GENTILI, Alberico
Nacque il 14 genn. 1552 a San Ginesio, nel Maceratese, da Matteo, medico, e da Lucrezia Petrelli, entrambi di nobile famiglia.
La fanciullezza e l'adolescenza del G. furono segnate dall'esperienza delle lotte di parte, che agitavano la vita delle Marche così come di altre province dello Stato della Chiesa. Nell'aprile 1560 all'interno della chiesa collegiata i nobili Giulio Bussi e Troilo Cerri vennero assassinati da un appartenente alla fazione avversaria dei Bevilacqua. Essendo Cerri legato da vincoli di parentela con la madre del G., una prima provvisoria pacificazione tra le parti avverse poté avvenire, solo nel 1570, grazie all'intervento dello zio paterno, Pancrazio, anch'egli medico. La definitiva conciliazione fu opera dello stesso G. che, in qualità di avvocato del Comune, intervenne il 25 genn. 1578 nella riunione del Consiglio generale di San Ginesio proponendo di sostituire al potere della forza la soluzione di liti e contrasti attraverso l'osservanza di patti e il prevalere del diritto, affidando la gestione della pace a una autorità superiore, nella fattispecie il cardinale legato Marcantonio Colonna.
Nel 1569 il G. aveva cominciato a frequentare l'Università di Perugia, presso la quale conseguì la laurea in diritto civile il 23 sett. 1572. Tornato subito a San Ginesio, ebbe la carica di commissario alle contravvenzioni, ma nel 1573 raggiunse il padre che esercitava la medicina ad Ascoli e lì rimase come giudice alle cause civili fino al 1575. In quell'anno ritornò insieme con il padre a San Ginesio e nel novembre fu eletto avvocato del Comune. Incaricato della revisione degli statuti municipali nel 1576, presentò la nuova redazione alla approvazione dei magistrati e dei cittadini il 22 sett. 1577.
Nel 1579 il padre Matteo decise di abbandonare San Ginesio in seguito all'arresto e alla condanna di alcuni membri della Confraternita dei Ss. Tommaso e Barbara, temendo di essere colpito insieme alla sua famiglia dall'azione dell'Inquisizione. Concordò con la moglie Lucrezia che tutto il resto della famiglia, ad eccezione del G., sarebbe rimasto nel paese natale. Già in viaggio, però, Matteo e il G. si fecero raggiungere da Scipione, il penultimo dei figli, allora sedicenne, che lasciò la madre a insaputa di lei con l'aiuto di alcuni amici. A Lubiana, prima tappa dell'esilio, i tre furono protetti da Nicola Petrelli, giurista, fratello di Lucrezia, allora castellano di Trieste per incarico di Ferdinando II arciduca d'Austria-Tirolo. Matteo esercitò a Lubiana la sua professione quale archiatra dei due ducati di Carinzia e di Carniola. Tra la fine del 1579 e l'inizio del 1580 il G. e Scipione si separarono dal padre per raggiungere città più favorevoli ai loro studi. Prima meta dei due fratelli fu Tubinga, dove il duca del Württemberg offrì una cattedra di diritto al G., che però rifiutò. Lasciato a Tubinga il fratello, il G. passò inizialmente a Heidelberg, dove rifiutò una analoga offerta, e quindi a Neustadt, per giungere infine a Londra alla metà del 1580.
A Londra, centro di incontro e residenza di numerosi esuli per motivi religiosi, il G. riuscì a stabilire uno stretto collegamento con il potente circolo politico-culturale di corte, che aveva le sue figure dominanti in Robert Dudley conte di Leicester, nel segretario di Stato sir Francis Walsingham e nel poeta e diplomatico sir Philip Sidney. Giovanni Battista Castiglione, maestro d'italiano della regina Elisabetta I e gentiluomo della Privy Chamber, e Toby Matthew, teologo, allora vicecancelliere dell'Università di Oxford, lo aiutarono a ottenere dal conte di Leicester, cancelliere dell'Università fin dal 1564, una lettera di raccomandazione alle autorità accademiche per avere una lettura di diritto civile.
