Albero Wāq Wāq
A. favoloso della letteratura araba di 'meraviglie' (ajā'ib), la cui caratteristica secondo la leggenda 'e quella di produrre dei frutti bizzarri di aspetto umano che hanno la facoltà di lanciare il grido "wāq wāq". Secondo alcune versioni essi davano il nome al paese dove nascevano, secondo altre lo ricevevano da esso. Per Férrand (1933) questo paese sarebbe il Madagascar, che in malgascio è detto Vahoaka, in cui cresce in abbondanza una sorta di pandanus che produce grandi frutti chiamati vakwā. Più correnti sono le varie versioni della leggenda, diffusa dai resoconti fantastici dei marinai arabi e persiani a partire dal sec. 8°, che attribuiscono l'a. wāq wāq a un'isola dei mari orientali dell'India o della Cina. La più antica testimonianza della leggenda, in cui compare un a. che produce come frutta dei piccolissimi bambini che non parlano, ma che possono ridere e agitarsi, è tuttavia contenuta in un'opera cinese di epoca T'ang, il T'ong-Tien di Tou Yeou, scritto fra il 752 e l'801, che riporta il racconto appreso all'estero da un certo Tou Huan, il quale aveva soggiornato nel paese degli Arabi per dieci anni dopo la battaglia di Talas del 751, in cui probabilmente era stato fatto prigioniero.
Secondo la versione riportata da al-Jāḥiẓ (m. 869) nel suo Libro degli animali (Kitāb al-ḥayawān), la pianta produce invece animali e donne appese per i capelli, le quali appunto lanciano continuamente il grido; nel Libro delle meraviglie dell'India (Kitāb 'Ajā'ib al-Hind di Buzurg b. Shahriyār, sec. 10°) un a. produce frutti simili a una zucca con le sembianze di un volto umano. Per il Libro della geografia (Kitāb al-Jughrāfiyya) dell'Anonimo di Almeria (sec. 12°) nell'isola Wāq Wāq dei mari della Cina su un a. crescono frutti che giorno per giorno lentamente assumono, cominciando dai piedi, la forma di bellissime fanciulle appese per i capelli, che, a maturazione, cadono lanciando il grido. Teste umane e animali produce l'a. wāq wāq nella leggenda accolta nelle Meraviglie del Creato ('Ajā'ib al-makhlūqāt) di Qazvīnī (m. 1283).
La leggenda s'intreccia e si contamina, almeno sul piano iconografico, con quella di Alessandro Magno, che nella tradizione islamica è il Dhu'l-Qarnayn (il Bicorne) menzionato nel Corano (XVIII, 82, 96) ed è considerato come un devoto profeta musulmano combattente contro i nemici di Dio, eroe di meravigliose avventure consacrate dall'epopea iranica, dallo Shāhnāma di Firdousī (m. 1010) e da Niẓāmī (m. 1191) nel cui Iskandarnāma Alessandro si imbatte in India negli a. profetici del sole e della luna.
L'immagine dell'a. wāq wāq è legata a tradizioni leggendarie e iconografiche tra loro interferenti e si ricollega senza dubbio ad antiche rappresentazioni zoomorfe dell'a. della vita.
L'iconografia dell'a. wāq wāq è nota soprattutto, a partire dal sec. 14°, da miniature dove compare l'a. con frutti a forma di teste umane e di animali sia a illustrazione, per es., dei testi di Qazvīnī (Meraviglie del Creato, 1388, Parigi, BN, Suppl. persan 332, c. 160v), sia della leggenda degli a. profetici di Alessandro (Shāhnāma di Firdousī, inizi del sec. 14°, Washington, Freer Gall. of Art). Probabilmente sono da considerare fra le più antiche rappresentazioni fino a ora note di a. wāq wāq i bassorilievi sui due lati di una lastra marmorea proveniente da uno dei palazzi sultaniali dei Ghaznavidi a Ghazni (Afghanistan), databile ai secc. 11°-12°, dove compaiono degli a. o meglio degli arbusti stilizzati, i cui rami, popolati da esseri fantastici, portano frutti configurati come teste di animali o come busti umani (Ghazni, Rauza Antiquary).
