MALETTA, Alberico
Nacque attorno al 1410 da Cristoforo, insigne giurista, consigliere ducale e conte palatino, di famiglia originaria di Mortara, probabile luogo di nascita del Maletta. Ammesso nel 1431 nel Collegio dei giureconsulti di Pavia, si addottorò in entrambi i diritti e dal 1432 insegnò diritto civile con rapidi aumenti di stipendio e di ruolo. Si impegnò anche nella consulenza e decise una vertenza sugli onorari delle lauree insorta tra il vescovo di Pavia e i canonici del capitolo cattedrale. Prima del 1440 si trasferì a Ferrara per servire i marchesi d'Este. Della sua attività di studio resta il trattato De testibus, un utile compendio sulla materia che ebbe almeno cinque edizioni nel XV secolo (cfr. Indice generale degli incunaboli, [IGI], 129-133) e fu più volte ristampato nel secolo successivo. Nel 1435 aveva sposato Margherita di Biagio Cusani, da cui ebbe sei figli e che gli sopravvisse.
Nell'agosto 1447, dopo la morte di Filippo Maria Visconti, Leonello d'Este lo inviò a Pavia, dove i cittadini erano discordi circa l'assetto politico da dare alla città, ma uniti nella volontà di sottrarsi alla soggezione milanese. Il M. non poté fare niente per il suo signore, ma prese le parti di Francesco Sforza, genero del duca defunto, che si fece riconoscere signore della città. Il M. fu tra i notabili che trattarono i capitoli di dedizione. Dopo una missione in Lomellina per conto dello Sforza, il M. tornò ai suoi impegni ferraresi. Presso i marchesi d'Este, Leonello e poi Borso, il M., con altri funzionari ed ecclesiastici di origini e simpatie "sforzesche", controbilanciava la presenza del visdomino veneziano a Ferrara e la protezione che gli Este accordavano ad alcuni fuorusciti milanesi. Nel 1452 arbitrò alcune liti giurisdizionali tra i signori di Correggio, il Comune di Reggio e i conti Torelli e formulò dei pareri legali circa la giurisdizione di Castelnuovo tortonese, che gli Este avevano dagli Sforza. In occasione della discesa in Italia dell'imperatore Federico III ottenne l'investitura a cavaliere. Teneva vivi i legami con la corte sforzesca sia con frequenti soggiorni a Milano, sia frequentando Antonio da Trezzo, ambasciatore milanese, che caldeggiava il suo ritorno in patria. Nel 1453, dopo molte insistenze, lo Sforza lo convinse offrendogli la nomina a consigliere segreto. Ottenuto il consenso di Borso, il M. chiese di trattenersi fino alla fine dell'anno per portare a termine alcune missioni e sistemare degli affari privati. Arrivato in Lombardia, non ebbe modo di intervenire nella regolare attività del Consiglio di giustizia e poi segreto, di cui era entrato a far parte, perché venne subito impiegato nelle trattative per la stipulazione della pace e del trattato della Lega italica. Sul principio del 1454 era già a Roma, dove il popolo e i prelati attendevano con una certa irrequietezza la morte di Niccolò V, gravemente malato. Intanto, un'iniziativa avviata segretamente da Milano e Venezia e sostenuta da Firenze portò il 9 aprile alla stipulazione della pace di Lodi. La signoria veneta voleva estendere l'alleanza al papa e ad Alfonso I d'Aragona e fu formata un'ambasciata mista, milanese, veneziana e fiorentina, di cui fecero parte il M. e Bartolomeo Visconti. A Firenze gli ambasciatori milanesi riuscirono a superare le opposizioni provenienti da alcuni esponenti vicini alla Francia e così la delegazione raggiunse Roma, dove Niccolò V comunicò la sua adesione (che sarebbe stata però tenuta segreta fino alla decisione del re Alfonso), indi Napoli. Dopo laboriose discussioni anche il re, ponendo alcune condizioni relative a Genova e ai signori di Rimini e di Faenza, accettò di siglare i trattati di pace e di entrare nella Lega italica. Nel marzo 1455 i dispacci dei due ambasciatori sottolineavano l'importanza del risultato raggiunto: in mancanza di un formale riconoscimento dell'Impero, l'alta tutela papale sulla Lega convalidava la posizione della dinastia sforzesca e la sua pacifica successione nel Ducato di Milano. Dopo una breve sosta a Roma, che coincise con la morte di Niccolò V (24 marzo), i due rientrarono in Lombardia.