Il 14 genn. 1581 il G. venne cooptato nell'ordine dei dottori di diritto civile e quindi abilitato a tenere esercitazioni e lezioni, il che fece inizialmente presso il St. John's College. Ben presto fu raggiunto dal padre Matteo, che aveva dovuto abbandonare la Carniola per l'irrigidimento della casa d'Asburgo nei confronti degli eretici, dopo che in Italia il processo a carico suo e del G. si era concluso con la condanna alla prigione a vita e alla confisca dei beni.
In virtù dell'importanza attribuita al diritto romano nell'Inghilterra elisabettiana, il G. fu al centro di una fitta corrispondenza con giuristi, teologi, uomini di cultura, "che lo interrogavano sugli aspetti giuridici di questioni attinenti alla diplomazia, alla colonizzazione di nuove terre, o gli ponevano quesiti di diritto matrimoniale e successorio, settori che versavano in stato di incertezza normativa a causa della disgrazia in cui era caduto il diritto canonico in seguito alla Riforma enriciana" (Panizza, 1988, p. 40). Buona parte delle corrispondenza fu pubblicata nei quattro libri, usciti a Londra nel 1583-84, di Lectionum et epistolarum quae ad ius civile pertinent, che contenevano una serrata polemica contro la giurisprudenza di scuola francese. Allora egli aveva già fatto stampare i De iuris interpretibus dialogi sex (Londini, apud J. Wolfium, 1582) sul corretto metodo di insegnare e interpretare il diritto romano, con un attacco sistematico e globale contro gli orientamenti dell'umanesimo giuridico, in piena coerenza con la formazione ricevuta presso l'Università di Perugia. Tra il 1582 e il 1585 fu presumibilmente composto anche il piccolo trattato rimasto inedito De Papatu Romano Antichristo assertiones ex verbo Dei et Ss. Patribus, che solo permette di conoscere le sue idee religiose: "una forma di protestantesimo moderato ed eclettico che attingeva variamente dalle principali ortodossie riformate in funzione di una religiosità molto semplificata nel campo dogmatico pur restando immune da qualsiasi proposizione di tipo ereticale e in funzione, altresì, di una concezione democratica e antiierocratica dell'organizzazione ecclesiastica" (Panizza, 1976, p. 23).
Negli anni tra il 1583 e il 1585 il G. conobbe Giordano Bruno, ospite a Londra dell'ambasciatore francese. Fu lo stesso Bruno a ricordare i favori che egli aveva ricevuto dal G. nel corso del secondo costituto (1592) durante il processo per eresia subito a Venezia (Firpo, 1993, pp. 162, 290).
Nel 1584 il G. fu consultato dal governo insieme con Jean Hotman sulla condotta da seguire nei confronti dell'ambasciatore spagnolo Bernardino Mendoza, accusato di cospirazione contro la vita della regina Elisabetta. Frutto di questa esperienza furono i De legationibus libri tres (Londini, T. Vautrollerius, 1585), opera dedicata a Philip Sidney, il nobile umanista spesso impiegato in missioni diplomatiche, che lo aveva sollecitato a compiere il lavoro e che l'anno successivo sarebbe morto combattendo per l'indipendenza religiosa e politica dei Paesi Bassi.
"Il trattato, costruito sulla base di un largo impiego della storia e della precettistica politica, rappresentava un notevole salto culturale e metodologico rispetto agli scritti giuridici della prima fase e di fatto costituì la prima manifestazione del modo in cui il Gentili doveva in seguito esplicare la sua funzione di giurista nell'ambiente inglese" (Panizza, 1988, p. 42). Il G. indicava esplicitamente la connessione della propria impostazione metodologica con il metodo seguito da Machiavelli nell'analisi dei fenomeni politici fondendo mentalità storica e mentalità generalizzante.