Si suppone sia riconducibile alla leggenda dell'a. wāq wāq e alle sue varianti la tematica dell'ornato a tralci e girali vegetali da cui si sviluppano teste umane e animali della metallistica e della ceramica islamica, specialmente iranica e siriaco-mesopotamica del sec. 13° (Baltrušaitis, 1955, figg. 46 a-b, 48, 50, 61b). Sia dalla leggenda sia dai modelli figurati l'iconografia dell'a. wāq wāq si trasmise in Europa forse già nel sec. 9°, come attesta il Salterio Chludov (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Mus., Cod. 129), dove compare un a. del paradiso fiorito di teste umane, iconografia che dagli inizi del sec. 13° incontrò particolare favore, cominciando sembra dalla Germania renana, a simboleggiare l'a. della vita (Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg, 1205, già Strasburgo, Bibl. Mun.), dove confluirebbero "elementi dei manoscritti beneventani, dell'iconografia bizantina e delle speculazioni cosmografiche dell'Islam" (Baltrušaitis, 1955, fig. 57a) e, nella variante con teste umane e teschi, l'a. della vita e della morte (Baltrušaitis, 1955, fig. 57c).
Le leggende sugli zoofiti e le iconografie connesse ebbero, in effetti, particolare diffusione in Occidente a partire dalla fine del sec. 12° in relazione alla penetrazione mediante traduzioni latine di trattati arabi e giudaici. Queste leggende in seguito furono raccolte anche dai pellegrini e viaggiatori occidentali. Odorico da Pordenone (1331) descrive un a. del Malabar che produce uomini e donne della dimensione di un cubito e un'altra pianta dell'area caspica da cui nascono meloni che contengono un agnello. Quest'ultima pianta è fatta risalire a Jean de Mandeville (1360 ca.), che ne conosce anche la variante antropomorfa ai confini fra l'India e la Cina. La leggenda raccolta da Odorico e da Mandeville si ricollega a quella ancora viva ai primi del sec. 16° dell'agnus scyticus, la cui pelle si diceva venisse importata dai veneziani da Samarcanda, motivo per cui la pianta prese il nome di Smarcandeos. Nel sec. 14° si narrava che in Fiandra, in Inghilterra e in Irlanda crescessero a. che producevano uccelli: notevole è la miniatura del Livre des Merveilles del duca di Berry (Parigi, BN, fr. 2810, c. 210), dove il racconto di Jean de Mandeville è illustrato con tre occidentali che mostrano un ramo d'a. con frutti ornitomorfi a una coppia di orientali che, a loro volta, mostrano il prodigio dell'agnello contenuto in una sorta di melone.A differenza dell'Oriente, in Occidente l'a. che porta frutti in forma di animali ha sempre una connotazione negativa di a. del male.
Bibliografia
A: Sakisian, La miniature persane du XIIe au XVIIe siècle, Paris 1929, pp. 58-59.
C.J. Lamm, A. Geiger, En miniatyr och en matta; en studie över sentimuridiska groteskemattor fran Herat [Una miniatura e un tappeto; uno studio su tappeti a grottesche tardo timuridi da Herat], Stockholm, Nationalmuseum Arsbok, n.s., 1, 1930-1931, pp. 26-51.
G. Férrand, s.v. Waḳwāḳ ou Wāḳwāḳ, in Enc. Islam, IV, 1933, pp. 1164-1168.
Ph. Ackerman, The talking tree, Bulletin of the American Institute for Persian Art and Archaeology 4, 1935, pp. 67-72.
J. Baltrušaitis, Le Moyen Age fantastique. Antiquités et Exotisme dans l'Art Gothique, Paris 1955, pp. 106-132.