Durante il suo soggiorno a Napoli il M. aveva sperimentato il carattere poco accomodante di Alfonso I d'Aragona, ma aveva anche praticato gli ambienti di corte e si era fatto un'idea delle persone che avevano influenza sul re. Quando arrivarono da Napoli segnali ambigui ma sufficienti a incoraggiare una piena ripresa delle relazioni diplomatiche con Milano, il M. fu scelto per avviare le trattative. Nel luglio 1455 fu ricevuto cordialmente a Napoli dal re ed ebbe modo di assecondare il progetto di due parentadi principeschi che avrebbero rinsaldato l'alleanza tra i due Stati. La ristabilita cordialità consolidò la collocazione diplomatica dello Stato di Milano e orientò la diplomazia sforzesca in una direzione più indipendente sia dalla Francia, di cui si temevano le rivendicazioni della fazione vicina a Carlo d'Orléans, signore di Asti, sia da Venezia, vicino troppo potente per gli Sforza. Alla fine del 1455 la missione napoletana si prolungava al di là delle previsioni e dei desideri del M., ma il duca voleva portare a compimento la pratica matrimoniale e acquisire informazioni sicure sugli aiuti che Alfonso dava segretamente a Iacopo Piccinino. Il M. non intendeva trattenersi di più e fu probabilmente per sua iniziativa che nel gennaio 1456 arrivò nel Regno di Napoli Antonio da Trezzo, sua vecchia conoscenza ferrarese, che riuscì a conquistare la fiducia del re e diventò il primo residente sforzesco a Napoli. L'alleanza si rafforzò anche dopo la morte di Alfonso e gli Sforza sostennero con denaro e con forti contingenti di truppe la guerra iniziata nel 1458 contro i baroni napoletani, distaccandosi definitivamente dalle amicizie angioine.
Il M. aveva interpretato egregiamente il realismo politico sforzesco nelle relazioni fra potenze italiane: la sua reputazione si era accresciuta ed era considerato il più autorevole fra gli ambasciatori ducali. Fu impiegato in diverse missioni, tra cui un negoziato con gli Svizzeri per l'annosa questione della Val Leventina, mentre le relazioni tra le potenze italiane attraversavano una crisi a causa delle avventurose imprese del Piccinino, che nel marzo del 1460 entrava nel Regno per combattere a sostegno delle rivendicazioni angioine. Già in febbraio il M. era stato mandato in missione a Venezia per capire se la Signoria fosse disposta a partecipare alle operazioni belliche in favore della dinastia aragonese, ma l'accoglienza era stata fredda. Lo Sforza era anche in trattative con il delfino di Francia, Luigi, e con il duca di Borgogna, Filippo il Buono e per questo motivo, verso la fine dell'anno, il M. andò in Savoia per sondare le intenzioni di questo. Svolse poi una missione a Venezia per conto del marchese di Mantova, Ludovico III, benché il duca cercasse di opporsi con vari pretesti perché voleva avere il M. a disposizione e temeva che la sua reputazione fosse diminuita da un insuccesso. Poco dopo era in Lomellina, dove incontrava segretamente certi inviati sabaudi, e poi nuovamente a Venezia.
Dopo anni di rapporti tesi, il nuovo re di Francia Luigi XI, salito al trono nel 1461, dava segnali di voler stabilire relazioni più cordiali con Milano e faceva intravedere prospettive di favori, alleanze e privilegi. Ma mentre il re continuava a promuovere le imprese angioine nel Regno, lo Sforza appoggiava in segreto le fazioni antifrancesi a Genova. Solo un'accorta iniziativa diplomatica avrebbe consentito di ripristinare cordiali rapporti. Il M. diede il suo parere nel gennaio 1462 e le sue "formali" parole sono riferite dagli oratori mantovani. Dopo aver constatato la disparità delle forze, la debolezza della posizione milanese per le ridotte risorse finanziarie, il malcontento popolare e le scarse possibilità di ottenere aiuti dagli alleati, il M. suggeriva di risparmiare denaro, allestire truppe e avviare iniziative diplomatiche di copertura.