Ben inserito nell'ambiente inglese, come testimoniano la stima e l'amicizia mostrata nei suoi confronti dal conte di Pembroke, sir Thomas Henegae, dal poeta Edward Dyer e dal famoso mecenate sir Thomas Bodley, il G. fin dal 1585 puntò alla successione al posto di professore regio di diritto civile all'Università di Oxford. Nella primavera del 1586 lasciò però improvvisamente l'Inghilterra con l'intenzione, pare, di non farvi più ritorno, ufficialmente al seguito di Orazio Pallavicino, un ricco finanziere genovese membro dei circoli di corte inviato in missione straordinaria presso l'elettore di Sassonia. Durante la permanenza in Germania, nell'autunno del 1586 il G. fu a Wittenberg, dove incontrò di nuovo Giordano Bruno e ascoltò una disputa di suo fratello Scipione. Tentò di ottenere una sistemazione come civilista in qualche università tedesca, forse a causa dell'opposizione che settori del partito puritano, capeggiati dal professore di teologia John Raynolds (suo implacabile futuro nemico), avevano sollevato alla proposta della sua nomina a professore regio di diritto civile. Ma in favore della candidatura del G. si erano mossi il conte di Leicester, il segretario di Stato Walsingham e alcuni membri della gerarchia anglicana. Dalla Germania il G. fu quindi richiamato in Inghilterra e nominato regius professor di diritto civile all'Università di Oxford con decreto reale dell'8 giugno 1587.
Datano da allora la definitiva integrazione del G. nella società inglese (tra il 1588 e il 1599 sposò Esther de Peigny, di origine francese) e il suo impegno diretto sul piano della dottrina e della elaborazione ideologica circa i problemi di quella società, integrazione e impegno confermati anche dalle sue scelte confessionali. Se in un primo tempo il G. era stato membro della Chiesa italiana riformata di Londra, a partire dal 1589 - e quindi ben prima della estinzione della Chiesa italiana, avvenuta nel 1598 - egli entrò a far parte della Chiesa londino-gallica e tra il 1598 e il 1601 diventò membro della parrocchia anglicana di S. Elena di Bishopgate.
Mutarono di conseguenza anche tematiche e metodo della sua opera giuridica. L'orientamento verso una trattatistica alimentata da problematiche inglesi ed europee fu accompagnato, nel metodo, dalla pratica prevalenza del mos Gallicus, basato sull'unione di diritto, filologia e storia, sul mos Italicus, ancora intransigentemente difeso nei dialoghi De iuris interpretibus. L'accostamento a questioni di ordine internazionale fu indotto dalla situazione dell'Inghilterra, preoccupata dall'offensiva controriformistica della Spagna di Filippo II contro la rivolta delle Province Unite.
Dal 1585 tra Inghilterra e Spagna era guerra aperta, e nel 1588, proprio l'anno della grande battaglia navale nella Manica e della sconfitta della Invincibile Armata, il G. pubblicò un primo opuscolo De iure belli commentatio prima (Londini, Wolfius), subito seguito da un secondo e nel 1589 da un terzo, tutti dedicati a Robert Devereux conte di Essex, considerato il successore politico del conte di Leicester da poco defunto.
Dominati dalle istanze di solidarietà internazionale della Riforma, gli opuscoli avevano l'intento di avallare come giuridicamente legittime le scelte di politica estera del governo inglese. L'intervento armato nei Paesi Bassi era giustificato sia come intervento umanitario, sulla base della universale solidarietà degli uomini e della comune responsabilità dei principi nel soccorrere i popoli ingiustamente oppressi; sia, con argomentazioni più specificamente giuridiche e politiche, come legittima guerra preventiva di autodifesa contro la Spagna, accusata di mirare al dominio europeo e universale. Veniva pure contestata alla radice la legittimità del dominio spagnolo nel Nuovo Mondo, fondato sulla mera libidine di imperio, contro la legge di natura, e che portava alla pretesa di un esclusivo monopolio in materia di navigazione e commercio. Era invece negata, diversamente da puritani e ugonotti, ogni legittimità alle motivazioni religiose. Per il G. l'uso della forza per causa di fede era inammissibile. L'impostazione del G. era quindi vicina a quella dei politiques e di Jean Bodin, anche se l'ispirazione era dovuta a una prevalente preoccupazione per la tutela della libertà religiosa. Le Commentationes de iure belli non si proponevano comunque come un semplice pamphlet di propaganda anglofila, ma tendevano a offrire un inquadramento teorico sistematico dei fenomeni politici internazionali.
