezzelino 1987 (unico studio monografico); G. Cracco, Da comune di famiglie a città satellite (1183-1311), in Storia di Vicenza, II, L’età medievale, a cura di G. Cracco, Vicenza 1988, pp. 73-138; G. Peron, Cultura provenzale e francese a Treviso nel Medioevo, in Storia di Treviso, II, Il medioevo, a cura di D. Rando - G.M. Varanini, Venezia 1991, pp. 501-515 (aspetti culturali); D. Rando, I da Romano e l’élite di governo trevisana fino al 1239, in Ead., Religione e politica nella Marca. Studi su Treviso e il suo territorio nei secoli XI-XV, I*, Società e istituzioni, Verona 1996, pp. 95-102; Ead., La classe dirigente trevisana durante la dominazione di A. da Romano (1239-1259), ibid., pp. 103-134; Ead., A. da R., la Chiesa trevisana, il papato (1239-1259), ibid., pp. 135-144; G.P. Bustreo, Il processo Onigo come fonte per lo studio del patrimonio della famiglia da Romano nel XIII secolo, in Ezzelini. Signori della Marca nel cuore dell’Impero di Federico II, a cura di C. Bertelli - G. Marcadella, Milano 2001, pp. 198-201; G.M. Varanini, Esperienze di governo personale nelle città dell’Italia nord-orientale (secoli XIII-XIV), in Signorie cittadine nell’Italia comunale, a cura di J.C. Maire Vigueur, Roma 2013, pp. 52-56.