La situazione nel Ducato era obiettivamente difficile e in febbraio esplose la drammatica rivolta fiscale piacentina, che fece vacillare la stabilità del dominio. Tuttavia Luigi XI valutò con realismo l'incerta situazione genovese e la debolezza angioina, e fece intendere che era disposto a ritirarsi da Genova e a cedere Savona in feudo allo Sforza. Fu dapprima inviato in Francia il cancelliere Emanuele de Iacopo per accertare le intenzioni del re anche riguardo ad Asti, e poi fu incaricato il M. per una missione solenne. In settembre, dopo un viaggio avventuroso, iniziò il suo lungo e proficuo soggiorno presso la corte francese.
La sua corrispondenza, edita da B. de Mandrot, illustra i brillanti sviluppi della missione e offre puntuali narrazioni sulle cose di Francia, sui rapporti interni alla corte e sulle tensioni crescenti tra il re e la nobiltà del Regno. In dicembre le attese furono premiate: il re confermò gli accordi siglati in precedenza e investì lo Sforza di Genova e Savona, lasciando però in sospeso la questione di Asti. Fu uno tra i più brillanti risultati ottenuti dalla diplomazia sforzesca, convalidato poi dalla conquista delle roccaforti rimaste in mano all'aristocrazia genovese. Ottenuto il dominio sulle città liguri, assicuratosi l'amicizia e la protezione del potente Regno d'Oltralpe, il duca di Milano si rafforzava diplomaticamente senza mettere in discussione l'assetto della Lega italica. Per tutto il 1464 e ancora nei primi mesi dell'anno successivo il M. restò presso il sovrano, trattato con familiarità e confidenza, ed ebbe occasione di intavolare trattative per il matrimonio tra Bona di Savoia, sorella di Carlotta, regina di Francia, e Galeazzo Maria Sforza, e di riferire della costante animosità degli Orléans e degli Angiò verso Milano e del peggioramento delle relazioni tra il re e alcuni grandi del Regno, che si accingevano alla guerra. In caso di conflitto (scoppiato poi nella primavera del 1465), il re sperava nell'aiuto milanese, e anche per questo tratteneva il M., nonostante gli usi contrari della corte francese in materia di ambasciatori.
Rientrò in Italia solo nel giugno del 1465, accolto da festeggiamenti e celebrazioni ma anche dalla triste notizia della malattia del primogenito Giovan Cristoforo, brillante studente in legge, che morì a Pavia in settembre (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, 760; Arch. di Stato di Pavia, Notarile, Pavia, 111, 20 sett. 1465).
Già dal 1463 il duca aveva donato al M. certe tenute a Vigevano, che però erano state accettate con riserva perché contese da altri. Il M. deteneva il castello e varie terre a Campalestro, possedeva beni a Pavia e nel Pavese e un giuspatronato nella località di Cergnago nei pressi di Mortara. Teneva casa a Milano e a Pavia, nel palazzo già appartenuto a suo fratello Filippo, legum doctor.
Nel 1466 il nuovo duca Galeazzo Maria Sforza, nel tentativo di porre argine a un pesante indebitamento camerale, organizzò un'imponente vendita di entrate fiscali in diverse località del dominio. Anche il M., come molti della cerchia ducale, se ne avvantaggiò: restituì le incerte donazioni del 1463 e acquistò le entrate di Cilavegna e di San Giorgio in Lomellina, ottenendone poi l'investitura feudale. Già da tempo munito dei titoli di comes et miles, non aveva di mira nuovi titoli nobiliari, ma era interessato ai risvolti economici e politici dei feudi. Alla fine del 1466 si trovava a Campalestro (oggi frazione di Velezzo Lomellina) e, come altre volte, ne approfittava per tenere dei contatti con alcuni emissari francesi di passaggio. Qui morì improvvisamente il 12 dic. 1466.