Tutte le questioni affrontate nelle Commentationes furono poi rielaborate nel trattato De iure belli libri tres (Hanoviae, apud G. Antonium, 1598), giudicata la maggiore delle ventiquattro opere gentiliane edite, una sorta di "grande commentario delle massime questioni politiche e religiose del tempo" (Panizza, 1988, p. 48).
Veniva ripreso pure, tra gli altri, il problema della legittimità della resistenza armata alla tirannide. La resistenza era ammessa solo nell'ipotesi di una politica di intolleranza basata sulla repressione armata da parte del principe e nel più generale caso di abuso tirannico del potere; ma l'esercizio di quel diritto spettava solo a chi fosse investito, come corpo costituito, di potere pubblico effettivo. Ai privati era invece consentita solo la fuga. L'apparente corrispondenza delle tesi gentiliane con quelle dei teorici del calvinismo internazionale era però accompagnata da una radicale differenza in campo dottrinale. Il G. ammetteva il diritto di difesa dalla violenza, ma continuava a negare la possibilità di un generale diritto-dovere di promuovere la causa della "vera" religione; e questo in coerenza con i suoi principî sulla distinzione tra religione e politica. L'unico criterio valido per identificare una situazione di tirannide era quello del bene comune, che solo poteva legittimare anche l'intervento internazionale come bellum iustum, sulla base dell'esigenza di garantire che i principî non fossero illeges sul fondamento di una concezione di una superiore società universale degli uomini che imponeva obblighi di solidarietà e di soccorso. L'impegno politico-ideologico del De iure belli aveva determinato il superamento dell'ottica strettamente giuridica e romanistica con cui lo stesso problema della lex regia era stato affrontato nella dissertazione accademica contenuta nell'opuscolo Legalium Comitiorum Oxoniensium actio, pubblicato a Oxford nel 1585. Il G. vi avallava l'interpretazione di un trasferimento totale e irrevocabile della sovranità dal popolo al principe e della illimitatezza dei poteri del principe. Vicine a quest'opera sarebbero poi state le opinioni espresse nelle Regales disputationes del 1605.
Tornando al De iure belli, è stato oggetto di discussione il posto che l'opera occuperebbe nella moderna scienza internazionalistica: si tratta, secondo il più recente studioso italiano del G., Diego Panizza, di valutazioni forzate e anacronistiche, che non tengono in conto il fatto che il trattato cadde ben presto in un oblio secolare. Non si può però dimenticare che uno degli studiosi che hanno visto nel G. il vero fondatore del diritto internazionale europeo, il giurista tedesco Carl Schmitt, ha ripetutamente sottolineato la centralità del G. nella moderna definizione del "politico" proprio in relazione al suo essere giurista. Un passo del De iure belli è stato considerato la sintesi per eccellenza di tutti i processi di costruzione della modernità e una delle più alte espressioni della secolarizzazione. Si tratta di una lettura che è stata d'altra parte implicitamente confermata da chi ha accostato il De iure belli a un lavoro pubblicato dal G. l'anno successivo, la disputa De abusu mendacii (Hanoviae 1599). Distinguendo, sulla scorta di altri giuristi, tra dolus bonus e dolus malus, il G. ammetteva che il primo fosse da approvare poiché volto a vantaggio di persone che favorendo i propri interessi non danneggiavano altri. Era il dolus officiosus, cioè un ufficio svolto a fin di bene, con uno scopo preciso: "l'utilità per la comunità oltre che per il singolo; è questo il vantaggio dunque che deve essere perseguito per il pubblico benessere e che ha come propria finalità la conservatio naturae civilisque societatis" (Borrelli, p. 109). Ma se è utile alla conservazione politica della comunità e dello Stato, l'uso dell'inganno e del mendacio può essere anche indispensabile in un contesto di guerra, per mantenere l'equilibrio sul piano internazionale dei rapporti tra i popoli ai fini della sicurezza interna. E se con i teologi non si riusciva a uscire dall'impasse della "guerra giusta" - l'esperienza delle guerre di religione lo aveva chiarito -, allora spettava ai giuristi e alla loro tecnica intervenire.
Il De abusu mendacii era stato uno degli esiti letterari della controversia in tema di rapporti tra giurisprudenza e teologia, in cui il G. fu coinvolto dalla fazione puritana dell'Università di Oxford.
La controversia nacque dall'offensiva che i puritani capeggiati dal teologo Raynolds avevano scatenato nel periodo 1591-94 contro gli spettacoli teatrali allestiti all'interno dei vari colleges con il concorso di studenti e professori. Pronunciandosi il G. a favore del partito filoteatrale, iniziò una personale disputa con il Raynolds sulla questione di fondo: se in quei casi l'ultima parola spettasse al teologo o al giurista. Per il G. la giurisprudenza aveva competenza nella sfera della legge divina, che era suddivisa, in base all'oggetto, in diritto divino in senso stretto e in diritto umano. Essendo propriamente res religionis solo il primo, concernente la conoscenza e il culto di Dio, la sua interpretazione spettava ai teologi, mentre ai giuristi spettava l'interpretazione della parte di diritto umano. Questa posizione valse al G. una violenta campagna di denigrazione montatagli contro dalla fazione puritana e condotta personalmente dal Raynolds. Il diritto romano insegnato dal G. era presentato come un diritto profano, impregnato di influenze pagane, e perciò non idoneo come modello di orientamento etico e non applicabile all'interno del sistema giuridico inglese. Il G. era poi personalmente accusato di essere italiano, machiavellico e ateo. Il conflitto si svolse di fronte a tutta l'Università, con ampia circolazione delle lettere che i contendenti si scambiavano. Nel 1594 il G. fu quasi sul punto di dare le dimissioni dalla cattedra, e da allora in poi uno dei temi centrali delle sue opere fu la polemica contro il teocratismo dei puritani, rappresentando egli sempre la Corona, la gerarchia anglicana e i civilians (i giuristi pratici che seguivano il diritto romano), contro l'opposizione del Parlamento, dei puritani e dei common lawyers (i giuristi che seguivano invece la common law inglese). Affermare il primato della giurisprudenza aveva una incidenza diretta di grande importanza in rapporto alla questione del diritto canonico e della giurisdizione ecclesiastica, la cui abolizione era reclamata dai puritani a favore delle corti di common law e di nuovi organi di governo di tipo presbiteriano. La competenza delle corti ecclesiastiche investiva settori fondamentali della vita sociale, come quelli interessati dal diritto di famiglia e di successione, includendo pure la blasfemia, l'usura, la censura e la stregoneria. In tutti questi ambiti il G. fu attivo come giurista nel mondo inglese.