I figli Girolamo e Pier Maria, che lo avevano seguito e assistito nelle sue missioni, subentrarono nei feudi pavesi, mentre le tre figlie, che ricevettero le rispettive doti e alcuni generosi legati, si videro escluse da qualsiasi compartecipazione all'eredità, secondo un costume tipicamente pavese. Le figlie intentarono varie azioni legali, tanto più dopo la morte prematura di entrambi i fratelli, nel 1477, mentre la madre Margherita contrastò tenacemente le loro pretese e fece testamento per ribadire le ultime volontà del marito (Arch. di Stato di Pavia, Notarile, Pavia, 266, cc. 283 s.). L'atto conferma la rilevanza delle proprietà del M. a San Giorgio, Velezzo, Campalestro e Olevano, valorizzate nel tempo da acquisti e da doni ricevuti dai duchi come ricompensa per il suo servizio di abile diplomatico e consigliere politico.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Famiglie, 106; Sforzesco, Cart. estero, Ferrara, 318-319; Registri ducali, 7, cc. 13 s., 15 dic. 1463; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae( commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 2, ad ind.; Diario ferrarese dall'anno 1409 sino al 1502, a cura di G. Pardi, ibid., XXIV, 7, p. 36; Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia, I, Pavia 1877, pp. 28, 44; Codice diplomatico dell'Università di Pavia, a cura di R. Maiocchi, II, 1-2, Pavia 1913-15, ad ind.; Dépêches des ambassadeurs milanais en France sous Louis XI et François Sforza, a cura di B. de Mandrot, I-IV, Paris 1916-23, ad ind.; Dispatches( of Milanese ambassadors in France(, a cura di P.M. Kendall - V. Ilardi, II, Athens, OH, 1971; III, Dekalb, IL, 1981, ad indices; Ticino ducale. Il carteggio e gli atti ufficiali, a cura di L. Moroni Stampa - G. Chiesi, I, 2, Bellinzona 1994, ad ind.; Dispacci sforzeschi da Napoli, I, a cura di F. Senatore, Salerno 1997, ad ind.; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, I-IV, a cura di I. Lazzarini, Roma 1999-2002; VI, a cura di M.N. Covini, ibid. 2001, ad indices; G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1828, VI, 1, p. 70; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, II, Milano 1883, pp. 255-258; A. Sorbelli, Francesco Sforza a Genova, Bologna 1901, pp. 30, 53, 86-90, 93-102, 106 s., 109, 209-213, 221-223, 237; G. Soranzo, La Lega italica: 1454-1455, Milano 1924, pp. 64, 73, 88 s., 94, 97, 109, 117 s., 120, 122, 195-200; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, p. 5; F. Catalano, La nuova signoria: Francesco Sforza, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 72-75, 78, 141, 158, 182 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, I-II, Roma 1958-61, ad ind.; A. Sottili, L'Università di Pavia nella politica culturale sforzesca, in Gli Sforza a Milano e in Lombardia. Atti del Convegno( 1981, Milano 1982, p. 562; V. Ilardi, France and Milan: the uneasy alliance, 1452-1466, ibid., pp. 436 s.; L. Moroni Stampa, Francesco I Sforza e gli Svizzeri, ibid., p. 607 n.; E. Roveda, Le istituzioni e la società in età visconteo-sforzesca, in Storia di Pavia, III, 1, Milano 1992, pp. 82, 92-94; F. Leverotti, Diplomazia e governo dello Stato, Pisa 1992, pp. 34, 75, 79 s., 87 s., 197 s.; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996, ad ind.; G. Chittolini, Città, Comunità e feudi negli Stati dell'Italia centro-settentrionale, Milano 1996, pp. 159, 162; F. Senatore, Uno mundo de carta. Forme e strutture della diplomazia sforzesca, Napoli 1998, ad ind.; N. Covini, In Lomellina nel Quattrocento, in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell'Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento. Atti del Convegno, Milano( 2003, a cura di F. Cengarle - G. Chittolini - G.M. Varanini, Firenze 2005, pp. 128, 134-136, 140, 164, 166.