Nel 1599 venivano stampate a Hannover due opere, De actoribus et spectatoribus fabularum non notandis e De abusu mendacii, in cui veniva riprodotto il dibattito con Raynolds, registrato anche nel primo libro del trattato De nuptiis, apparso nel 1601 pure a Hannover. Quest'ultimo era un contributo alla risistemazione del diritto matrimoniale in appoggio dei circoli dominanti e soprattutto del nuovo cancelliere Thomas Egerton, cui l'opera era dedicata. Ad esso fece seguito nel 1603 una pubblica presa di posizione in forma di lettera sulla questione del divorzio, contro le richieste puritane e in appoggio alle tesi ufficiali che ammettevano solo la separazione, senza possibilità di nuovo matrimonio. Polemiche contro la critica biblica puritana furono espresse soprattutto in Ad primum Machabaeorum disputatio (Franekerae 1600), in De linguarum mixtura disputatio parergica (ibid. 1600), in De Latinitate veteris Bibliorum versionis male accusata disputatio (Hanoviae 1605). È da ricordare che in quel periodo, precisamente nel 1603, le opere del G. vennero inserite nell'Index librorum prohibitorum.
Un potente sostegno alla causa dell'assolutismo monarchico fu offerto dal G. con le Regales disputationes (Londini 1605) dedicate a Giacomo I Stuart nuovo re d'Inghilterra.
Le tre dissertazioni De potestate regis absoluta, De vi civium in regem semper iniusta, De unione Regnorum Britanniae segnavano un profondo mutamento rispetto al De iure belli. I tempi erano cambiati ed erano dominanti i problemi interni della società inglese: lo scontro politico-ideologico tra common lawyers e civilians; il conflitto costituzionale tra monarchia e Parlamento su questioni ecclesiastiche, o economiche in rapporto ai monopoli, e sul sempre più frequente uso del potere regio di veto sulla legislazione parlamentare; le dottrine contrastanti sul problema dei rapporti tra "prerogativa regia" e privilegi parlamentari. La teoria del diritto divino dei re esposta da Giacomo I (allora re di Scozia) nel trattato del 1598 The true law of free monarchies era uno dei punti di riferimento più importanti del dibattito dottrinale intorno alla questione costituzionale. La legittimazione degli orientamenti assolutistici della Corona fu sostenuta dai civilians, che si basavano non solo sui testi del Corpus iuris civilis, ma anche sull'uso di derivazione bodiniana del concetto di sovranità. I common lawyers costituivano invece la guida ideologica e politica della opposizione parlamentare, insistendo sulla tesi della superiore autorità della legge fondamentale del Regno, di cui il potere regio era una emanazione delimitata. Sulla controversia costituzionale si innestava poi quella religiosa, imposta dalla pressione del movimento puritano per una riforma del sistema di governo e della disciplina della Chiesa anglicana. Nella dissertazione De potestate regis absoluta la tesi fondamentale dell'assolutezza del potere sovrano era fatta discendere dalle formule "Quod Principi placuit, legis habet vigorem" e "Princeps legibus solutus est". La superiorità del sovrano rispetto alla legge non significava però esenzione dai dettami della legge divina e naturale, e la pienezza dei poteri doveva attuarsi per la giustizia o il bene comune, che però non era più considerato il fine unico degli organismi politici. In De vi civium in regem semper iniusta veniva dimostrata l'illegittimità in qualsiasi circostanza della resistenza armata al principe sovrano, sia per la incompatibilità giuridica del diritto di resistenza con il concetto di sovranità, sia per la inopportunità politica e per la inutilità della violenza come rimedio alla tirannide. Il diritto di resistenza era ammesso solo se espressamente previsto dalle leggi dello Stato: se, cioè, tra popolo e principe fosse stata concordata una tale clausola, il principe non poteva essere considerato sovrano e quindi la regola della non resistenza non era applicabile. Nel De unione Regnorum Britanniae l'opportunità di una più stretta unione politica, economica e religiosa tra Inghilterra e Scozia era giustificata sulla base dell'esigenza di pace civile e di ordine politico centralizzato, entrambi espressione della tendenza naturale degli uomini alla associazione e all'unità: tutto questo poteva realizzarsi col progetto di unione propugnato da Giacomo I.
L'attentato ordito contro Giacomo I dalla fazione cattolica nel 1605 (il "complotto delle polveri") fu probabilmente l'evento che spinse il G. a insistere nella dimostrazione dell'efficacia del diritto romano in materia dei delitti di lesa maestà e della cospirazione politica per tutelare le esigenze fondamentali della inviolabilità del principe sovrano e della sicurezza interna dello Stato (In titulos codicis si quis imperatoris maledixerit, ad legem Iuliam maiestatis disputationes decem, Hanoviae 1607).
Proprio nel 1605 - anno in cui erano uscite a Hannover le Laudes Academiae Perusinae et Oxoniensis - il G. si era ritirato dall'insegnamento universitario e con l'autorizzazione del re si era dedicato all'attività forense in qualità di avvocato dell'ambasciata di Spagna presso la Admiralty Court. Durante gli anni in cui ricoprì l'ufficio stese numerosi pareri relativi a casi trattati, pareri che furono raccolti e pubblicati postumi a cura del fratello Scipione sulla base dei manoscritti originali (Hispanicae advocationes libri duo, Hanoviae 1613).
La scelta di lavorare per la monarchia spagnola fu commentata malignamente dai suoi soliti avversari: ulteriore conferma di una carriera tormentata dall'inizio alla fine. "Si può supporre che egli fosse intimamente deluso e che a questa delusione, legata alla sua esperienza personale, egli tendesse a dare un significato storico generale. La supposizione è suffragata dalla constatazione che nelle Regales disputationes il pessimismo antropologico e lo scetticismo storico-politico emergono come i fattori umani e culturali di base della posizione filoassolutistica del Gentili. […] Proprio in virtù della singolare centralità ed esplicitezza di questo motivo, l'opera gentiliana può essere assunta come emblematica della più generale tendenza storica che vedeva la categoria dei giuristi assumere, agli inizi dell'età moderna, il ruolo di supremi ideologi oltre che di principali architetti e burocrati delle nuove realtà istituzionali dello Stato moderno. Primato, quello dei giuristi, che accompagna e giustifica sul piano culturale e tecnico-giuridico un altro fondamentale fenomeno storico, quello della secolarizzazione, che l'opera gentiliana pure rispecchia in modo netto ed emblematico" (Panizza, 1988, pp. 57 s.).
Il G. morì a Londra il 19 giugno 1608 e fu sepolto due giorni dopo nella chiesa di S. Elena di Bishopgate.
La fortuna dell'opera del G. subì fasi alterne. Nel periodo immediatamente successivo alla morte, il suo appoggio all'assolutismo degli Stuart e il suo rifiuto del diritto di resistenza, così come espresso nell'opera del 1605, lo resero oggetto di forti critiche da parte di Giovanni Althusius (Politica methodice digesta atque exemplis sacris et profanis illustrata, Herborn 1609) e poi di un opuscolo anonimo pubblicato a Londra nel 1644, in periodo rivoluzionario. Lo storico realista Anthony Wood lo giudicò invece nel 1674 una delle glorie maggiori dell'Università di Oxford. Di debole risonanza nella più vasta cultura europea dei secoli XVII e XVIII, la fama del G. fu notevolmente rinvigorita dalle celebrazioni italiane del tardo Settecento, all'interno della fioritura degli studi di storia locale. A cura dello stampatore Giovanni Gravier di Napoli fu iniziata la raccolta di tutte le opere, impresa editoriale che venne però interrotta nel 1770, dopo i primi due volumi, a causa della morte del Gravier. Una piena rivalutazione scientifica a livello internazionale fu iniziata con la prolusione tenuta all'Università di Oxford nel novembre del 1874 da Thomas Erskine Holland, che esaltò il ruolo del G. nella fondazione del diritto internazionale. In Italia tale rivalutazione si trasformò in un vero e proprio culto, sostenuto dal motivo patriottico e anticlericale, che registrò vivaci reazioni da parte della stampa cattolica. Nel terzo centenario della morte fu inaugurato a San Ginesio il monumento al G.: nel clima di composizione tra cattolici e liberali venne abbandonata la polemica anticlericale e fu accentuata la coloritura patriottica, quest'ultima particolarmente viva durante la prima guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra. Durante il fascismo si cercarono nelle sue opere l'avallo giuridico della politica estera fascista e l'anticipazione di alcuni elementi caratteristici dell'ideologia fascista, come il realismo politico, il riconoscimento del diritto del più forte e l'esaltazione della tradizione romana. Tutta la storiografia italiana strumentalizzò insomma sempre sia le vicende personali sia l'opera del Gentili. La letteratura straniera considerò invece quasi esclusivamente le opere di diritto internazionale, che tra il 1921 e il 1933 furono fatte ristampare dalla Fondazione Carnegie per la pace internazionale.
Nel 1981 è stato costituito a San Ginesio il Centro internazionale di studi gentiliani.
Fonti e Bibl.: Le fonti archivistiche e bibliografiche per la biografia del G., le edizioni delle sue opere sono indicate in G. Speranza, A. G., Roma 1876, che si basa, tra gli altri, su P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, I, 2, Rotterdam 1697, pp. 1230 s.; P. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres dans la république des lettres, XV, Paris 1731, pp. 25-32; T. Benigni, Memorie istorico-critiche intorno alla vita e agli scritti di Matteo Gentili e di A. e Scipione Gentili, in G. Colucci, Antichità picene, VII, Fermo 1790, pp. III-LXI (con elenco delle opere edite e inedite); cfr. inoltre G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 2, Modena 1791, pp. 761 ss.; F. Vecchietti - T. Moro, Biblioteca picena, V, Osimo 1796, pp. 21-34 (con elenco delle opere edite e inedite); Th.E. Holland, G. A., in Dictionary of national biography, XXI, London 1890, pp. 124-127 (con elenco delle opere edite e inedite). La valutazione dell'opera del G. si è basata sui numerosi studi dedicatigli da D. Panizza, Machiavelli e G., in Il Pensiero politico, II (1970), pp. 476-483; Id., Appunti sulla storia della fortuna di A. G., ibid., V (1972), pp. 373-386; Id., Le idee politiche di A. G., ibid., IX (1976), pp. 20-56; Id., A. G. Giurista ideologo nell'Inghilterra elisabettiana, Padova 1981; Id., A. G.: vicenda umana e intellettuale di un giurista italiano nell'Inghilterra elisabettiana, in A. G. giurista e intellettuale globale. Atti del Convegno. Prima giornata gentiliana (S. Ginesio… 1983), Milano 1988, pp. 31-58; e inoltre sul saggio di G. Borrelli, Tecniche di simulazione e conservazione politica in Gerolamo Cardano e A. G., in Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, XII (1986), pp. 108-124, nonché sulla lettura fattane da C. Schmitt, Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello "Jus publicum europaeum", Milano 1991, pp. 187 ss. Si sono tenuti presenti, inoltre, i seguenti lavori: L. Firpo, La Chiesa italiana di Londra nel Cinquecento, in Ginevra e l'Italia, Firenze 1959, pp. 307-412; The history of the University of Oxford, III, The Collegiate University, a cura di J. McConica, Oxford 1986, pp. 289-293; L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Roma 1993, pp. 162, 290; E. Genta, Appunti di diritto comune, Torino 1995, pp. 86-91; S. Caponetto, La riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Torino 1997, p. 447. A cura del Centro internazionale di studi gentiliani sono stati pubblicati, oltre a A. G. Giurista e intellettuale globale, cit., i volumi A. G. e la dottrina della guerra giusta nella prospettiva di oggi. Atti del Convegno. Terza giornata gentiliana (S. Ginesio… 1988), Milano 1991, e Il diritto della guerra e della pace di A. G. Atti del Convegno. Quarta giornata gentiliana (S. Ginesio… 1991), Milano 1995.